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Perché Italy Now?

Alberto Alessi



La Cornell University a Ithaca, New York, ha recentemente ospitato il convegno e la mostra Italy Now? Country Positions in Architecture curati da Alberto Alessi e volti all'investigazione di alcuni dei recenti orientamenti dell'architettura italiana. In questa pagina Alberto Alessi riassume le tracce e i problemi che hanno accompagnato l'iniziativa.



 
 
Sradicare gli altri è il più crudele dei delitti. Sradicare se stessi, la massima conquista.
Peter Handke, Nei colori del giorno (Die Lehre der Sainte Victoire), 1980



  La decisione di realizzare questa manifestazione nasce da una domanda chiara e disarmante che Moshen Mostafavi, allora Dean dell'Architectural Association di Londra, mi ha posto una sera del 2004 a Zurigo: "Vorrei sapere cosa avviene oggi in Italia. Perché dovrei interessarmi oggi di architettura italiana?" La domanda è piena di una curiosità che tradisce una certa nostalgia, e quasi un rimprovero: nasce infatti da una percezione di assenza, imputa all'Italia una abiura dalla sua missione presunta: essere luogo di riflessione sul farsi della disciplina, come lo è stata nel corso del '900, soprattutto quando, negli anni '60 e '70, con i lavori di Rossi, Grassi, Gregotti, Tafuri, è diventata il termine di paragone della ricerca teorica e progettuale. E poi? Di colpo più nulla pare, l'Italia è scivolata a luogo dove semplicemente e quotidianamente si produce architettura, come in ogni altro luogo, anzi con una maggiore difficoltà realizzativa e quindi qualitativa. E così lo sguardo "straniero" da allora si è rivolto altrove, e legge l'Italia come nelle antiche mappe, che sugli spazi vuoti dei luoghi sconosciuti riportavano: Hic sunt leones. Oppure, ed è lo stesso, la trasforma in territorio di scoperta di critici internazionali, che sono in grado di vedervi solo cio che sono in grado di riconoscere perché assimilabile a quanto avviene altrove da qui.

[23may2005]










È emblematico che proprio oggi, nel periodo della Rete e dell'apparente conoscenza e interconnessione diffusa, emerga questa invisibilità di ciò che avviene alla periferia dell'impero. Diviene perciò a maggior ragione fondamentale stimolare e creare nuove e continue occasioni di un incontro diretto, che non passi solo attraverso le pagine delle riviste o del Web, ma nella presenza fisica e nella possibilità di puntualizzare la propria posizione.

Da questa curiosità è nata Italy Now?, una manifestazione che vuole configurarsi come un osservatorio indipendente, distaccato e partecipe al contempo, aperto sullo sviluppo architettonico, urbano e paesaggistico in Italia. Nella cornice prestigiosa della Cornell University di Ithaca, attraverso una mostra di disegni, modelli e riflessioni sull'architettura, una composita lettura fotografica del contesto italiano, due dialoghi tematici, una pubblicazione, Italy Now? si pone l'obiettivo di stimolare e accrescere la conoscenza dei diversi punti di vista che stanno emergendo oggi in Italia, confrontando nella dinamica aperta dello scambio geografico e culturale, le specificità e le similitudini del fare architettura qui e altrove. Non un'istantanea fissa dell'italia oggi, ma un reportage partecipato di ciò che vi sta avvenendo.

La domanda di base che percorre tutta la manifestazione è solo di apparente semplicità: esiste un'architettura contemporanea italiana? In che senso se ne può parlare? Cosa la caratterizza? E più in generale, è necessario chiedersi cosa si intende per architettura italiana: un'individuazione geografica, culturale, politica, di marketing? Ed inoltre, è quella fatta dagli architetti italiani (ovunque nel mondo) o semplicemente quella fatta in Italia (da chiunque)? E come viene decisa la definizione di un'appartenenza? Chi la attribuisce?

Mi pare fondamentale interrogarsi su questi punti e sulle ragioni e i significati delle possibili risposte, tentando di andare oltre le definizioni sempre più stereotipate e fissate attorno a poche parole chiave e neologismi demiurgici (-ismo, rete, virtuale, e via in allegria) che paiono accogliere tutto e invece coprono solo una persistente contestualità negata o dimenticata, ma sempre pronta ad emergere. È urgente perciò interrogarsi sulle valenze odierne dell'architettura e sul suo ruolo, conteso fra una riflessione, spesso estraniante, sulle proprie regole disciplinari in costante mutamento e una società civile che stenta a divenirne e riconoscersene riferimento di valori e destinatario finale.



