Tra
i nuovi linguaggi contaminati del progetto di Architettura Castelmola, un balcone sullo Ionio. Da qui Taormina, Giardini Naxos e il vulcano Etna si ammirano dall'alto. Non si lascia guardare dal basso, la raggiungi dopo dieci tornanti ma non la riesci mai a vedere. Finalmente la piazza, tutta di pietra, con una balaustra che incornicia il mare. Tutta di pietra, bianca, rossa o nera. Tutta di scale, grandi, piccole, ma ripide. Ogni casa un diverso livello e una sequenza di gradini, che diventano sedute per i vecchi o per i pochi bambini. Questo il luogo dove lassociazione ArteAlta - Castelmola città degli artisti, con il patrocinio di IN/ARCH Sicilia, Comune di Castelmola, Provincia di Messina, Accademia di Belle Arti di Catania e Accademia di Belle Arti di Brera, ha organizzato cinque giorni di eventi dal titolo: "Arte & Architettura: Contaminazioni Mutevoli". Un incontro di critica del progetto di architettura e dei nuovi linguaggi di rappresentazione, curati dagli architetti Franco Porto ed Eleonora Cacopardo. Sono stati invitati giovani progettisti professionisti per operare a Castelmola, così come precedentemente hanno fatto altri protagonisti di altre arti. Era indagata la fattibilità di realizzare un Museo di Arte e di Architettura contemporanea, che potesse definitivamente collocare le numerose opere donate allassociazione ArteAlta dagli artisti ospitati negli ultimi anni. Le prime due giornate hanno consentito di conoscere tutti i protagonisti con appositi incontri serali nell'auditorio che domina la piazza di pietra. Nel dettaglio c'erano Antonella Mari, Santo Marra, Giuseppe Fotia, Pietro Latella e Luciana Polimeri, Enrico Anello, Angelo Catani e, Francesco Ferla, UFO (Steve Hardy, Claudio Lucchesi, Jonas Lundberg, Andrew Yau, Arjan Scheer, Theo Kanelloupolus), Luigi Centola e Valentina Piscitelli, Lucia Papa, Paola Mariotto e Celestina Sgroi, Giovanni Vaccarini e Gianluca Milesi. Sono state organizzate due conferenze: "Il rapporto tra Arte e Architettura: verso un nuovo dialogo" e "La Nuova Architettura in Italia e i Nuovi Linguaggi del Progetto", con la presenza di autorevoli esponenti dellArte e dellArchitettura nazionale ed internazionale, quali Luca Molinari (direttore della sezione architettura della Triennale di Milano), Luigi Prestinenza Puglisi (critico di architettura), Kivi Sotomaa (gruppo finlandese OCEAN NORTH), Enzo Indaco (direttore dellAccademia di Belle Arti di Catania), Giuseppe Frazzetto (critico darte), Franco Porto (presidente di IN/ARCH Sicilia e Eleonora Cacopardo (architetto, presidente di ArteAlta). Nella giornata conclusiva i gruppi invitati hanno presentato le loro proposte ed una commissione di critici formata da alcuni degli esponenti precedentemente citati ha deciso di individuare, tra tutte, due proposte: quella redatta da Antonella Mari e quella del gruppo UFO (Urban Future Organization) e Luigi Centola Associati, classificandole al primo posto a pari merito, incontrando un consenso unanime, per la capacità di indagine tra arte, architettura e paesaggio. Si spera che i due gruppi possano diventare uno solo, per elaborare un'unica proposta definitiva che contenga in ogni modo le peculiarità progettuali evidenziate. Magnifica l'intuizione di Antonella Mari con i grandi tentacoli - binocoli di una struttura ipogea, che si lascia percorrere sul dorso, per godere dello splendido scenario che finalmente comprende Castelmola. Complesso il percorso progettuale di UFO e Centola associati che invece elabora una proposta su moduli progressivi, che ipotizza una crescita morfologica futura della struttura iniziale. Tutte le altre proposte meritano di essere commentate e viste, presto una mostra ed un catalogo con gli approfondimenti critici di Luigi Prestinenza e di Luca Molinari. L'atmosfera che per cinque giorni ha fatto di Castelmola una vera città degli artisti e dove l'architettura ha raccolto imprevisti consensi, andrebbe raccontata a parte, ma lasciamo che siano i protagonisti a raccontarcela attraverso i risultati dei loro lavori. Franco Porto francoporto@hotmail.com |
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"Più
che aria/ più che acqua/ più che labbra/ leggera leggera.
