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Note critiche sull'Expo 2000 e sulla partecipazione italiana

di Luigi Centola


Arch'it propone, con le parole di Annette Tosto, uno scorcio sull'Expo 2000 di Hannover "Uomo. Natura. Tecnologia". Sulla stessa Expo interviene Luigi Centola con un saggio che affronta il caso della partecipazione italiana.




[13sep2000]
Un nota rivista di architettura mi aveva chiesto un'articolo critico sull'Expo di Hannover. Ho accettato volentieri.

Dopo aver trascorso qualche giorno a Berlino e visitato tra l'altro al Martin-Gropius-Bau una delle più spettacolari e complete mostre mai allestite '7 Hills - Images and Signs of the XXI Century', ho ritirato alla stazione un pacchetto, prenotato via internet, che includeva biglietto di treno e ingresso all'EXPO. Alle sette di mattino, insieme ad un pugno di agguerriti turisti culturali, sono salito sull'equivalente di un TGV superveloce riservato con graziose hostess che elargivano informazioni e depliant pubblicitari. Senza fermate intermedie in meno di due ore abbiamo raggiunto la nuova stazione ai margini della città e una navetta ci ha depositato di fronte all'ingresso principale della fiera dove doveva iniziare il promesso "Viaggio nell'Incredibile". Per mesi tutti i media europei hanno diffuso notizie e servizi sull'evento: campagne pubblicitarie, strategie di marketing, collegamenti efficienti e siti internet oramai contano di più dell'effettiva qualità del prodotto.


Expo 2000 Hannover.
L'ultima esposizione universale del secondo millennio è aperta dal 1 giugno al 31 ottobre. Ultima perché segnerà la fine, si spera, della costruzione di inutili e costosi simulacri di città. Cimiteri di idee e architettura, grandiosi simboli di vuoti interessi commerciali. Un banale masterplan e una serie di padiglioni temporanei e permanenti sono nel migliore dei casi firmati dai più promettenti o affermati architetti nazionali. Il luogo non ha più importanza specifica, che si tratti di Siviglia, Lisbona o Hannover i criteri per fondare queste città artificiali si ripetono: una vasta area pianeggiante, una triste periferia da sviluppare o riqualificare, una colorata griglia ortogonale di riferimento con l'individuazione dei lotti per l'allestimento di scatole decorate.

Tuttavia all'origine, lo scopo dell'esposizione universale era nobile: in epoca di non facile comunicazione e spostamenti, serviva a divulgare, confrontare e discutere delle sperimentazioni architettoniche e tecnologiche più all'avanguardia in ogni nazione. Ricerche stilistiche, di decorazione, di struttura, di materiali, senza limitazioni apparenti. Tutto era possibile e permesso, anzi richiesto. L'influenza delle idee degli architetti più sperimentali determinante. Basti ricordare per tutti il padiglione di Mies a Barcellona. Nel corso degli anni però lo spirito originario si è tramutato sempre più in operazione economica, la dimensione dell'insediamento e dei singoli padiglioni è cresciuta a dismisura per accogliere un numero sempre maggiore di visitatori e rendere gli investimenti convenienti. Ad Hannover l'EXPO è diventato null'altro che un ricco show-business, condito da sterili esibizioni architettoniche. Costose folies: la formula tradizionale non funziona più.

Nonostante io sia uno dei più estremi, convinti e appassionati difensori della ricerca tecnologica estrema, dell'artificiale e del virtuale, i pericoli di banalizzazione commerciale ad Hannover sono evidenti. Solo i padiglioni di Ungheria, Giappone e Svizzera, unici esempi di low-tech intelligente, impiegando materiali di riciclo o naturali come carta e legno si distinguono nell'appiattimento multimediale. Partecipazioni illuminate e architetti sensibili. La scelta progettuale più efficace è di avere un passaggio libero al piano terra all'interno di uno spazio coinvolgente, evitando risalite con ascensori, scale e rampe e percorsi guidati che provocano inutili code e stressanti attese. L'elemento ludico, di sorpresa, didattico, di coinvolgimento, interazione e partecipazione collettiva diventa determinante per catturare l'interesse e l'attenzione del pubblico satollo di pubblicità e immagini.

All'interno dei giganteschi padiglioni fieristici esistenti (una delle migliori opere di Thomas Herzog) solo il Brasile, con una installazione densa di effetti, musica, sport, natura e divertimento, corroborante rifugio per i visitatori stanchi di proiezioni e video, ha compreso lo spirito dell'evento. Due lunghe pareti composte da cilindretti di legno mobili vengono modificate dalle impronte impresse dai corpi di giovani e meno giovani visitatori che fanno a gara per lasciare immagini di sé nel muro ligneo. Musiche tradizionali sensuali, filmati delle imprese sportive di Pelé e Senna, immagini di natura incontaminata, e ambienti di gioco e riposo che ricreano artificialmente caratteristiche tipiche del paesaggio tropicale sudamericano. Tutti gli altri paesi sono purtroppo presenti solo con agenzie di viaggi, informazioni turistiche, ristoranti etnici e allestimenti in stile, anacronistiche copie in cartongesso e compensato di note architetture classiche.

