home

Files

È morto Giuseppe Samonà?

Domenico Cogliandro

 

Si è recentemente svolto a Sciacca, nelle giornate dell'11 e del 12 maggio, il convegno Conversazione in Sicilia organizzato da IN/ARCH Sicilia e antiThesi. Gli incontri e le tavole rotonde svoltesi ad un passo dal teatro di Giuseppe Samonà hanno riaperto problematiche e sollevato dibattiti che sono poi continuati con particolare intensità sulla rivista diretta da Sandro Lazier e Paolo Ferrara. ARCH'IT ospita due testimonianze, un consuntivo di Franco Porto, presidente dell'IN/ARCH Sicilia, e un commento di Domenico Cogliandro.




E Ludovico Quaroni? E Mario Ridolfi, e Giovanni Michelucci? Sono morti, forse, come Aldo Rossi, Enric Miralles e Luigi Pellegrin? Non so darvi una risposta. Certo posso immaginare che sono tutti stati bambini, più o meno fortunati, hanno frequentato delle scuole, più o meno interessanti, hanno incontrato delle donne, più o meno affascinanti, hanno scritto frasi su fogli di carta, più o meno perdute, hanno pensato ad un luogo in cui avrebbero vissuto per tutta la vita, più o meno vicino al loro luogo di nascita. Hanno fatto dei progetti, più o meno riusciti, più o meno conclusi. In questo momento penso a quattro opere che, in vario modo, hanno un comune filo rosso: di Michelucci, il Teatro a Olbia; di Miralles, la Nuova sede di Architettura a Venezia; di Quaroni, la chiesa di Gibellina Nuova; di Samonà, il Teatro popolare di Sciacca.


Quattro opere che in vario modo hanno segnato il potere culturale degli architetti, e per questo intendo la capacità di comunicare idee che diventano elementi attrattivi. In maniere differenti sono anche opere nodali che lottano, o hanno lottato, con l'incapacità di certe generazioni di confrontarsi con la morte. L'argomento è spinoso, ma passa attraverso la nostra vita e nessuno può farci nulla, che non siano iperrealtà hollywoodiane. Il progetto, l'etimo lo denuncia, individua un varco nel quale è possibile incastrare, come un cuneo, per alcuni attimi, l'anticipazione di un futuro possibile. Se l'inserimento avviene, e i presupposti che lo informano riescono ad essere convincenti, allora nulla può essere fatto per avversare quell'attimo. L'attimo, sospeso nel suo tempo di definizione dell'idea, s'incunea e si radica fino a diventare storia.

[26may2002]
Ad Olbia il cuneo si è radicato talmente tanto che non è solo storia, adesso, ma è anche presente, elemento attivo di partecipazione. Probabilmente il signor Michelucci da Pistoia non ha potuto sedersi tra le file di posti in platea per assistere ad una prima di Gassmann, o di Carmelo Bene, tant'è. Permane il significato, permane l'alito vitale di una idea che continua a condividere qualcosa tra il luogo ed i suoi abitatori. Questo qualcosa aveva un significato all'atto della sua individuazione, ne ha assunto un altro all'atto della sua trascrizione e un altro ancora durante la realizzazione. Livio Vacchini ha detto che l'architettura è teoria, disegno e caso.

Certamente anche a Venezia accadrà qualcosa, di cui Miralles ha posto i principi fondativi. Il tempo sarà, a ragione, decisivo nel porre questi principi al centro del dialogo tra i costruttori e i fruitori dell'opera. Ma di questo ne parleremo tra qualche anno. Mentre a Sciacca alcune cose sono già accadute, basta andarci, basta vederle, basta assumersi almeno la responsabilità di essere osservatori e operatori. Il Teatro popolare, condotto a definizione da Samonà, almeno sino alla sua fuga dall'universo terracqueo, ambisce a diventare quello che è, o almeno quello per cui è stato pensato.