Il tuo corpo è l'orma del tuo corpo", sono parole di Octavio
Paz, di una poesia scritta a metà degli anni Sessanta. Forse
la sua musa ispiratrice era altro da quel che qui voglio intendere,
io la trasfiguro in quella cosa che si può definire "artitettura".
In tal senso, le parole sono profetiche. Ma lo sono per un momento,
quello che viene prima della disillusione. Qualunque cosa sia, da qualunque
istanza discenda, questo momento preventivo è necessario per
spingersi oltre la nostra natura di esseri coscienti. A Castelmola,
irta sopra il colle che sovrasta Taormina, visti alcuni esiti, a cavallo
dell'addio d'agosto e del ritorno di settembre, s'è toccato con
mano il momento di cui or ora. Eppure, nella irrequietezza di un attimo
preliminare, la distensione del tempo ha volto in favore, ritengo, di
un esito sperato, quando non voluto. A Castelmola, sede di un incontro
di critica e progettazione tra contaminazioni mutevoli, così
l'incipit, è avvenuto un sodalizio tra il corpo ctonio dell'architettura
e la sua diafana trasparenza. È possibile che siano soltanto parole. |
[13oct2002] | |||
Certo,
può darsi, ma in questo dipanare le parole sta la ricerca di
certa generazione di architetti: da una parte, tra tutti, gli Ufo speleocroni,
accompagnati a Centola, almeno quanto Gianluca Milesi, già lontani
dal proprio tempo, rivolti a linguaggi in corso di definizione e per
questo mutevoli; da altra parte la tentazione di riflettersi, senza
abbandonare il contemporaneo, nella permanenza vernacolare del fare
edilizio (Antonella Mari ha puntigliose osservazioni verso l'esistente
e le sue trasformazioni), per trovare nelle pieghe del dire d'architettura
un modo diverso di radicarsi al presente. Dice Octavio Paz: "Il tuo corpo è l'orma del tuo corpo". Stiamo inseguendo un tempo dell'arte, che ormai ci è sfuggito di mano, o stiamo tracciando la frasi di una lingua esperanta, coscienti di essere compresi da pochi? Non ho dati per dare una risposta esatta. So di appartenere ad una generazione vessata da maestri e finti maestri, confusa sul dire e sul da farsi, e che si è dovuta, a suo modo, costruire una struttura di riconoscibilità all'interno della quale ospitare i modi, le circostanze, una certa radicalità d'intenti, alcuni slang per parlare e scrivere, e con la quale ha fatto i conti in maniera da equilibrare i sogni con le ragioni. Cinque anni di scarto, oggi, sono una generazione. Dentro quest'ultima stanno proprio Lucchesi, Marra, Vaccarini, Anello e tutti gli altri che hanno progettato un museo dell'arte per Castelmola, con tutto quel che ne consegue: modi di scrivere, tematiche, capacità di rappresentare, eccetera. Posso dire che, nel loro piccolo (anche se non esiste una realtà microica, nonostante le speranze), hanno proposto disegni di mondo, il cui vasto e imperdibile contenuto fa a gara con tutte le invisibili città narrate da Calvino e, al tempo stesso, con la simulazione neuromante di Gibson. Per quel che ho visto, quel poco che ho potuto cogliere, quei progetti di "luoghi per l'arte" stanno in equilibrio tra una letteratura sedimentata e una visione di possibili mondi. Questo è quanto. Anche se vorrei fare una breve digressione su una mia affermazione: quel poco che ho potuto vedere. |
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Io
non credo che il progetto valga l'edulcorazione della sua definizione
formale, anzi è costituito proprio da tutti i sedimenti parziali
e incerti che sono il tempo che l'hanno reso tale. Solo per citare De
Saint-Exupéry. Le nostre città sono sedimenti parziali
e incerti, e cambiano ad ogni levata di vento: ogni volta che un oculista,
