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MOBILITALY: un'installazione secondo architettura

Alessandra Criconia
Quella attuale è una stagione di riforme che ha tra i suoi obiettivi primari la specializzazione e la parcellizzazione delle conoscenze. Ma più si procede nel processo di definizione degli ambiti di competenza, più viene a delinearsi l'impossibilità di stabilire i limiti di separazione tra le specifiche aree scientifiche. Non c'è da stupirsi perché negli anni appena trascorsi, il pensiero della complessità già aveva svelato l'esistenza di insospettabili legami tra cose di natura diversa, dimostrando che il dato vivificante e progressivo dei fatti della vita è insito nella contaminazione dei saperi e dei generi: per agire positivamente sulla realtà e innescare virtuosi processi di modificazione, bisogna apprendere l'arte dello sconfinamento e del mescolamento dei saperi. Una premessa, questa, che è stata anche una sfida raccolta da una generazione di architetti che ne ha fatto il punto di partenza per una revisione dei processi della progettazione. Basta guardarsi intorno per capire che qualcosa è cambiato e che il cambiamento non si limita a questioni di forma. In pochi anni si sono trasformati gli approcci e le procedure del fare architettura tanto che la specificità dell'architettura sembra essere divenuta quella di un work in progress di reinvenzioni alchemiche, grazie a sempre più frequenti attraversamenti transdisciplinari di cui personaggi come Koolhaas, Gehry, Herzog & De Meuron e altri, sono maestri.

Dalle nostre parti dove vige una certa resistenza al nuovo, quelli che hanno saputo cogliere la fecondità dei mescolamenti e degli incontri strani e coniugarli insieme in inedite combinazioni spaziali, sono stati coloro che hanno dovuto aprirsi nuove strade, magari per aggirare le difficoltà del lavoro. Per quanto non se ne vorrebbe fare una questione generazionale, i contributi più creativi all'architettura in Italia stanno provenendo dalle giovani leve che hanno avuto la capacità di riscoprire l'articolazione di un mestiere complesso che fin dai tempi di Vitruvio non era affatto confinato al solo disegno dell'edificio e che in epoca barocca era giunto ad affiancare al progetto delle cattedrali, la costruzione di fantasmagoriche macchine sceniche per l'allestimento a festa delle piazze e delle strade della città.

[19jul2004]



Pensare l'architettura esclusivamente in termini di edificio è alla fine dei conti una brutta abitudine per certi versi anche fuorviante, perché l'architettura non è soltanto ciò che viene abitato stabilmente e ritualmente ma anche ciò che può essere vissuto ed esperito temporaneamente. Si potrebbe dire che la città insegna: come negare che i generi dell'architettura urbana si sono moltiplicati a forza di fusioni e ibridazioni che hanno dato origine a nuove specie di oggetti e di spazi? Non deve quindi meravigliare se in molti ritengono che fare architettura oggi, significhi anche adoperarsi per allestimenti e installazioni, dentro e per la città, e che continuare ad operare l'architettura esclusivamente in termini di fissità e di permanenza può costituire una limitazione non comprensibile in una condizione culturale e sociale fortemente diversificata e stratificata, finanche instabile. D'altronde il concetto di monumento –appannaggio degli Architetti con la maiuscola- da tempo è stato messo in discussione e se così non fosse stato non avremmo avuto la modernità che in fondo ha cominciato il suo percorso rivoluzionario partendo dal progetto della semplice abitazione per l'uomo comune e di tutto l'universo di oggetti in essa contenuta. Da tempo quel processo si è esaurito e i tempi premono per qualcosa di nuovo. Ma cosa è questo nuovo?



Non ci sono risposte certe, ma intanto si può cominciare con il prendere atto che il campo dell'architettura si è esteso fino a comprendere cose abitualmente considerate come gli scarti del lavoro nobile –interior design, allestimento, scenografia, grafica...- che adesso vengono trattati con il riguardo e l'attenzione solitamente riservati al progetto degli edifici. Forse non poteva essere altrimenti perché in un'epoca dominata da un tempo accelerato e votata alla comunicazione globale, i valori aggiunti non stanno più dentro il senso di un'abitare stanziale quanto in ciò che riesce ad essere polifonico e sincretico. Per questo le installazioni, in virtù del loro carattere impermanente e temporaneo, sono divenute forme dell'architettura specificamente concepite per essere inserite attivamente nel circuito polimorfo della comunicazione.








