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Archeologia e città: la trasgressione dei limiti

di Luigi Manzione


Il turista che si aggira tra i Fori Imperiali a Roma, sull'acropoli di Atene o tra i resti dell'anfiteatro romano di Arles, rinnova ogni giorno una consuetudine d'incontro con l'antico che risale alla fine del Settecento. La tradizione del Grand Tour, della scoperta delle vestigi archeologiche che, lentamente, venivano alla luce, era una pratica élitaria, riservata ad artisti alla ricerca di ispirazione e ad intellettuali in viaggio di formazione. La vista delle "rovine" era spesso alla fine di un tragitto lungo e difficile, come quello per raggiungere Paestum, luogo ancora paludoso nell'Ottocento.

Eliminata, oggi, ogni difficoltà di accesso ai siti archeologici, divenuti anzi spesso parti cospicue di tessuti urbani, sono altri i problemi da essi suscitati.

Proprio queste preoccupazioni sono state al centro del convegno internazionale sull'archeologia e il progetto urbano -"Le site archéologique et la ville. Transgresser les limites"- svoltosi a Parigi il 27 e 28 marzo scorsi. Organizzato dall'Istituto francese di architettura, con il patrocinio dell'Unesco, e coordinato dall'architetto e urbanista Yannis Tsiomis, il convegno ha visto la partecipazione di esperti francesi, italiani e greci, facendo seguito a quello tenutosi ad Atene a giugno 1999.

Il tema del rapporto tra archeologia e città è stato affrontato nell'ottica del confronto tra discipline e attori diversi, da cui sono emersi alcuni punti essenziali riguardanti le modalità d'intervento e le esperienze in corso.
Creare una "rete d'idee per una rete di città", in una visione non soltanto europea ma mediterranea, dove porre a contatto approcci e sensibilità molteplici, è stato l'obiettivo primario di questo convegno.

Operare secondo un approccio interdisciplinare, legando esigenze e competenze eterogenee, dimensioni e soggetti spesso in opposizione, è apparso, poi, un punto di convergenza: lo sviluppo delle potenzialità della "città plurale", luogo d'incontro tra uomini, memorie, monumenti, usi diversi.

Inventare, quindi, nuove e innovative strategie incrociate tra progetto urbano e archeologia, vuol dire ripensare, oggi, anzitutto l'idea di archeologia. Non più una disciplina separata dal contesto della vita quotidiana, rivolta allo studio di reperti collocati in luoghi "separati" dalla città, ma, al contrario, come sintesi tra il sito archeologico e l'insieme urbano, dove coesistono valori storici e qualità estetiche, funzioni ed usi tradizionali e nuovi.

Aprire l'archeologia alla città è una necessità che comporta, però, dei possibili rischi. Il rinnovamento del tessuto economico e spaziale delle città storiche può produrre l'alterazione degli equilibri consolidati nelle aree archeologiche (come ad esempio avviene a Roma durante la stagione estiva, con la puntuale invasione turistica delle aree archeologiche). La banalizzazione e la mediatizzazione dei luoghi della memoria, che diventano così "ghetti turistici", fanno parte di questi rischi.

Dall'altro lato, la valorizzazione delle zone archeologiche deve legarsi ad un'esigenza di sviluppo durevole e sostenibile, ciò che comporta la precisazione dei "limiti" di tali zone, sia nell'estensione, sia nelle funzioni.
Sono proprio questi limiti a costituire oggetto di discussione. Come e in quale misura è ragionevolmente possibile definirli e, nel contempo, trasgredirli?

Il problema non è di eliminare le demarcazioni tra archeologia e città (e tra le relative figure professionali), ma piuttosto di ridefinirle per potersi situare alla loro frontiera. Una nuova consapevolezza si fa luce tra gli architetti e gli urbanisti: ispirarsi al patrimonio antico, assumerne i temi e le questioni come materiale per il progetto,e non solo come barriera che si oppone ad esso. Una nuova relazione tra memoria e invenzione, dunque, in cui la stratificazione archeologica appare come traccia della contaminazione tra culture, spazi, materiali e segni diversi.

Parlando di città quali Atene, Roma, Marsiglia, si è detto che non esiste opposizione tra archeologia e città, poiché anche il sito antico, in quanto "strato" della città, è parte della sua struttura, della sua sedimentazione storica.

La ricerca di forme appropriate dell'uso del patrimonio archeologico -patrimonio universale, appartenente all'umanità tutta- diviene il motivo conduttore di una nuova compatibilità tra tutela e fruizione, tra rispetto dell'integrità dei beni storico-artistici (loro conservazione, consolidamento, manutenzione) e il godimento di essi da parte del pubblico.

Tutelare e valorizzare questi musei en plein air che sono le aree archeologiche localizzate nei tessuti urbani, creare le condizioni per un armonico inserimento nella città, negli spazi pubblici e nel paesaggio naturale, permetterne una più attenta comprensione, rimettere in discussione le politiche di sviluppo urbano in rapporto alle esigenze del patrimonio monumentale; riproporre, in sintesi, in una prospettiva plurale e multiculturale il rapporto tra archeologia e città, questi sono i temi maggiori di cui si è discusso a Parigi. E proprio su tali temi si focalizzerà l'attenzione del prossimo convegno che avrà luogo probabilmente a Roma l'anno prossimo, con il patrocinio dei Ministeri della Cultura italiano, greco e francese.

Luigi Manzione
luiman@free.fr




[14may2000]






Luigi Manzione, architetto, insegna all'Ecole d'architecture di Parigi-La Villette (corso Ville et banlieue). Prepara una tesi di dottorato in Urbanisme et aménagement presso l'Università di Paris VIII-Saint Denis. Ha in corso ricerche sui temi dell'urbanistica e della storia della città, in particolare sul rapporto città-periferia; sulla teoria del progetto urbano in Italia e in Francia tra gli anni '20 e '40; sulle trasformazioni del paesaggio della periferia europea. Si interessa, inoltre, di arte contemporanea e di fotografia.
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