uno psicologo, un commerciante (diventati sindaci a furor di popolo)
ritengono di dover portare la loro personalissima esperienza, il loro
modo di vestire o di arredare casa, la loro filosofia organizzativa,
al servizio di tutti, ritenendo di essere capaci, pars pro toto,
di leggere e scrivere le città nello stesso modo in cui trascrivono
ricette e fatture. Questi signori, tranne che non siano illuminati da
una divina passione per l'arte, che è sempre un buon punto di
partenza, non tengono mai conto di quei sedimenti e, per il potere che
è loro concesso, spesso li dimenticano, quando non li demoliscono
o li sostituiscono con memorie del nostro tempo, per le generazioni
future. Io credo che l'esperienza di Castelmola valga il suo esito,
il fatto che alcuni linguaggi, più che i progetti, e gli architetti
che li hanno proposti, siano stati valutati e valorizzati (dato l'insito
incitamento a perseverare) da Luigi Prestinenza Puglisi, Luca Molinari
e Kivi Sotomaa, membri della giuria con gli organizzatori Franco Porto
e Eleonora Cacopardo, ma ritengo anche che bisogna darsi un programma
esteso, di temi e di intenti, per riuscire ad attraversare indenni il
tempo e destinare ad altre generazioni le orme del nostro corpo. L'esperienza
vale, può valere, se accoglie esigenze generative, e come metodo
esportabile. Ci sono progetti, ancora se ne trovano, che non possono
dirsi "del tempo che viviamo", appartenenti a certe esperienze
e a certo modo di attraversare indenni il tempo, per questo universali,
i cui contenuti valgono come cardine per generazioni, tempi e luoghi,
indifferentemente. Questi progetti, non sempre realizzati, valgono il
metodo che li ha resi tali. Basta farci caso, sono come emersioni di senso, emersioni circolari. Nulla a che vedere con le rovine circolari di Borges, però certo che il parallelo sarebbe oltremodo suggestivo. Per cui vorrei ritornare sul luogo del museo, come il signor Poirot, perché ogni tanto ritorna su come una specie di rigurgito, un pensiero etico volutamente rimosso ma che risale e rimette in discussione i miei preconcetti su certo modo di scrivere architettura. Non me ne vogliano gli architetti che hanno radicato i loro musei "sopra" il sito (progetti che comprendo e rispetto, dei quali la fattibilità sta nell'ordine delle cose e per questo, lo so e sto bene a saperlo, si collocano dentro una scrittura che mi appartiene). I progetti del gruppo Ufo+Centola, e per sottrazione quello della Mari, hanno interessanti convergenze con una modalità individuata da Carlo De Carli molti anni fa, con una maniera di porsi. Il tempo cancella le cose, modifica le idee, trasforma i mezzi attraverso i quali queste vengono concepite e proposte, eppure ritorna a considerare, in luoghi e circostanze differenti, che la relazione uomo/natura non debba essere esclusivamente nominale, e dunque parodistica. "Gli schemi volumetrici che qui riproduciamo, detti da De Carli "i primi studi delle rotture verticali nei piani geometrici", risalgono al 1944 (studi sulla Continuità), e rappresentano il procedimento di generazione delle sue forme e architetture: sono volumi non composti, o combinati, o sommati, o estratti l'uno dall'altro, ma articolati quasi per slittamento, attraverso piani inclinati, in una continuità ininterrotta", scriveva Gio Ponti. Questo mi ricorda una lezione, forse meglio un racconto d'architettura tenuto a Roma da Enric Miralles alcuni anni prima della sua morte. Allora Miralles fece vedere dei suoi progetti, narrandoli più che spiegandoli e individuando per ognuno e per tutti un filo rosso che teneva strette le metodologie all'interno di un solo modo di leggere il circostante e, per