In sostanza l'installazione è uno dei modi per interfacciare la dimensione globale della nostra cultura post-postmoderna che usa i codici linguistici di altre discipline per esprimersi. Ne sono un segno le installazioni d'autore che stanno accumulandosi negli ultimi anni in occasione di mostre ed esposizioni internazionali e che sottolineano il credito conquistato presso l'architettura: che dire del "tutto nero" dell'installazione multimediale di Jean Nouvel per la mostra Mutation a Bordeaux o della nuvola di vapore acqueo di Diller&Scofidio presentata all'Expo 2003 a Neuchatel in Svizzera? C'è una dimensione sperimentale dell'installazione che è irrinunciabile perché consente di esplorare le opportunità estetiche offerte dalla vasta gamma di nuovi materiali che la tecnica inventa giorno dopo giorno, senza escludere il fare e il costruire spazio. Per questa ragione l'installazione è ancora architettura e non deve essere confusa né con un artefatto di stampo vagamente artistoide né con un allestimento di interior design. Ci sono delle differenze sottili che distinguono l'installazione e che partono dal presupposto di una concezione aperta ed interattiva dell'abitare lo spazio.



È su questa linea d'autore che si è mossa Mobilitaly, l'installazione multimediale firmata da STALKagency, un gruppo misto di architetti e designers -A. d'Onofrio, N. Nebiolo, F. Speranza, V. Zappalà- insieme a N. Pennestri, videoartista, per la DARC -acronimo di Direzione Generale per l'Architettura e l'Arte Contemporanee, direttore Pio Baldi- che è andata in scena nel corso del 2003, sia in Italia sia all'estero. Con la sapienza di un'intelligenza collettiva sensibile ai temi dell'interattività e degli spazi dinamici, l'installazione Mobilitaly è stato un modo colto e intrigante di convertire un'indagine ricognitiva sui temi delle nuove strutture per la mobilità in Italia in un itinerario virtuale che trasporta il visitatore –è il caso di dirlo!- in una dimensione transeunte in cui si diventa, malgré soi, protagonisti della narrazione. Curiosità e coinvolgimento potrebbero essere le parole chiave di questa installazione che, con apparente grande semplicità, usa le tecniche digitali per declinare i linguaggi dell'arte e creare un oggetto nuovo a cavallo tra architettura, arte visiva e media.



L'installazione Mobilitaly presentata alla biennale di Rotterdam, alla biennale di San Paolo del Brasile e al Maxxi di Roma, è infatti una stanza senza "cielo" e un ambiente virtuale. Sebbene lo spazio fisico esista davvero perché il volume è reale, un gioco di trattamenti altera lo spazio. Le pareti non sono pareti vere ma schermi-parete che proiettano a ciclo continuo, immagini di folle di gente che camminano e transitano per stazioni, aeroporti, metropolitane e strade commerciali, che sono state montate secondo le sequenze matematiche di Fibonacci per restituire il ritmo sincopato della città e il pavimento non è un vero pavimento, ma una superficie di asfalto e brecciolino sulla quale sono poggiate enormi camere d'aria di caterpillar che hanno eccezionalmente la funzione di diventare delle poltrone. Mobilitaly è una simulazione del mondo della strada e tutti quei nuovi luoghi della mobilità di cui è composta la città contemporanea, dei quali si entra a far parte non appena si varca la soglia d'ingresso al box.



In sostanza una ricerca che sarebbe potuta essere una noiosa rassegna di esempi di nuove infrastrutture rivolta solo agli addetti ai lavori, è diventata un nuovo racconto che si rivolge ad un pubblico più vasto con l'intenzione di fare informazione attraverso un'esperienza fisico-sensoriale che è al contempo anche un'esperienza ludica che usa la sorpresa e lo spiazzamento per coinvolgere lo spettatore e mettere in mostra una quantità di nuovi progetti che sono allo studio o che sono già in corso di realizzazione e che in pochi conoscono. L'installazione di Mobilitaly è un atto che vuole parlare di architettura, attraverso l'architettura. Un progetto ambizioso che la comunità globale degli architetti e dei creativi sensibili al valore aggiunto della comunicazione, ha saputo cogliere e che ha voluto premiare. L'installazione di Mobilitaly ha infatti conquistato il prestigioso inspiration award alla rassegna di Rotterdam e suscitato un grande interesse della stampa e del pubblico a quella di San Paolo del Brasile.

Ci si domanda perché in Italia si continui a preferire una posizione angolare e perché il dibattito su queste forme dell'architettura non riesca a decollare nonostante i fatti stiano dimostrando che l'architettura cosiddetta impermanente e comunque transitoria stia proliferando in nuove forme che si stanno diffondendo a macchia d'olio e che le nuove generazioni cresciute con la cultura delle immagini, praticano con piacere e successo.

Alessandra Criconia
alessandra.criconia@uniroma1.it



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