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Vorrei... non vorrei... ma se vuoi...

Simone Muscolino, Stefano Mirti
Quella che segue è una conversazione che Simone Muscolino e Stefano Mirti hanno intrattenuto intorno al tema del video d'architettura, discusso nella giornata di oggi presso il Politecnico di Milano, nell'ambito del programma Il progetto, video. Muscolino è autore di video. Mirti, noto ai lettori della sezione simple tech di ARCH'IT, fa parte di Cliostraat ed è professore associato presso l'Interaction Design Institute Ivrea dove lo stesso Muscolino svolge attività didattica istruendo gli studenti nella pratica della comunicazione video dei loro progetti. Gli argomenti introdotti dal presente dialogo rivelano alcune delle più attuali e fertili inquietudini che vedono il progetto al centro di un sistema di comunicazione cui sembra sempre più inevitabile riferirsi. Il richiamo alla popolarità di esempi di tratti dalla produzione radiofonica esprime il senso di inadeguatezza di alcune pratiche di comunicazione dell'architettura contemporane e sottolinea l'urgenza di stabilire efficaci modalità di contatto con il pubblico. Il preciso riferimento alla necessità di ritrovare delle forme narrative, nelle opere video così come nelle architetture, suggerisce ulteriori spunti per una lettura di molti dei fenomeni in atto. [MB]




Domenica. Primo pomeriggio. Sono in macchina e attraverso la città verso lo studio. Mi piace andare in macchina la domenica pomeriggio, non c'è traffico e la città scorre fluida ai lati. Autoradio. Le trombe squillano energiche e allegre. Parappappapapaparappapa pa'. Era anni che non sentivo quel brano. Sorrido. La musica sfuma e la voce di Radio Rai annuncia "Tutto il calcio minuto per minuto".
Era anni che non sentivo questo jingle. Proust aveva la madeleine e io ho l'attacco di "Tutto il calcio minuto per minuto". Ognuno ha le sue. Ritmi serrati e informazioni precise. I collegamenti con i vari campi prima del fischio d'inizio: il nome dello stadio, le formazioni, la situazione climatica, lo stato del manto erboso, il numero degli spettatori, chi arbitra, chi c'è, chi manca, le curiosità sulla partita. Splendido prologo alla narrazione vera e propria, la partita di calcio.

Ehi, caro il mio cineasta, ho capito già dove vuoi andare a parare...
Cosa credi, che te la facciamo passare liscia? Che adesso ci fai l'apologo di "Tutto il calcio minuto per minuto" spiegandoci che noi architetti dovremmo fare dei video congegnati con quel tipo di linguaggio lì?

Beh... Mica sarebbe sbagliato... Ritmi serrati e informazioni precise... Se penso a come gli architetti usano il video, sarebbe già un passo avanti.

Uh... Non sarà mica un caso che "Tutto il calcio minuto per minuto" tratta di calcio e non di bowling o ping-pong.
Se ci fosse una trasmissione radiofonica ben fatta sulle bocce o sul pallone elastico, ancora, nessuno la ascolterebbe.
Per carità, nessuno contesta McLuhan, il medium che è il messaggio ce l'abbiamo tutti stampato in testa. Però ancora voglio vedere i ritmi serrati e le informazioni precise applicate al minigolf.
Anche, spingendo il discorso ancora più in là, possiamo dire che rispetto a "Tutto il calcio minuto per minuto" la zona così come la intendono Zeman o Sacchi si presta meglio del catenaccio all'italiana. Se Gianni Brera scrive un articolo, è in grado di scrivere un pezzo epico anche su uno zero a zero. Se si tratta della trasmissione radiofonica serrata, il fatto di giocare in un certo modo è strumentalmente più adatto. Se la partita finisce quattro a tre, se ci sono dieci partite come questa in contemporanea, il tutto diventa entusiasmante.

Tutto questo per dire?

Che se gli architetti fanno architetture noiose e insulse, non c'è verso di salvarle con un video dal ritmo serrato e dalle informazioni precise. Sarai ben d'accordo che è una questione di tipo narrativo...

Già, e di narrazioni stiamo parlando. Di racconti audiovisivi dedicati all'architettura. Ma cosa vuol dire fare video di architettura? Dare una risposta univoca sarebbe riduttivo se non insensato e infatti, nella rassegna in programma vedremo diverse possibili declinazioni. Ad ogni modo, io una mia idea me la sono fatta.

