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Michele Saee: Instances of Space

di
Andrea Ponsi

 

Si è recentemente conclusa, con un incontro e la presentazione del catalogo pubblicato da Mandragora, la mostra dedicata dal SESV di Firenze all'opera recente di Michele Saee (Building Inc.). Andrea Ponsi ha raccolto alcune riflessioni, utili per una introduzione all'attività dell'architetto.




[21dec2001]

 

Le prime parole che vengono alla mente nell'osservare i progetti più recenti di Michele Saee possono sapere di già detto, quasi di scontato, per costituire la base per un vero commento critico. Ma poiché termini come "indeterminatezza", "fluidità", "frammentazione" rappresentano i motivi ispiratori di un'intera scuola di pensiero cui Saee certamente non è estraneo, possiamo cominciare la nostra analisi proprio da questo tipo di considerazioni. L'architettura intesa come formalizzazione simbolica delle condizioni socio-culturali di un'intera società è ancora una volta confermata: l'indeterminatezza e la fluidità della società avanzata generano la indeterminatezza e la fluidità dell'architettura. E ciò è tanto più valido se questa società è quella della California del Sud con al suo epicentro la città indeterminata per eccellenza, Los Angeles.

Quando Frank Gehry nei primi anni Settanta creò quell'incontrastato manifesto tridimensionale dell'indeterminatezza e della discontinuità che fu l'estensione della sua casa a Santa Monica, fu immediatamente chiaro che quella casa non era altro che un inventivo, ironico e poetico specchio del suo ambiente, l'immagine riflessa e insieme deformata delle"circostanze".


Meivsahna House, Los Angeles, USA, 1990.

Negli stessi anni, analoghi interessi coinvolgevano in Europa un manipolo di giovani architetti attivi soprattutto in alcune istituzioni accademiche. Per tutti valga ad esempio la presenza contemporanea all'Architectural Association di Londra di Rem Koolhaas, Zaha Hadid, Bernard Tschumi, Peter Wilson. Qui la matrice europea, in un caso specifico (Hadid) addirittura orientale, definiva, intellettualmente forse con più incisione della statunitense, il carattere insieme surreale e "catastrofico" della visione ipermoderna, ritrovando nel caos urbano della Metropoli ("Delirious New York") la metafora principe del proprio operare.

Michele Saee, egli stesso di origine mediorientale, formatosi in Europa nella scuola di architettura fiorentina, apprendista presso il Superstudio e infine trasmigrato verso l'inizio degli anni Novanta nella California del Sud, ha dunque compiuto tutto il tragitto geograficamente e cronologicamente "corretto" per la sua attuale proposta. I primi progetti Los Angeleni degli anni ‘80 elaborano gli interessi già espressi dal gruppo Morphosis per cui Saee ha lavorato per vari anni. L'architettura intesa come adattamento biomorfico all'ambiente circostante si materializza in una poetica espressionistica e post-modernista sempre coraggiosamente sperimentale basata su un collage di meccanismi proto-tecnologici e assemblaggi di materiali industriali con risultati scultorei non esenti da una certa influenza "pop". 


Publicis Drugstore, Paris, France, 2003.

Con l'affinamento del mestiere e la maturità dovuta ad una maggiore familiarità con il luogo ormai di elezione, e dunque anche per la continua frequentazione di maestri come Frank Gehry o Thom Mayne, del già citato studio Morphosis, il discorso di Saee si è sviluppato fino a trovare una sua personale cifra. Questa è caratterizzata soprattutto da un senso di leggerezza ed eleganza di diverso grado rispetto a questi stessi maestri. La desquamazione della facciata in un vortice di trasparenti e traslucide superfici-piume dell'edificio Publicis Drugstore a Parigi richiama certamente i solfeggi virtuosistici di Frank Gehry ma anche li trascende per mirare ad un effetto assai diverso. Non si tratta qui solo di proporre una "decorated shed" con esiti spettacolari, esilaranti o ironici, ma di giocare uno spartito rigoroso ed elegante, strutturalmente esplicito e altamente definito fin nei suoi più piccoli dettagli. È il gioco che una linea strutturale fa con i piani in vetro egualmente strutturali. Un prendersi e lasciarsi, un toccarsi e separarsi in un vortice che ricorda più la musicalità di un balletto che il fragore di un'esplosione. Un balletto di vento e di foglie, di vele, di scaglie di città che in un fare sinuoso e sensuale riporta la freschezza e la modernità della California al centro della città intellettuale ed europea per eccellenza: Parigi.

Questi stessi temi sono proposti di nuovo in un piccolo quanto autorevole progetto: il prototipo per una catena di spazi ristoro per la società Nescafé. Anche per questo interno-esterno Saee utilizza gli stilemi del classicismo decostruttivista: la desemantizzatione del sistema pavimento-parete-soffitto a favore di una concezione spaziale aperta e solo definita dallo svolgersi di una superficie continua; la disintegrazione dell'unità funzionale intesa come insieme di stanze e situazione autonome in favore di una compenetrazione e una collisione di superfici, interstizi, aperture. L'introduzione di un nastro informatico rende inoltre possibile la intercambiabilità delle immagini digitali proiettate divenendo mezzo di dinamizzazione a-materica.


Café Nescafé. Val D'Europe - Orléans - Paris, France, 2001.