I problemi di Sicilia sono certamente tanti, e la siccità di intere aree rasenta la comparsa di zone desertiche propriamente dette. Il problema del lavoro di almeno due generazioni di giovani non fa intravedere prospettive di sviluppo, a scanso di inenarrabili sforzi organizzativi. Eppure dentro la sua aura di statuto speciale l'economia generale ferve di iniziative e proposte, basti guardare i cosiddetti Programmi Integrati Territoriali e i milioni di euro che orbitano intorno ad essi.

In Sicilia, ma è un atteggiamento costante, purtroppo, del Sud, si vive questa speculare assurdità: grandi risorse, anche culturali e contemporanee, e il rifiuto generalizzato di una trasformazione. Cambiare è cambiarsi, è perdere qualcosa del proprio io, e qui si radica l'atteggiamento di questo rifiuto. Allora bisogna che altri si accollino questa responsabilità, a muso duro, per tentare di sostenere una modificazione di statuti secolari dei quali si sono perduti i presupposti ma è rimasto inalterato l'effetto. Un poco come la storia delle ingerenze che la comunità internazionale propone e attua in zone di guerra, qui la guerra è fatta di silenzi e le mute bombe esplodono a scoppio ritardato. Ci si gioca la credibilità e la reale responsabilità verso l'architettura. Per cui il Teatro popolare di Sciacca, ideato da Samonà, va concluso. Saranno gli ingegneri e gli architetti a prendersi la responsabilità di una proposta verso gli operatori pubblici, gli amministratori locali, le forze culturali in Italia. Credo che questo valga più di un proclama, di un manifesto d'intenti da allegare agli atti di un convegno, di una carta delle risoluzioni da cui, poi, si è tutti “invitati” a trarre le opportune deduzioni. Qui e Adesso deve valere quest'impegno, altrimenti la nostra etica professionale è solo un granello di plastica nel deserto di sabbia di diritti e doveri professionali.

Lo scandalo credo che sia, inoltre, raggelare dinanzi al crollo della chiesa di Quaroni. Raggelare e basta, senza avere il coraggio di far nulla. La cosa è caduta, pazienza. Proviamo a vederla come un crollo di condizioni che nel tempo s'erano consolidate, o come la metafora di una posizione perduta nel campo di battaglia delle certezze acquisite. Certo, dopo l'11 settembre del 2001 altro è cambiato e gli abitanti della terra hanno ricominciato a contare da zero. Cosa ci interessa della chiesa di Quaroni? Ma se bisogna partire da qualcosa per ricostruire una idea fondativa, senza perdersi nel dai e dai dell'ipervittimismo, allora questo momento può essere determinante. Ho già proposto a Sandro Lazier e Paolo Ferrara di istituire un forum aperto sulla questione insoluta del Teatro popolare di Samonà a Sciacca, nella speranza che il canale culturale valga più delle interferenze politiche; ribadisco la cosa a Marco Brizzi e a chi legge ARCH'IT. Bisogna ritrovare una coerenza dentro un buon progetto. Credo che l'Italia nasconda altre cicatrici aperte e profonde come quella citata (non ho chiarezza dell'intero panorama nazionale sulle opere contemporanee incomplete), e che dovranno essere riportate alla luce, ma vorrei si ripartisse da qui come l'inizio di una proposta culturale, prima che architettonica. Ovviamente la responsabilità di queste attenzioni è di tutti, non c'è nessun Quixote e nessun Superman: il potere pervasivo dei fatti vale più di qualunque celebrazione di atti non compiuti.

Ha scritto il poeta Joao Guimaraes Rosa: “le persone non muoiono, rimangono incantate”. Ecco cosa penso, infine, di Samonà.

Domenico Cogliandro
cenide@citiesonline.it
Le foto pubblicate in questa pagina sono opera di Fabio Ghersi.
> L'ARCHITETTURA A CONVEGNO
> ANTITHESI
> FILES

 

 

laboratorio
informa
scaffale
servizi
in rete


 







copyright © DADA Architetti Associati