come ne parla Tavora, la circostanza. Finita la proiezione delle diapositive sui progetti, mostrò due immagini a margine il cui principio compositivo ben si attagliava al metodo da lui usato per produrre le sue architetture. Disse, grosso modo, che quelle due costruzioni vernacolari (una delle quali fotografata a Capri) furono una scoperta straordinaria ex post (in questo la sua onestà intellettuale, o forse solo la sua maniera di gestire un coup de théatre), una verifica a posteriori, non quindi una ispirazione o un riferimento, di come in architettura si insegue tutti un certo sogno, e come quel sogno appartenga in maniera radicale all'uomo, il sogno di abitare la terra, indipendentemente dalla cultura, dall'età e dalla tecnologia usata. Credo di voler aggiungere questo, a quanto già scritto su quest'argomento. Più o meno. Io non ricordo, perché la rimozione gioca questi scherzi, quanto del progetto di Ufo+Centola, e della Mari, per Castelmola derivi dalla lettura di procedimenti simili già da altri proposta: certo è che il loro modo di porsi, di un equilibrio, mi pare, tra discrezione e invasività, il loro modo analitico di affrontare la questione, la pertinenza di certe osservazioni, sviluppino, seppur in maniera incosciente, gli studi di De Carli, e spingano il ragionamento sulle cose da fare oltre il naso di chi osserva, me compreso. |
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È,
appunto, del febbraio 1944 questa nota di De Carli, che agli esercizi
sulla forma si riferisce e che dedico, con riguardo, agli architetti
che hanno sviluppato il progetto per Castelmola: "Ripresento questi
segni di Architettura, che affermano il valore della "Continuità"
e sollecitano lo studio della forma in rapporto alla natura, già
turbata. Ne faccio ora menzione (...) con la gentilezza di stendere
immagini fra spazi bianchi che potranno contenere nuovi pensieri e amore
alla regola." Credo che ragionare sui sedimenti urbani, più che mettere in atto idee parziali (e meglio elaborate da altri), valga la scelta di proporre progetti per le città dimenticate. È palese che i linguaggi d'architettura, perché anch'essi ricerche letterarie per modificare l'uso della lingua e renderla universale, servano a modificare il modo d'intendere le trascrizioni urbane. Ma non credo che basti una parola, o una frase, a colpire i nostri avventori, i clienti, gli amministratori: va scritto un racconto, almeno questo, le cui compiute forme e i cui meccanismi rendano evidente una scelta al posto di un'altra. Si prenda ad esempio la Tabula Peutingeriana (redatta nel VI secolo, e trascritta nel tredicesimo) è uno dei primi esempi di "disegni di mondo". Ma non è una corretta rappresentazione del mondo sino allora conosciuto, quanto una esatta trascrizione della successione dei luoghi: una carta degli itinerari. È la prima immagine di una sequenza di parole disposte in un determinato ordine; la sequenza viene ad essere ricordata grazie ad una operazione mnemotecnica (giochi di parole, assonanze, false etimologie) nella forma della preghiera o, meglio, della litania, all'interno della quale dimenticare un passo significa perdersi nell'indeterminato. La Tabula è una striscia di pergamena lunga più di sei metri trascritta da qualcuno un improvvisato, o cosciente, cartografo che decise di trasferire una conoscenza verbale ad una memoria scritta. È anche, però, il trasferimento di un modo di conoscere il mondo, di rendere trasmissibile ed universale una conoscenza basata esclusivamente sulla diversità di linguaggio. Troppo? Domenico Cogliandro cenide@citiesonline.it |
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