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Appunti prima della chiusura:
la 4ª Biennale Internazionale di São Paulo

di Marcos Tognon

La Biennale di Architettura di São Paulo ha richiamato l'attenzione internazionale intorno ad un programma di cui lo stesso Marcos Tognon, estensore delle presenti considerazioni, aveva dato anticipazione nello scorso mese di luglio.



[08feb2000]
Occorrono non solo una ma varie visite al Palazzo della Biennale paulistana per comprendere i vari sensi, le diverse intenzionalità, i nodi e le associazioni possibili che sorpassano, che traversano le infinite sale speciali, i tanti pannelli dedicati alla difficile rappresentazione dell'architettura, il quadro di proposte all'Esposição Geral dos Arquitetos, delle scuole di architettura, dei tanti protagonisti brasiliani celebrati con l'alloro del riconoscimento corporativo. Forse è questo senso corporativo che si configura come l'unico sfondo a tutte le iniziative, agli inviti e scelte per la 4ª Biennale brasiliana di architettura che si chiude in questa domenica, il 6 febbraio; i curatori, insomma, non hanno affermato nessuna tesi, non hanno lanciato nessun'ipotesi o direzione, soltanto hanno confermato valori, hanno cercato consensi.

Sin dal 3° piano del Palazzo progettato da Oscar Niemeyer, dalle sale antologiche dedicate a Mies van der Rohe, all'Alvar Aalto, a Adolf Loos e Le Corbusier (in un confronto concettuale fra il Raumplan e Plan libre, per non parlare dei disegni esposti di Le Corbusier in omaggio a Pietro Maria Bardi), alla Bauhaus in Israele (sic), agli argentini Clorindo Testa e Carlos Raul Villanueva, fino ai brasiliani João Filgueiras Lima, Rino Levi, Affonso Eduardo Reidy, Jorge Moreira, Hélio Duarte, Abrahão Sanovicz, Zanine Caldas, Paulo Mendes da Rocha, Fábio Penteado, João Walter Toscano, allo Studio Croce Aflalo & Gasperini, si trovano le diverse generazioni che hanno creduto nel Movimento Moderno, che vi hanno partecipato con la propria voce, o che hanno dato continuità non tanto agli ideali, ma a quella positività costruttiva basata nello spirito apollineo della tecnologia e nella progettazione razionale. Questa sarebbe una seconda motivazione consensuale fra la maggior parte dei nuclei monografici: la conferma della validità storica, progettuale, professionale del Movimento Moderno, conferma preziosa per la generazione di architetti nazionali che fecero l'esordio dopo Brasília.


Marcelo e Marta R. Aflalo, Progetto per l'uso razionale del legno nelle residenze (São Paulo).


Jorge M. Jáuregui, sistemazione urbana nelle "favelas" (Rio de Janeiro).


Walter Toscano, Stazione metropolitana "Dom Bosco" (São Paulo).


È questa generazione che coltiva, appunto, i documenti più importanti sulla vicenda dei pionieri, l'Arquitetura moderna no Brasil di Henrique E. Mindlin (originariamente in inglese, francese e tedesco nel 1956) e il volume scritto da Philip Goodwin per la mostra Brazil Builds del 1942 al Moma-New York. L'opera di Midlin finora inedita in portoghese è stata presentata alla Biennale, mentre le fotografie di Brazil Builds, conosciute e inedite, sulle opere del largo periodo 1652-1942, compongono una mostra tematica al 2° piano. L'esposizione sullo storico nordamericano Robert Smith, autore di una bibliografia fondamentale sul voluttuoso barocco ibero-americano, e i mobili di carta industriale progettati da Frank O. Gehry negli anni '70, sono forse le poche intonazioni che non vanno d'accordo con il primato della bianchezza degli intonaci modernisti e del grigio-calcestruzzo in gran parte celebrato nei disegni e fotografie alla Biennale.