Il problema dell'architettura è che gli architetti vorrebbero partecipare a "Tutto il calcio minuto per minuto", ma si ostinano a voler giocare a bocce (o a qualsiasi altro sport dal bassissimo valore di coinvolgimento emotivo).
Se non si inizia a ragionare su uno sport/disciplina che sia affascinante, emozionante, coinvolgente, non si andrà mai da nessuna parte.

Va bene, su questo sono parzialmente d'accordo. Però, per esempio, potremmo partire dal cinema, che è il riferimento più facile e immediato. Senza farla troppo lunga, a me del cinema piace il modo in cui la struttura narrativa viene articolata lungo una linea temporale attraverso il visivo e il sonoro (per dirla semplice: la maniera in cui vengono raccontate le storie); e soprattutto, mi piace vedere che al cinema l'architettura non è un oggetto fine a se stesso, ma il contenitore delle azioni umane. I personaggi usano lo spazio e gli oggetti in modo da manifestarne le caratteristiche e, allo stesso tempo, gli oggetti e lo spazio influenzano le loro azioni, i loro sentimenti, le loro relazioni. Tutti aspetti spesso trascurati nei video di architettura.

E infatti i video di architettura sono sempre noiosi. Perché capita questo? Perché le architetture a cui si riferiscono non raccontano nessuna storia, o se raccontano storie sono storie insulse.
L'unica condizione di poter parlare di questo argomento è di accettare il diktat di Marshall McLuhan.
Se noi accettiamo che è il medium che fa il messaggio, allora è doloroso. Perché il messaggio non è più l'architettura ma il video che la racconta.
Ma allora, se il messaggio è il video, perché non partire dal video stesso? In questo senso, è evidente che l'architettura non conta più nulla.

Ma così dicendo, caro architetto, contraddici l'affermazione fatta poco prima. Avevi appena detto che non c'è verso di raccontare il campionato del mondo di dama in maniera entusiasmante. Adesso invece dici il contrario...

No, dico solo che anche giocando a dama si può ingenerare interesse ed eccitazione. Voglio dire, se poi alla terza mossa, tiro fuori una bottiglia di alcool e do fuoco a tutto, immediatamente Enrico Ameri si collega al mio tavolo e inchioda milioni di radioascoltatori sulla cronaca del tutto.

Nonostante queste osservazioni, non credo che il cinema sia il miglior riferimento per affrontare l'audiovisivo così come verrà introdotto e analizzato in questo incontro. I film sono prodotti molto complessi, costosi e soprattutto lunghi: un video di architettura di un'ora e mezza facilmente è un lavoro di una noia mortale.

In genere, anche quelli di un minuto e mezzo sono di una noia mortale. Come mai?

Credo che, da questo punto di vista, sia molto più interessante guardare ai videoclip musicali e agli spot pubblicitari, cercando di capire come siano strutturate le narrazioni nelle forme brevi. Se l'architettura è sempre più considerata un prodotto, o per lo meno se il video la racconta come tale, perché non provare a utilizzare le forme proprie del marketing? E poi sarebbe meraviglioso se Michel Gondry (www.director-file.com/gondry) facesse un video per il prossimo progetto di Rem Koolhaas. O se Koolhaas lo facesse fare a me che conosco a memoria tutti i video di Gondry.

Fino a che gli architetti non iniziano a ragionare in termini di storie da raccontare, non si andrà mai da nessuna parte.
Gli architetti dovrebbero passare meno tempo a leggere le riviste di architettura, investendo quell'energia a leggere Buzzati, a leggere Kafka, a guardarsi tutto Stanley Kubrick e Robert Frank.
Gli architetti non hanno capito che il mondo vuole narrazioni, vuole storie, non vuole discorsi tettonici o riferimenti interni alla disciplina. Il mondo, le persone vogliono sognare. Io penso che la storia del marketing sia fuorviante. Che Guevara non era marketing e funzionava perfettamente. All'opposto, il sapone Camay è puro marketing, ma avrei difficoltà a portarlo come esempio di narrazione.
...splendida... ...sembri uscita da una favola... ...con quel pizzico di fascino... ...in più... (voce fuori campo: Camay, il sapone per la donna che vuole essere bella).

Si però Adidas, Nike, Playstation, Diesel e compagnia bella... Non ne sbagliano una...