Una riflessione seria e continua sull'italianità dell'architettura italiana puo far emergere i meccanismi di attribuzione di significato ed identità visibile, che oggi vengono utilizzati per comunicare ed appropriarsi della realtà. La domanda che H. Hübsch pone nel 1828 agli architetti tedeschi "In quale stile dobbiamo costruire", appare attuale per molta critica odierna, che l'ha declinata così: in quale stile dobbiamo incasellare l'architettura oggi per venderla come nostro prodotto? Per dirla con un personaggio di Altan, siamo passati dal "Che fare" al "e mo' che famo?"



ARCHITETTURA ITALIANA. IDENTITÀ VERSUS IDENTIFICABILITÀ? Di architettura italiana si inizia a parlare con Camillo Boito. Significativamente la lunga introduzione al suo libro del 1880 Architettura del Medio Evo in Italia, inizia così: "L'architettura dell'Italia nuova, s'intende l'architettura di là da venire, è un bellissimo tema, e nella Introduzione a questo pesante volume lo vogliamo toccare. Di tutte quante le fatiche, di tutti quanti gli studii la prima cosa che si domanda al dì d'oggi è questa: il costrutto pratico."

Riprende il tema Gio Ponti, che nel 1957 in Amate l'architettura, dice: "Ho scritto la casa all'italiana. Si potrebbe scrivere l'Architettura all'Italiana? Non esiste un'architettura italiana se non quella moderna animata dallo stesso spirito in tutta Italia. Quella antica era diversa a Torino, a Genova, a Venezia (addirittura bizantina!), e da Venezia, a Vicenza, a Verona, a Mantova, a Bologna, a Firenze, a Roma, a Napoli, nelle Puglie, in Sicilia, animata da spiriti diversi in tutta Italia. Esiste però un'altra cosa, l'architettura degli italiani, quella fatta dagli Italiani che in tutte le epoche, in tutti gli stili -romanico, medioevale, bizantino, rinascimento, barocco, neoclassico e moderno- nelle opere dei migliori è stata eccezionale. Da noi non c'è nelle arti –non mi stancherò mai di dirlo– una tradizione formale, linguistica, c'è una tradizione di "sommità" dove la disuguaglianza formale è una ricchezza, è una libertà. Viva l'Italia."

Gli fa eco Luigi Moretti, che in un suo curioso scritto inedito e senza data, intitolato Costruire è la natura dell'italiano, scrive: "Che l'architettura, il costruire in genere sia una qualità particolare dell'italiano, questo, a ben osservare, discende dalla sua conformazione tipica in senso biologico. L'italiano ha una straordinaria finezza e sensibilità sia nel suo operare manuale sia nel suo operare intellettivo. Possiamo dire che per la sua struttura biologica egli ha la mente e le mani sensibili per così dire al millimetro. Questa unità e coordinazione delle sue sensibilità visivem logiche, manuali e di fantasia, gli permette di operare ancora oggi nella costruzione (così come anche nell'industrial design) con estrema capacità. La finezza organizzativa ha bisogno (a parte gli ausili della tecnica operativa moderna che lasciata a se stessa è un'armata priva di capi) di questa biologica finezza ed eccitazione. I popoli del Nord sono biologicamente formati alla logica più che l'italiano, ma hanno la fantasia e le mani, traslatamente parlando, meno agili direi torpide. I popoli del Sud hanno la conformazione biologica contraria. L'italiano è quel famoso meccanismo di mezzo che ne ha fatto e ne farà sempre il modulo di paragone, il re, in certi campi, quali appunto l'operare in architettura, specie nelle costruzioni coraggiose ed imponenti."

E oggi? Cosa intendiamo noi oggi per architettura italiana? Quali aspettative vi proiettiamo, quali coerenze vi cerchiamo? Cosa ci fa considerare ricerche progettuali molto diverse fra loro, come quelle esposte in questa mostra, tutte quante architettura italiana? Cosa le accomuna? È solo il linguaggio, la dislocazione geografica, il periodo storico, la nazionalità dell'autore? Domandarsi quali siano le architetture italiane d'oggi e chi siano gli architetti italiani di oggi, significa interrogarsi costantemente su cosa sia la società italiana di cui questa architettura dovrebbe essere il risultato. Anche qui si possono porre le domande poste all'architettura: esiste una società italiana contemporanea? In che senso se ne può parlare? Cosa la caratterizza?



Discutere di architettura italiana significa perciò cercare, denotare o proiettare una specificità qualitativa. Ritengo appunto che fare questo in modo consapevole possa essere di grande utilità alla riflessione odierna generale sulla disciplina: oggi si parla di architettura ovunque e comunque, tutto pare essere attinente all'architettura e viceversa, senza soluzione di continuità, dall'embrione alla virtualità. Ed è questo un modo per neutralizzarla, per toglierle la capacità di leggere e interpretare la realtà, facendola coincidere con essa. Si dice architettura, e si intende la vita.