Non avere una dichiarata linea concettuale, per tutto il percorso di una esposizione che abbia come primo titolo "Biennale", può essere una scelta strategica dei curatori, ma che rischia sempre nell'omissione di almeno suggerire confronti, paragoni, creare delle opportunità per il pubblico valutare le diverse scale, non limitate all'intervento architettonico o urbanistico, ma soprattutto di qualità progettuale e costruttiva. Per esempio, affiancare i registri dell'architetto più lodato in questa occasione, Filgueiras Lima, soprannominato "Lelé", e la sua architettura che coinvolge la tecnologia delle strutture metalliche con un disegno spaziale molto sbilanciante e non ortodosso, alle soluzioni dell'olandese Herman Hertzberger: vale la pena memorizzare la copertura del Teatro Chassé a Breda di quest'ultimo, per poi seguire con una lettura dei vari ospedali progettati da Lelé, specialmente le sezioni sbozzate, un disegno che deve molto a certe formule di Oscar Niemeyer. Qual è il valore retorico della tecnologia per la struttura metallica nel suo conflitto formale più travagliato, quello verso il profilo curvo? E i problemi di rifinitura materiale? Lelé sará tra poco molto conosciuto dal pubblico italiano: egli rappresentarà il Brasile nella ventura Biennale veneziana inieme a Paulo Mendes da Rocha.


Particolare dell'allestimento per la Exposição Geral dos Arquitetos.

J. Filgueiras Lima, Ospedale Sarah (Brasília)
Paragoni che possono limitarsi alla potenzialità creativa, e perché non guardare con uguale attenzione la mostra di design dalla Danimarca, il "The Danish Wave" e il gruppo olandese Mecanoo? La 4ª Biennale brasiliana di architettura, evento che occorre dal 1973 e non bisogna fare conti dettagliati per capire le occasioni mancate, accoglie in questa sua versione, e con particolare simpatia, la produzione latino-americana, oltre quelle citate di Clorindo Testa e di Carlos Villanueva. Si va al 2° piano per vedere Estudios de Arquitetura Argentinos, o la panoramica sui Dez mestres da arquitetura latino-americana, tutte le due curate da Jorge Glusberg. C'è qui anche una piccola tesi, non sconosciuta dagli studiosi, sul "regionalismo critico", sull'identità dell'architettura latino-americana e l'ambiente da cui nasce. Se non è inedita questa operazione critica, che si dia credito alla lezione impartita dal curatore "hors concours" della Biennale di Buenos Aires.

Poche sorprese e, per dire la verità, poco spazio è stato dedicato all'Esposição Geral dos Arquitetos: si trattava di un concorso generale, quattro pannelli per ogni studio o partecipazione individuale, quindi oltre 300 candidati alla premiazione finale. Una grande rivista allestita nel 2° piano, assenti di commenti, e basta. Le premiazioni, giuste e da conferire sul site ufficiale della Biennale, anche se le foto disposte non sono le più chiare per capire quest'arte difficile di rappresentare. Sulla grande scala, sull'urbanistica, la rassegna più interessante certamente era quella del Quadro do Paisagismo no Brasil, un vero esercizio di critica e storiografia in corso, a classificare, a costituirne una vera linea dell'evoluzione del paesaggio progettato nell'immenso paese. Ma il moto per la grande scala promosso dai curatori della Biennale, discusso in diversi incontri, è stata la "violenza urbana", oggi, problema numero uno, gravissimo nella città che ospita l'edificio della Biennale. La formula che si voleva arrivare, come risposta ai cittadini afflitti, era questa: fatte buone architetture, promovete spazi per la comunità più carente, aprite piazze belle e la violenza sarà combattuta.

Dunque, l'architettura è uno dei punti di arrivo alla piena cittadinanza. Una risposta alla São Paulo caotica, ai locali pubblici, alle vie e strade che vari cittadini evitano di frequentare, soprattutto dopo certe ore; una città di spazi privati confinanti, questa logica assurda ma naturale della protezione dentro casa, dentro l'ufficio, e che configura, in una velocità proporzionale, una città di cancelli, di grosse mura, di isolamento e occultamento delle strutture in cui si cerca di avere una vita senza il panico quotidiano. I partecipanti di questi incontri, i curatori della Biennale, i difensori di quelle risposte positive che l'architettura potrebbe dare, erano certamente consapevoli di una certa ingenuità politica delle pretese, o meglio, di chi può davvero risanare questa società gravemente turbata, e quali strutture devono essere davvero riformate; forse la risposta più espressiva che rimane alla propria corporazione degli architetti è quella di non perdere la chance di una prossima Biennale veramente critica, tematica, senza paura di affrontare temi e scelte, e di presentare risposte, tecnologie, dubbi, che possono colmare i fortissimi bisogni della società, un'architettura con le sue limitate ma essenziali competenze spaziali, progettuali.

Marcos Tognon
tognon@uol.com.br


F.O. Gehry, test con la sedia di cartone industriale (Usa).


Arnaldo A. Martino, cappella nuova al belvedere (São Paulo).
4ª Biennale Internazionale di São Paulo

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