Ok. Adesso ti snocciolo una serie di nomi. Prada, Koolhaas, Chemical Brothers, Armani, Ando, Ducati, Cappellini, Arad, Valentino Rossi, Zaha Hadid, iMac, Vitra, Gehry, Mtv, Wallpaper, Bjork, Gondry, Sony, Illy, Bourgeois...

E io cosa stavo dicendo? Esattamente la stessa cosa...

No. Stiamo dicendo due cose diverse. Tu presumi che ci sia un mondo del marketing e un mondo dell'arte, dell'architettura, della musica. Mentre a me sembra che c'è un unico mondo, dove l'artista concettuale disegna tazzine per il caffè, le motociclette finiscono al Guggenheim, la cantante dei miei sogni fa uno spot per la schiuma da bagno e così via. Esiste un mondo più o meno affascinante fatto di narrazioni complesse. Tutti i nomi sopracitati fanno parte dello stesso sistema, sono assolutamente intercambiabili, elementi dello stesso puzzle.
Poi c'è un altro mondo, ed è quello degli architetti noiosi. Che a me interessa un po' di meno. Gli studenti che hanno come sogno quello di diventare architetti noiosi sono un fenomeno antropologico ancora più curioso.

Va bene. Il design e l'architettura hanno a che fare con lo spazio e con gli oggetti. Di questi ultimi, ci interessano i materiali, la forma, la dimensione, chi li usa, come li usa e come potrebbe usarli. L'audiovisivo ci permette di comunicare questi temi attraverso l'immagine e il sonoro. E soprattutto ci permette di raccontare delle storie. Fin qui ci siamo. E questo rimane un punto di partenza mica da poco.

Ma si... Ho capito che tu devi vendere questa idea del video applicato all'architettura.
Quello che voglio dire io è che quello che ha costruito Villa Adriana (o Bomarzo o altre cento architetture strepitose), non aveva nessun video, però ancora costruiva sistemi narrativi che neanche il Kubrick di Arancia Meccanica ci arriva. Juvarra a Stupinigi, Melnikov... pensa a Giulio Romano...
Dal punto di vista dell'architetto non è che senza video non si riesce a narrare...

Si, però Juvarra aveva un certo Ricci che gli dipingeva le vedute dei progetti finiti per convincere il Re a pagargli i suoi sogni architettonici.

Va bene, ma siamo sempre alle solite. Anche mio zio ha uno in studio che fa dei rendering bellissimi. Però siccome mio zio è un architetto sfigato, a prescindere dal rendering, nessun re gli commissionerà mai alcunché. Il punto è diverso, va ribaltata completamente la prospettiva.

Se chiacchieriamo di questo, l'unica condizione possibile è quella di costruire architetture avendo in testa che queste architetture saranno raccontate con un video. Esattamente come era per gli eroi del movimento moderno. Che costruivano le loro architetture avendo in testa una precisa narrazione fotografica.

Vedo che iniziamo a intenderci...

Parlare di design e di architettura raccontando delle storie crea desiderio. Il desiderio crea esigenze. Le esigenze richiedono soddisfazione. Nella produzione di nuovo design e di nuova architettura, questa è una dinamica che parte dal progetto e arriva alla definizione di un mercato.
In estrema sintesi, per me un video di architettura dovrebbe funzionare più o meno in questo modo: dare informazioni tecniche sul progetto per sostenere un racconto fresco, divertente e intrigante. Più o meno come in "Tutto il calcio minuto per minuto", ma più breve.

Forse, il video deve raccontare un qualche cosa. Per raccontare questo qualche cosa, l'architettura deve essere pensata in funzione del racconto video. Le informazioni tecniche, non sono nulla.

Per sviluppare il racconto audiovisivo di un progetto architettonico ci sono molte possibili soluzioni linguistiche, secondo le capacità creative e narrative di ciascuno. Ci sono però altri vincoli, e vale la pena di fare qualche considerazione sugli aspetti tecnici e sull'attuale accessibilità dello strumento.
Negli ultimi dieci anni il costo delle macchine necessarie alla produzione di un video è crollato. Lo studio di post produzione dove ho cominciato a lavorare come montatore (e parlo di cinque anni fa, non di trenta) era dotato di una macchina che costava più o meno il corrispettivo di 100.000 euro. Quella macchina non faceva né più né meno di ciò che oggi ci permette un computer di ultima generazione, il cui costo si aggira intorno ai 3000 euro (facciamo 4000 mila e ci mettiamo pure la licenza dei software). Insomma, il limite non è più nel costo dell'hardware e il valore reale del prodotto sta sempre più nella freschezza creativa di chi mette mano e testa in queste produzioni.

