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Una agenda per l'architettura italiana

Luca Molinari



Edilizia e Territorio, settimanale de Il Sole 24 ORE, ha recentemente avviato una importante rassegna sugli studi "emergenti" di architettura. Tra questi, nei giorni scorsi, lo studio romano IaN+. L'articolo con cui Luca Molinari propone un fattivo quadro di operatività per l'architettura italiana, riproposto da ARCH'IT per gentile concessione de Il Sole 24 ORE, è apparso sul numero di questa settimana.



 
La notizia di questi ultimi giorni è che, secondo la maggioranza della giuria del Premio Mies van der Rohe (tendo a escludere per discrezione i membri italiani), non esiste opera di rilievo realizzata in Italia negli ultimi tre anni a parte il Centro Ricerche Ferrari di Fuksas.
Non c'è quindi da stupirsi se nelle stesse ore ritrovo l'affermazione di Deyan Sudijc, ex direttore di Domus e della Biennale di Venezia, che scrive: "Negli anni Sessanta le scuole di architettura in Italia erano aperte a chiunque sapesse scrivere il suo nome. Sommerse da migliaia di studenti, l'insegnamento di architettura smise di funzionare (...) L'Italia ha fallito nella capacità di produrre anche una singola personalità architettonica, a parte il neutrale Renzo Piano (...) L'Italia oggi è una periferia architettonica, con persone come Fuksas che si agitano per essere notate e tutta l'architettura d'importazione (Hadid, Chipperfield) che costruisce le opere più interessanti e che spesso non vengono mai completate".

Un giudizio forte, sprezzante, che tira una gran riga sopra una stagione che, sebbene con molti chiari scuri ha prodotto personaggi come Aldo Rossi, Vittorio Gregotti, Paolo Portoghesi e Manfredo Tafuri, che forse più con gli scritti che con le opere tanto hanno influenzato il modo di pensare e di agire di molti architetti nel mondo.
Un giudizio che dipinge l'Italia come terra di conquista delle migliori (o semplicemente più pubblicate) star dell'architettura internazionale ma anche come un sistema arretrato incapace di dare forma ai propri desideri e ambizioni.
Che tra le righe di questo giudizio così duro non sia possibile rintracciare delle dolorose verità sarebbe ipocrita affermarlo: un sistema scolastico per decenni allo sbando e incapace di produrre una classe di professionisti medi di livello; un sistema burocratico e amministrativo spesso incapace di dare continuità alle proprie politiche architettoniche; le capacità frustrate di più di una giovane generazione di architetti.

Eppure questi ultimi anni stanno segnando una decisiva inversione di tendenza che ha avuto una evidente incubazione durante tutta la seconda metà degli anni Novanta producendo autori ed opere di grande livello concettuale e progettuale e che in qualche modo gli elenchi e gli scritti pubblicati negli ultimi due numeri di Edilizia e Territorio testimoniano con chiarezza. Un cambiamento che per malizia e disillusione si tende a non considerare soprattutto nei salotti importanti dell'architettura internazionale.

Alcuni elementi per riflettere.

Primo scenario. Da qui a pochi mesi verrà inaugurata la nuova Fiera di Milano disegnata da Massimiliano Fuksas. Un'opera ciclopica realizzata in soli 20 mesi, attualmente il più grande cantiere d'Europa e insieme architettura d'eccellenza. Anche in Italia si sta dimostrando che si possono realizzare e portare a compimento grandi operazioni appoggiandosi a un network di imprese e competenze nazionali ed europee.
Un'altra opera recente di Fuksas, le sofisticate (progettualmente e costruttivamente) "bolle" di Nardini a Bassano del Grappa, sono state costruite appoggiandosi unicamente a un complesso sistema di imprese locali capaci di fornire ogni competenza d'eccellenza per la sua realizzazione. L'Italia quindi riesce ancora a generare economie di sistema significative che potrebbero risultare decisive per la crescita dell'architettura italiana.