Quale contributo di riflessione e di fattibilità può quindi portare l'architettura italiana alla discussione contemporanea sulla disciplina? Vorrei proporre quattro prime risposte (paradossali?)

1. Caratteristica dell'architettura italiana d'oggi appare in primo luogo la sua difficoltà al farsi. Questo viene visto come un aspetto negativo, e certamente lo è. Ma quali altre valenze può assumere? Quasi tutte le architetture presentate in mostra sono costruite, ma non tutte. L'architettura deve voler essere costruita per essere architettura, ma non deve necessariamente essere costruita per esserlo. Significativamente, i 20 architetti esposti non appartengono ad un'unica generazione, ma condividono le stesse possibilità: gli architetti non sfuggono al proprio luogo e al proprio tempo. E proprio perché le modalità operative oggi in Italia sono spesso uguali per un trentenne come per un cinquantenne, emerge spontaneamente un primo contributo alla riflessione: l'architettura non ha caratteristiche giovanili o senili, ma solo di buona o cattiva architettura.

2. Un'altra contributo può venire da un'altra difficoltà: il rapporto con la durata del processo progettuale. Si dice spesso che l'architettura in Italia nasca postuma, intendendo con questo la durata estenuante del processo decisionale e realizzativo del suo farsi. Non potrebbe ciò divenire per assurdo un punto positivo, che permette di sviluppare un rapporto con il costituirsi dell'architettura che va al di là della mera produzione di merce da rotocalchi? D'altronde questo è quanto pensano implicitamente i politici e gli amministratori italiani da alcuni decenni: l'architettura come mezzo di comunicazione non risulta equiparabile agli altri media contemporanei, proprio per la sua caratteristica processuale che le impedisce di essere eseguita in tempo reale. Perciò la politica italiana l'ha accantonata, ed ha investito piuttosto in programmi televisivi ed eventi temporanei effimeri, che danno maggior visibilità immediata e minor responsabilità a lungo termine (nel caso che qualcosa andasse male).

3. C'è poi un'ulteriore difficoltà che nasce dal distacco e incomunicabilità con la committenza, che salvo casi di "mecenati illuminati" è il terreno in cui si trovano ad operare molti degli architetti esposti, sia nei rapporti con il pubblico che con il privato: l'architetto, e più spesso l'architettura, non sono tema di discussione del costruire, anzi. Di nuovo questo può divenire un fertile humus per un pensare l'architettura liberamente, fuori da schemi ed automatismi prefissati, senza l'affanno imposto dalla riconoscibilità eclettica purchè firmata tipica dello Star System e del flirt ammiccante del professionismo speculativo.

4. l'ultima difficoltà che vorrei sottolineare qui è quella legata al rapporto fra architettura e contesto, inteso come ecosistema: le risposte raffinate della bioarchitettura, le architetture high- e low-tech trovano difficoltà ad essere realizzate in Italia. Perché? Da un lato forse per problemi gestionali, dall'altro per un rifiuto sociale quasi a priori che fa emergere un aspetto spesso dimenticato nella discussione sulla compatibilità ambientale: questa deve essere letta anche in chiave culturale. Così certe forme e materializzazioni richiedono una tal dose di energia sociale per essere accettate da renderle superfluamente dispendiose in termini di compatibilità locale. Letto così l'ecosistema torna ad essere un dato di fatto complesso, estetico in senso pieno, e non solo qualcosa legato a valori scientificamente e tecnologicamente misurabili.

Si tratta perciò a mio avviso di assumere consapevolezza e di riflettere ed agire a partire da ciò che si ha realmente intorno, il contesto sociale, culturale, politico, geografico nel quale volta per volta si opera, per cercare di modificarlo e migliorarlo, evitando lifting formali che tentano inutilmente di fare più o meno bene ciò che si fa altrove.

D'altronde l'architettura si fa in un luogo dato, ed è da quella posizione che può dire qualcosa che vale anche altrove, differentemente. Così, il progetto e tutto ciò che esiste prima di esso può e deve essere visto come geografia. È necessario avere le forme aperte della geografia, cresciute per successive stratificazioni, elaborando attraverso la novità della situazione ambientale ciò che si trova di volta in volta sul posto, assecondando spontaneamente le attitudini. Senza concetto di progresso, ma "solo" di mutamento ed adeguamento costante. Perciò la visione è continuamente oscillante fra la situazione locale e quella internazionale.

