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Una bella lezione

Aldo Aymonino
Ho conosciuto Giovanni Vaccarini tredici anni fa come studente del corso di "Arredamento e Architettura degli Interni" alla Facoltà di Architettura di Pescara che lo scrivente, all'epoca giovane ricercatore, aveva trasformato con un colpo di mano nella progettazione di uno spazio pubblico urbano.
Come tutte le persone troppo dotate, Giovanni veniva guardato già da allora da colleghi e docenti con un misto di ammirazione e sospetto che il suo carattere, connotato in misura uguale da una naturale gentilezza di modi e da una sostanziale caparbietà e determinazione, non faceva che alimentare.
Per questo spesso si è trovato isolato, cosa sulla quale non ha mai recriminato né, simmetricamente, se ne è dato troppa pena.



[30may2004]
Dopo una laurea brillante, in un seminario in cui il suo contributo attivo fu trainante e cruciale per la buona riuscita dello stesso, cominciò immediatamente a collaborare nel corso e nel mio studio.
In entrambi gli ambiti confermò le sue qualità e la sua passione senza riserve.
Ma seppi subito che quel giovanissimo architetto, proprio perché così dotato, avrebbe intrapreso appena possibile una sua strada autonoma. Cosa puntualmente avvenuta.
Quando "perdi di vista", o meglio, quando senti che una persona che stimi e con cui hai condiviso un percorso importante e felice, si rende autonoma e si misura finalmente da sola con le difficoltà della professione, una sorta di attesa "ronzante" e curiosa per i risultati dell'altro prende il sopravvento: La qualità del risultato sarà paragonabile a quella del pensiero? Timori infondati.



Già dalla sua prima opera realizzata –i laboratori Racotek (che come un amico cordiale e inaspettato saluta i passanti da una delle strade statali più trafficate del Paese, la bretella Teramo-Giulianova)- Giovanni ha dimostrato di saper governare tutti i difficili passaggi (tra cui il più difficile di tutti: convincere il cliente), necessari per costruire un edificio di qualità in cui l'architettura non sia solo un valore linguistico posticcio che imballa contenitori desueti, ma diventi essa stessa struttura spaziale primigenia, città, paesaggio.



Questo obiettivo costante accompagna tutto il lavoro di Giovanni Vaccarini: dalla piccola scala dell'edificio in un lotto stretto e lungo a Giulianova in cui le pareti laterali si flettono come scaglie per andare a catturare la luce, in un gesto di ammirato omaggio agli amati Moretti e Coderch; alla scala urbana dei lavori di Jesolo e di Ortona (concorsi nazionali, entrambi vinti) in cui la plastica volumetrica riesce a disegnare città nell'urbanizzazione pulviscolare del nord-est, mentre nel centro storico della città abruzzese la sapiente strategia dell'inserimento di nuovi volumi innesca una nuova modalità d'uso spaziale di parti di città altrimenti destinati al degrado o all'abbandono.
Non a caso i laboratori Racotek sono inclusi in quel sorprendente atlante che è l'Almanacco Electa dell'Architettura Italiana 2001/2002. Quella raccolta di lavori inaspettati e a volte stupefacenti per capacità inventiva e controllo del risultato realizzato (lo stupore è il sale della terra - diceva uno che se ne intendeva, M.C. Escher), dimostra, se mai ce ne fosse ancora bisogno, che spesso, sempre più spesso, sono le realtà eccentriche a costituire l'humus della ricerca architettonica avanzata nel nostro Paese, mentre le grandi città spesso inseguono in affanno.
Per noi metropolitani erranti, convinti di essere al centro del mondo, una bella lezione.

Aldo Aymonino

Questo testo di Aldo Aymonino è stato originariamente pubblicato nel volume a cura di Piero Faraguna e Tommaso Michieli, New made in Italy, OPUS editore, 2003.

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