Nell'era dell'informazione, della comunicazione globale e di una necessaria rinnovata attenzione e rispetto per la natura, l'architettura di una esposizione universale dovrebbe confrontarsi soprattutto con le esigenze del mondo e della vita. L'Europa non c'è ancora riuscita, sembra invece che il Giappone, organizzatore dell'EXPO del 2005, stia studiando con attenzione il modo per tradurre in realtà queste necessità. Si ricercano soluzioni per il primo EXPO del terzo millennio: il luogo prescelto una foresta incontaminata, il tema "Costruire con la Natura". E' stato bandito un concorso internazionale di idee, aperto a tutte le professionalità, per raccogliere indicazioni di ogni genere sul difficile e ambizioso progetto. Strategie urbanistiche e architettoniche alternative, inserimenti calibrati e rispettosi, tecnologie soft, materiali eco-compatibili o di riciclo, bio-tecnologie e bio-climatica saranno gli strumenti per edificare un nuovo concetto di esposizione. I padiglioni nazionali, se esisteranno ancora, dovranno necessariamente accogliere questo tipo di indicazioni. Una proposta rivoluzionaria…


Il padiglione italiano all'Expo 2000 di Hannover.


Il pezzo, come richiesto, era sufficientemente critico, tuttavia ancora accettabile e suscettibile di pubblicazione poiché esprimeva solo una lettura personale e non coinvolgeva direttamente la nostra partecipazione nazionale.


Ma l'Italia come partecipa all'EXPO? come affronta la presenza in una vetrina da milioni di visitatori? Come amministra il nostro governo l'immagine e i soldi del paese?

I progetti per le esposizioni universali degli ultimi anni non hanno proposto spunti significativi: l'edificio in Spagna (Aulenti/Spadolini), gli allestimenti in Portogallo (Sturchio) e il padiglione in Germania (ancora Sturchio) sono operazioni progettuali che non hanno lasciato alcun segno. Ad Hannover per di più si sono ignorate le più elementari regole per l'assegnazione degli incarichi di progettazione e realizzazione. Di concorsi per la selezione delle idee migliori, nonostante vecchie e nuove leggi sui lavori pubblici, neanche l'ombra, di sperimentazione di tecniche e tecnologie all'avanguardia, come espressamente richiesto dal tema dell'EXPO, neanche a parlarne.

Le solite finte procedure d'urgenza, documenti retrodatati e amicizie hanno scavalcato, come succede ancora troppo spesso, il buon senso e dimostrato l'arroganza e l'incompetenza di chi ha gestito l'operazione. Colpa del Ministero degli Esteri? Del team organizzativo e progettuale? Del commissario straordinario? Le spese sono comunque ingenti, basti pensare che il padiglione che rappresenta la nostra nazione ha un budget di più di 35 miliardi di lire, ma di esso in patria si sa poco o nulla. Nessuna rivista specializzata o quotidiano a diffusione nazionale, neanche di seconda categoria, ha pubblicato il progetto e questo non è così sorprendente visto il velo di mistero che ha coperto l'operazione fino all'ultimo e la qualità scadente dell'opera. Nessuno si è interessato all'argomento, nessuno ha detto nulla. Il combattivo Fuksas, dalle pagine dell'Espresso in agosto, parlando dell'EXPO ha pensato bene di omettere qualsiasi informazione sul nostro padiglione, glissando elegantemente.

Dal Co su Casabella di settembre pubblica esclusivamente i progetti di Ban e Zumthor. Unica azione reale, una timida interrogazione parlamentare dell'opposizione che riguarda esclusivamente la sconcertante gestione della gara d'appalto che verrà presto archiviata. Uomini di cultura, politici, giornalisti, associazioni, ordini e architetti o non sono al corrente dell'operazione o hanno preferito non interessarsi all'argomento. Zevi, l'unico che avrebbe potuto combattere con veemenza questa ennesima battaglia, purtroppo non c'è più. Piazzetta italietta in Germania con prodotti tipici, atmosfera da bar di emigranti e il tendone da circo con il suo vuoto interno, ravvivato solo da qualche automobile inquinante, video-ritratti di scienziati defunti e modelli di tecnologie obsolete, testimoniano il fallimento di una partecipazione che ancora una volta si compiace di un glorioso passato invece di proiettarsi nelle sfide del futuro…

A questo punto mi è stato gentilmente sconsigliato di continuare su un'argomento di scarso interesse e che quindi non sarebbe mai stato pubblicato da una rivista dall'ampia diffusione e dal carattere "ufficiale".

P.S.
Ringrazio Arch'it per aver voluto diffondere quest'articolo, originariamente previsto per i primi di giugno del 2000, nel settembre dello stesso anno.

Luigi Centola
lctuff@tin.it
Annette Tosto. Expo 2000

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