The
Whitney Museum of American Art hosted, between March 1st and June 1st
2003, a significant restrospecive on the work of two among the most
provocative architects practicing today: Elizabeth Diller and Ricardo
Scofidio. Scanning: The Aberrant Architectures of Diller + Scofidio
is introduced, on the pages of ARCH'IT, through three presentations:
in "Installing Diller + Scofidio at the Whitney" Alicia
Imperiale focuses on the immersive and intense journey that D+S
lay out for the visitors of the exhibit; in "Display Engineers" Aaron
Betsky, co-curator of the show with K. Michael Hays, gives an insightful
investigation of D+S’s oeuvre; and finally there is a brief interview
to the architects conducted by Marco Ligas Tosi. [PG] |
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MARCO
LIGAS TOSI: Quale sarà l'architettura del futuro? RICARDO SCOFIDIO: Sarà l'architettura mutabile, trasformabile. Non sarà sicuramente statica, ferma e poco trasformabile, si relazionerà sempre più con del gente del posto, si adatterà sempre più alle esigenze di noi tutti. ELISABETH DILLER: Inoltre, si mescolerà sempre più l'uso della tecnologia con l'arte, la flessibilità con la leggerezza, la natura e l'ambiente dovranno sempre più essere in sintonia con la realtà circostante. Non vi saranno regole convenzionali, si mescolerà teatro e scienza, performance e danza... MARCO LIGAS TOSI: Non a caso ogni vostro lavoro sembra nascere dalle suggestioni del luogo e del presente. Viene riletto con delle performance. Inoltre, ridefinire concetti e posizioni è un modo di lavorare molto vicino a quello dell'arte contemporanea. RICARDO SCOFIDIO: Si, è sicuramente vero, non abbiamo preclusioni di campo utilizziamo il mezzo giusto per il progetto giusto. Abbiamo realizzato spesso progetti come installazioni, performance, o eventi di danza contemporanea, legati appunto al luogo e alla situazione. ELISABETH DILLER: L'arte contemporanea come l'architettura moderna ci insegna che concetti come lontano/vicino, interno/esterno, bello/brutto, solidità/fragilità, chiaro/sfuocato, bianco/nero, vengono sempre e giustamente messi in discussione. Un dubbio unico che ci fa rapportare alle esigenze e all'interazione della gente. MARCO LIGAS TOSI: È indubbio che il progetto "Blur Bulding" colpisca in profondità, ma la mia curiosità rimane: perché questa architettura delle nuvole, perché questa fabbrica del nulla, perché proprio con l'acqua? RICARDO SCOFIDIO: L'acqua, elemento immateriale, assume in architettura caratteristiche diverse. Diventa corpo, materia, parte strutturale di un edificio. Il flusso si scopre barriera, ed in quanto tale divide, regge e protegge. Il filo logico della nostra ricerca ci porta ad avvalorare questo aspetto cercando di renderlo attuabile, reale, e applicabile anche in un'architettura già esistente e di conferire all'acqua un valore completo. Il nostro cammino tematico si chiude con il tentativo di prendere in esame un elemento architettonico antico e fonderlo con alcune delle possibili funzioni dell'acqua da noi studiate... ELISABETH DILLER: Dobbiamo essere buoni lettori, prima di cominciare a scrivere. Bisogna quindi essere in sintonia con l'ambiente circostante, prima di far una buona architettura. Così a Neuchatel abbiamo osservato l'ambiente e realizzato un'idea che si integrasse e si adattasse perfettamente con il lago, una nuvola di vapore, appunto d'acqua, l'elemento primario di quel luogo. MARCO LIGAS TOSI: Vi ho sentito raccontare un aneddoto relativo alla vostra retrospettiva "Scanning: The Aberrant Architecture of Diller+Scofidio" presso il Whitney Museum of American Art... RICARDO SCOFIDIO: Abbiamo pensato di portare alcuni esempi di pareti su cui sono state appese importanti opere d'arte, nella convinzione che l'energia di queste sia trapassata e rimasta nel muro. Abbiamo a questo scopo strappato la parete del Museum of Modern Art sulla quale Duchamp aveva per la prima volta esposto il noto orinatoio. Per portare a termine l'operazione, ci siamo recati nel museo, inizialmente chiuso per i lavori di ampliamento e ristrutturazione, e abbiamo così staccato dal muro la sezione di parete dove l'opera era stata appesa. ELISABETH DILLER: La mostra al Whitney non doveva essere una sorta di retrospettiva. Una mostra in un museo è esattamente il contrario del nostro modo di pensare e progettare. Allora abbiamo concepito la mostra come un progetto all'interno del quale confluiscono moltissimi materiali diversi, video, design, scrittura, elettronica, informatica, meccanica, moda, pittura, disegno e una nuova installazione: un trapano robotizzato, controllato da un sistema elettronico, che per tutta la durata della mostra pratica fori nei muri della galleria... Ci piace il presente, non il passato o il futuro. E ci piace far vivere i luoghi in cui lavoriamo. |
[29oct2003] | |||
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IMPERIALE: INSTALLING: DILLER+SCOFIDIO AT THE WHITNEY |
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