Ma si... Siamo sempre alle solite. Che se mi compro l'iMac ho la stessa potenza produttiva che aveva Eisenstein. Però, ancora, non mi sembra che ci sia tutto questo fiorire di film strepitosi intorno a me.

Si, ma nel contempo se sei Eisenstein non puoi lamentarti che non hai le macchine...

Vabbè, bella stupidaggine... Il fatto che esiste photoshop e le macchine foto digitali non definisce un automatico miglioramento delle foto che facciamo. Anzi...
Dai... ma che cosa dici... Cinque anni fa non c'era tutto questo popo' di roba e ancora noi ci facevamo i video col super8 mandando le bobine a Ginevra a sviluppare. Che funzionava benissimo, costava una cifra ragionevole ed eravamo tutti contenti.
Non è il costo... È avere le idee...

Beh, questo è chiaro, non c'è dubbio. Però insisto, se continuiamo a ragionare in termini di abbattimento dei costi di produzione possiamo pensare di fare a meno anche della videocamera. La prassi di realizzare video senza "girato" è sempre più diffusa, anche in ambito professionale. Mi riferisco ai clip realizzati con animazioni di grafica vettoriale, compositing di grafica 2d, sequenze fotografiche, animazioni di disegni tecnici e di modelli 3d, o tutte queste cose assieme.

Si... Nella mia retina parte una sequenza di immagini agghiaccianti, di porcherie assolute, di architetture digitali che le vedi e vomiti. Bella utilità. Proprio quello che ci voleva per avere un mondo migliore.

Già però poi mi chiami per fare il corso di "video senza videocamera", chiedi agli studenti di usare solo il video per comunicare i loro progetti e le cose che ti faccio vedere mediamente ti piacciono. Di nuovo, dipende da cosa racconti e da come lo fai. Solo che una cosa interessante è che ci sono tanti modi diversi di fare un video. Il che mica vuol dire che poi i video sono per forza belli.

Gli architetti si dividono in due. Quelli che sanno disegnare un prospetto elegante e quelli che no. Per disegnare questo prospetto elegante la chiave di volta sta nella biblioteca mentale di mille prospetti eleganti che uno conosce. Se non li conosci, puoi usare l'ologramma, lo schermo tridimensionale, ma alla fine il tuo prospetto non sarà elegante. Questo, a mio avviso è un valore dato.

Appunto...

Se vuoi scrivere un romanzo, il passaggio fondamentale è avere letto cinquemila romanzi. L'andare nella cartoleria più fornita della città a comprare delle biro meravigliose non è il cuore della faccenda. Poi, sono d'accordo che se devo scrivere un romanzo di mille pagine è più comodo lavorare con un word-processor che con la biro bic, però ancora, il tutto non sta nella tecnica rappresentativa.

Va bene. Sta di fatto che in tutte le sue declinazioni l'audiovisivo è uno strumento dall'alto valore comunicativo, non fosse che perché il pubblico a cui si rivolge è un pubblico alfabetizzato, avvezzo al linguaggio cinematografico e televisivo.

Però, ancora, c'è un altro problema. Perché si può anche avere un audiovisivo perfetto ma se nessuno lo vede, non serve a nulla.
Il valore dell'audiovisivo, del video-clip è legato al suo canale di comunicazione.
Dove verrà proiettato? In quale televisione verrà fatto passare? A quale festival viene mandato?
Il video in quanto tale non è niente.

L'audiovisivo è spesso fruibile anche da chi non possiede il linguaggio tecnico dell'architettura. In realtà, in ambito architettonico, i video sono difficilmente dei prodotti esaustivi, e nei concorsi vengono accuratamente valutate piante e sezioni, computi metrici, difficoltà realizzative e tutte quelle informazioni specifiche della disciplina. Ma se il consenso e i finanziamenti devono giungere anche da chi non è formato tecnicamente, allora avvalersi di uno strumento che parla non solo agli architetti assume moltissimo valore.
Infatti, nei concorsi, cominciano ad essere accettati anche elaborati audiovisivi. Immaginate che valore professionale acquisirebbe il "saper fare video" nel momento in cui questo tipo di elaborati cominciasse ad essere richiesto e non solo accettato. Questo è già successo in casi esemplari, tra cui il concorso per la ricostruzione del World Trade Center di New York. È stato uno degli eventi di architettura più importanti del dopoguerra, se non altro per portata mediatica, e va anche detto che questo tipo di concorsi è spesso destinato a tradursi in esposizioni itineranti. Il video, oltre ad essere un efficacissimo catalizzatore di consenso, è un supporto facile e leggero da mettere in mostra.