Questo emerge bene dalle risposte alle tre domande poste ad ogni architetto ed esposte nella mostra Italy Now? a Cornell, e che sono le stesse che percorrono questo scritto:

1. Come definite l'architettura? Cosa vuol dire fare architettura oggi?
2. Esiste un'architettura italiana? In che senso se ne può parlare? Cosa la caratterizza?
3. Nuova, stabile, confortevole, condivisa, riconoscibile, eccitante, bella, … A quali valori e obiettivi fate riferimento nel vostro fare architettura? Perché?

Domande semplici ai limiti della retorica, ma che chiedono una presa di posizione.

Le risposte e le precisazioni che emergono dagli architetti sono chiaramente molto diverse fra di loro, sia nei contenuti che nei riferimenti. Ad esempio, vengono citati (a vario titolo) ben 60 personaggi (*). Analizzando questi nomi come un paesaggio alla George Perec, è interessante notare che solo 29 sono italiani e 31 "stranieri"; 38 sono architetti, 8 artisti, 5 filosofi (non viventi), e ci sono figure particolari come il Mercato e Dio (forse da fare rientrare fra gli architetti). Infine molti dei citati sono figure storiche, solo 18 sono contemporanei. Nuovamente gli irriducibili tempi lunghi come caratteristica italiana?

Alberto Alessi
a.alessi@bluewin.ch
NOTA:

*. In ordine alfabetico: Leon Battista Alberti, Franco Albini, Sant'Agostino, Roberto Benigni, Lina Bo Bardi, Stefano Boeri, Aldo Bonomi, Bramante, Marcel Breuer, Alberto Burri, Luigi Caccia Dominioni, Albert Caraco, Luigi Cosenza, Enzo Cucchi, Alejandro De la Sota, Dio, Jan Duiker, Federico Fellini, Domenico Fontana, Fra Giocondo, Yona Friedman, Massimiliano Fuksas, Ignazio Gardella, Frank O'Gehry, Zaha Hadid, Arata Isozaki, Louis Kahn, Kevin Kelly, Le Corbusier, Lenin, Leonardo da Vinci, Sigurd Lewerentz, Adalberto Libera, Daniel Libeskind, Adolf Loos, Patrizia Mello, Il Mercato, Maurice Merleau-Ponty, Ludwig Mies van der Rohe, Il MoMA, Piet Mondrian, William Morris, José Ortega Y Gasset, Andrea Palladio, Renzo Piano, Giovan Battista Piranesi, Gio Ponti, Franco Purini, Aldo Rossi, Yehuda Safran, Carlo Scarpa, Manfredo Tafuri, Bruno Taut, Giuseppe Terragni, Luigi Vietti, Viollet-le-Duc, Paul Valere, Vitruvio, Margherite Yourcenar, Ludwig Wittgenstein.

 
Italy Now?
a cura di Alberto Alessi



la mostra
Italy now? Country Places

Hartell Gallery, Cornell University, Ithaca, NY, 28 marzo al 16 aprile 2005
architetti
ABDR, Benno Albrecht, Cliostraat, Corvino+Multari, Cristofani & Lelli, Nicola Di Battista, Cherubino Gambardella, GarofaloMiura, IaN+, Itaca Architetti, Labics, Antonella Mari, Vincenzo Melluso, Metrogramma, n!studio, Efisio Pitzalis & Geneviève Hanssen, Beniamino Servino, Vulcanica, Napoli, Cino Zucchi, 5+1
fotografi
Gabriele Basilico, Francesco Jodice, Armin Linke, Alberto Muciaccia



i dialoghi
Italy Now? Country Positions

Cornell University, Ithaca, 1 aprile 2005
Country Positions 1. necessities and possibilities
Esiste un'architettura italiana? In che senso se ne può parlare? Cosa la caratterizza? Quale ruolo gioca la storia, quale la geografia, quale la politica, quale il marketing identitario?
architetti
Cristofani&Lelli, Ian+, Antonella Mari, Vincenzo Melluso, Metrogramma, Vulcanica
critici
Alberto Alessi, Pier Vittorio Aureli, Gabriele Mastrigli, Moshen Mostafavi

Architecture Center, New York, 2 aprile 2005
Country Positions 2. debate on debate
Past-present e/o futuro: cosa significa continuità nella ricerca architettonica italiana contemporanea? Che ruolo gioca l'architettura nella società italiana? Cosa e dove può essere dibattuto? Con chi?
architetti
Cristofani&Lelli, IaN+, Antonella Mari, Vincenzo Melluso, Metrogramma, Vulcanica
critici
Alberto Alessi, Pier Vittorio Aureli, Sandro Marpillero, Gabriele Mastrigli, Moshen Mostafavi

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