Michele Saee fa spesso riferimento al corpo come soggetto delle sue invenzioni compositive. Un corpo stimolato nelle sue capacità percettive fino a coinvolgere tutti i cinque sensi e esso stesso primario modello di ispirazione dell'architettura. Seguendo una metodologia personalissima, Saee identifica nella fase iniziale di costruzione del modellino in scala il momento decisivo del progetto. Sono le stesse mani a modellare la creta, a piegare il cartone, a torcere il filo di ferro seguendo un percorso spontaneo di reazioni tattili fatte di slanci, penetrazioni, stacchi, piegature. Lo sviluppo dell'idea è dunque basata prima ancora che su intuizioni di tipo razionale e intellettuale su un'esperienza di tipo fisico e corporeo in diretto antagonismo con il modello classico del sistema tridimensionale cartesiano. Cosi, a riprova della regola per cui il modello cartesiano è definito dalla preponderanza della linea retta, dal piano omogeneo e dall'angolo a 90°, il modello fisico-corporeo è definito dalla linea curva e dal piano irregolare, fluido, interrotto. 

Dopo tutto non fu nella California degli anni '60 a che "square" prese a volere dire conservatore, rigido, membro dell'establishment? Ed anche, non è stato forse lo sviluppo dell'architettura del secolo passato inesorabilmente marcato da quella lotta continua e ciclica tra Razionalismo ed Espressionismo, lotta che sembra essersi evoluta ai giorni nostri, per dirla in termini di slang contemporaneo, nella teatrale faida tra boxes and blobs? Un match tuttora in corso con un’apparente veloce rimonta del blob rispetto al box. Così se da una parte si schierano i Brunelleschi, gli Schinkel, i Mies e, per arrivare diritto in California, i vari Schindler, Neutra e Eames, dall'altra troviamo i Borromini, i Gaudi, gli Scharoun e, ancora per restare in California, il referente massimo contemporaneo Frank Gehry. Ma è certo nella spazialità fluida del blob che si fa più forte il richiamo alla fluidità dei movimenti dei mezzi di comunicazione ipermoderni, alla indeterminatezza dei canali informativi, alla infinite possibilità formali offerte dai nuovi materiali e dalle nuove tecnologie. Il rischio tuttavia è un'indigestione di indeterminatezza, non vista come espressione di un pensiero "debole", ma vista come accumulazione di un mondo senza più "forma".


Piazzale Roma Competition, Venezia, Italia, 1990.

A questo proposito viene in mente un altro progetto di Saee, quello per il concorso di Piazzale Roma a Venezia. Dapprima l'architetto incontra il luogo: da qui l'invenzione della struttura "a ponte", l'uso del vetro, la scomposizione in sfaldati frammenti memori dei riflessi dell'acqua della laguna. Dopo di che l'architetto si confronta con il programma: un edificio per la mobilità e dunque una struttura di e per il movimento. Un movimento tuttavia fermato come in un'istantanea, cristallizzato nelle forme spezzate e sospese, statiche scaglie di antiche coperture, di passaggi pedonali, ponticelli, porteghi e sottoporteghi. Il risultato è ancora di un'elevata eleganza scultorea, un virtuosismo decompositivo da fare invidia all'architetto veneziano per eccellenza, Carlo Scarpa, che di giochi di riflessi e discontinuità costruttiva e narrativa se ne intendeva. E però mentre nell'architetto veneziano la indeterminatezza e la discontinuità non andava mai a scapito della "forma" ma anzi proprio in relazione e in funzione di essa, nell'architettura di Saee la forma non va più cercata in un'insieme di episodi e di frammenti circoscritti ma in una musicalità continua e totalizzante. Il frammento perde significato, diviene invisibile, irrilevante, inesistente. Lo sguardo non può, né sa, né vuole fermarsi, ma scivolare via lungo il proprio percorso sedotto da visioni inaspettate, giochi di luce e di colore, tagli generatori di geometrie fatte per influire sul nostro respiro, sulla nostra pelle e sul nostro senso di equilibrio, orientamento, leggerezza, pesantezza.


Centro Culturale Internazionale HERMES, Sinalunga, Italia, 2004.

Una conferma che la poetica di Saee non è mai solo dettata da giustificazioni stilistiche o puramente formali, ci deriva anche dall'analisi di uno dei suoi ultimi progetti, il Centro Culturale Internazionale Hermes a Sinalunga. Qui il luogo, le colline della campagna toscana, ed il programma, un centro per la coabitazione e comunicazione tra diverse culture, sono gli elementi ispiratori del progetto. Da una parte l'edificio si mimetizza nel paesaggio giocando su una dimensione di orizzontalità tale da sembrare un'opera più di origine geologica (le cave) e agricola (i terrazzamenti per le coltivazioni degli ulivi) che non di architettura nel senso tradizionale del termine. L'impiego di lunghi muri di pietra a secco, analoghi a quelli dei terrazzamenti collinari, e la creazione di un percorso di rampe adattate alla orografia del terreno, esalta le qualità sensoriali e tattili dell'esperienza spaziale. D'altra parte anche si intuisce una certa durezza nei materiali e accidentalità dei percorsi che altro non sono che il riflesso della accidentalità e della rudezza della terra lavorata o anche l'evocazione di archeologie di architetture ipogee del territorio circostante (le tombe etrusche).

Con questo progetto Saee sembra chiudere un importante ciclo della propria carriera di progettista. Il ritorno in Toscana e cioè in quella antica terra che ha visto gli esordi della sua educazione architettonica è per noi non solo una chiara verifica di una architettura intesa come espressione poetica dei luoghi ma anche una non sempre così scontata conferma: e cioè che è solo attraverso la positiva disposizione verso la storia e la lenta fagocitazione delle proprie esperienze passate che è possibile ritrovare i mezzi per coniugare modernità e memoria, espressività formale e adeguatezza compositiva. 

Andrea Ponsi
ponsi@dada.it

 

"Michele Saee. Instances of Space"
Mandragora
Italia, 2001
pp48, €2,58

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