La questione non è saper fare video.
La questione è quella si saper fare architettura che una volta comunicata in video diventa una bomba.
Che sembra simile ma è diverso.
Saper fare video è marketing. Ovvero, dato un prodotto qualsiasi xyz, ti faccio uno spot di 30 secondi e tu compri ‘sto prodotto. Questione diversa è pensare a un prodotto, a un edificio, a quello che vuoi tu, in funzione di una storia.
La Biblioteca di Babele è funzionale a una storia ben precisa, è un concetto spaziale pensato ai fini narrativi. La stessa cosa la puoi fare sul video.

Ok. Ma io faccio video, non architetture. La mia condizione è quella di relazionarmi con architetti che facciano architetture interessanti. Questo è il nodo del mestiere. Fare cose belle. Purtroppo, questo succede una volta ogni dieci. Soprattutto all'inizio. Ma, ancora, quando non succede ci sono sempre mille cose da imparare. In termini di relazioni, di miglioramenti, di capacità di soddisfare le richieste del cliente senza snaturarti, anche se l'architettura in questione ti fa schifo.

Si, ma non sei tu che mi hai fatto vedere il video fatto da Gondry per Kylie Minogue, credo fosse "Come into my world"...

Eh, appunto, quello fa parte della biblioteca... Che se uno ha un certo tipo di biblioteca, prima o poi si crea le condizioni per fare cose belle.

Si, però poi alla fine questo Michel Gondry che è il tuo idolo, ‘sti video li fa sugli immaginari di Björk, della Levi's, dei Chemical Brothers. Mi concedi che il tuo guru non ha mai fatto un video sull'opera omnia di Livio Vacchini.

Già, perché credi di averli visti tutti... Guarda che ho scelto io cosa mostrarti.

Ancora, sono certo che se il giovane Gondry avesse iniziato a fare video antologici sui maestri dell'architettura ticinese, qui arrivati non se lo inculerebbe nessuno...

Va bene. Ciò detto, a prescindere dalla gavetta di Gondry che in genere non finisce sul DVD che ci guardiamo alla sera, quello che volevo dire è che proprio per tutti questi motivi che la sensibilità degli architetti (anche dei più vecchi e reazionari) nei confronti dell'audiovisivo è cresciuta enormemente negli ultimi dieci anni. A tal punto che forse presentarsi in uno studio con questo tipo di competenze offre più possibilità di assunzione rispetto al presentarsi come esperto di AutoCad.

Questa è un'altra considerazione fuorviante.
Un architetto che sia in grado di pensare alla sua architettura con taglio cinematografico (che sia Albert Speer o gli Archigram) è sintonizzato sulle trasformazioni del mondo contemporaneo.
L'architetto che impara a fare il video perché è meglio di Autocad, rimarrà uno sfigato allucinante (esattamente come il suo collega esperto in Autocad).
Uno legge Celine e guarda i film di Tarkovskji mica perché poi lo mette sul curriculum nella lista dei programmi al computer che sa usare.
Uno impara a costruire un aquilone o fa un viaggio straordinario in Vespa perché in questo modo scopre il mondo e –plausibilmente– vive meglio.
Se tu mi fai vedere due ore filate di video di Gondry, è straordinario perché affino una mia eventuale capacità di interpretazione del mondo. Guardare Gondry per "vendersi" meglio sul mercato dell'architettura è a mio avviso rischioso. Perché troverai sempre uno che tecnicamente è più bravo e ti fotte.

Possiamo essere d'accordo che sarebbe simpatico chiudere con un "buon divertimento", ma non c'è nulla da divertirsi. C'è da lavorare tantissimo, faticare ancora di più, moltiplicare i saperi e le competenze. Imparare la scienza delle costruzioni non è per niente facile. Imparare a raccontare delle storie interessanti usando lo spazio (e la narrazione audiovisiva come strumento principe di comunicazione) è cento volte più difficile.

Sì, infatti. Forse non si tratta tanto di "buon divertimento", quanto piuttosto di "buona fortuna".
[23jan2004]

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