Secondo scenario: in questi ultimi due anni un manipolo di gruppi di giovani architetti romani (ma0, 2A+P, nicole_fvr) coordinati da ON-Osservatorio Nomade (Stalker) e supportati dalla Fondazione Olivetti e dal Comune di Roma, sta portando avanti un intenso lavoro sul complesso del Corviale a Roma. Si tratta di una diversificata opera di progettazione, sperimentazione, ascolto e dialogo con le diverse componenti sociali, definizione di strumenti comunicativi e culturali che stanno preparando il terreno per la radicale trasformazione di uno dei riconosciuti "crimini" dell'architettura moderna italiana del dopo guerra. Un lavoro dal risvolto simbolico importante e insieme un modo diverso di fare e pensare architettura. In questi stessi anni, con modalità diverse, il gruppo Metrogramma sta portando avanti, per conto del Comune di Bolzano, una significativa opera di simulazione di modelli insediativi per il commercio, la piccola industria e la residenza per la colonizzazione della periferia urbana. Un approccio nuovo ma decisivo che riflette una volontà politica di sostituire l'idea astratta di pianificazione urbanistica con quella dei microinterventi consapevoli.

Entrambe le sperimentazioni sono state portate avanti al di fuori dell'Università italiana.

Ultimo scenario. Questi ultimi anni stanno dimostrando una straordinaria vitalità progettuale ed esecutiva della "provincia" italiana da nord a sud. Autori come Bigi e Della Torre in Valtellina, Marco Contini e Iotti+Pavarani in Emilia, 5+1 in Liguria e non solo, C+S in Veneto, Pietro Carlo Pellegrini a Lucca, Italo Rota a Perugia, Beniamino Servino a Caserta, Cherubino Gambardella a Napoli, Marco Navarra e Vincenzo Latina in Sicilia (solo per fare pochissimi esempi) stanno a dimostrare con chiarezza che esiste una generazione di ottimi progettisti che nell'impianto della provincia italiana riesce a trovare risorse e ascolto per portare avanti un'architettura contemporanea di qualità.

Tutti gli elementi citati dimostrano alcune cose: che esiste una nuova generazione di architetti italiani capace di esprimere opere e idee di valore. Che la domanda di qualità è ormai un dato strutturale anche per il nostro Paese e sta riportando l'architettura tra i fenomeni importanti riconosciuti socialmente. Che potenzialmente esiste una nuova committenza che nella buona architettura potrebbe trovare risposte significative.
L'architettura italiana ora ha bisogno di molte occasioni per costruire e maturare. L'architettura italiana ha bisogno di essere riconosciuta per quello che effettivamente può dare e di essere tutelata nella possibilità di crescere e di essere considerata come un portato positivo (in termini culturali ed economici) del sistema Italia.

Arrivati a questa fase bisogna dare vita a una Agenda per l'architettura italiana che punti su due elementi fondamentali:
IN/ Ovvero affermare la normalità della buona architettura contemporanea in tutti gli ambiti del nostro vissuto. L'Italia oggi è un potenziale laboratorio a cielo aperto in cui l'architettura dovrebbe essere chiamata a pensare e costruire nuove scuole, ospedali, centri civici, case per anziani, unità produttive, residenze sociali che mancano nel nostro Paese e che aspettano solo una nuova stagione di politica e di opere diffuse su piccola scala. D'altronde un Paese che non sa investire sulle proprie strutture essenziali, sul loro necessario ammodernamento e cambiamento, è un Paese che non è capace di guardare al proprio futuro. E la sperimentazione su queste tipologie edilizie elementari potrebbe diventare un volano straordinario per la nuova architettura italiana. Insieme imprese, committenza e architettura devono sviluppare un dialogo che solo in questi ultimi anni si sta sviluppando portando risultati che alla lunga saranno significativi. C'è bisogno di consapevolezza e di fiducia reciproca per crescere insieme.
OUT/ Promuovere e spingere l'architettura italiana nelle grandi competizioni nazionali e soprattutto internazionali. Renderla un fenomeno popolare e di costume. Promuoverne le potenzialità e stimolarne la crescita. Non si tratta di bieco protezionismo anzi, non si vuole evitare il confronto, né si tratta della abituale pratica di autocommiserazione italica, ma si tratta di potersi confrontare ad armi pari con le altre realtà che non sono unicamente disciplinari. Investire sull'architettura nazionale significa anche investire sull'economia del Paese e sulla sua immagine all'estero. Rimane famosa la vicenda che vide il presidente Chirac telefonare a Putin perché Perrault vincesse il concorso internazionale per l'ampliamento del teatro Nijnsky a San Pietroburgo legandolo a una grande trattativa commerciale tra Russia e Francia.
A quando una telefonata del nostro Premier per aiutare un bravo progettista italiano?

Luca Molinari
[08feb2005]
> GIOVANNI DAMIANI: VOGLIA DI CONTEMPORANEO

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