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Toccando la seconda pelle

Raoul Bunschoten



The Landing è il progetto di Chora, GroosMax e Joost Grootens vincitore del concorso a inviti per un nuovo spazio pubblico in Arnhem, in Olanda. ARCH'IT ne presenta il tema e le strategie per voce di Raoul Bunschoten e Roberto Bottazzi. Un approfondimento teorico di Raoul Bunschoten di Chora, 'Toccando la seconda pelle', offre l'occasione di una più ampia conoscenza sulla ricerca del gruppo olandese/inglese la cui ultima mostra, 'From Matter to Metaspace', si è appena inaugurata presso l'Institute for Cultural Policy di Amburgo.



 
[in english] META-SPAZIO. C'è una fotografia scattata durante il seminario "Copenhagen X: Urban Gallery" (CPHX) che ancora oggi mi entusiasma: un gruppo di studenti siede su una mappa aerea della città di Copenhagen. Stanno trasferendo sulla carta la posizione dei 4000 fagioli che erano stati precedentemente lanciati sulla mappa stessa. Stanno abitando la carta, quella che in fondo è una vista della città da un clerestory, un meta-spazio sospeso sulla città che è normalmente attraversato solo da aerei ed elicotteri, i quali comunque mai si soffermano ad osservare la città dall'unico punto in cui può essere colta nella sua totalità apparente. Dopo aver tracciato tutti i punti, gli studenti visitato tutti i siti contrassegnati dai fagioli concentrandosi di nuovo sulla realtà che la aerea mappa rappresenta. Visitano i posti corrispondenti a punti sulla mappa per toccare la vita di quel specifico sito; "spogliandolo" attraverso l'uso di quattro filtri ciascuno teso a circoscrivere un preciso tipo di processo.

[06nov2005]

4000 fagioli sono lanciati sulla mappa aerea di Copenhagen.

Quel che si rivela è la città nuda nella sua forma più spoglia e primordiale; semplici organismi, movimento, forza, resistenza e fluidità sono processi che costituiscono una città. CPHX è il primo progetto a cui CHORA è stato commissionato l'applicazione della Galleria Urbana (Urban Gallery) a scala urbana in collaborazione con gli urbanisti locali. Il piano fu commissionato da Copenhagen X, de facto un Curatore Urbano (Urban Curator). L'iniziale richiesta era quella di allestire un progetto in cui diversi settori della popolazione avrebbero partecipato ad un dibattito sui nuovi progetti e problemi di carattere urbanistico che avrebbero influenzato il futuro dell'intera comunità e che sono normalmente sono decisi da un ristretto numero di persone. Il contesto di questo progetto era e rimane altamente politico: dopo le ultime elezioni un governo di orientamento decisamente conservatore è salito al potere e una serie di leggi sempre più restrittive sono passate, non ultima quella sull'immigrazione. Il desiderio di Copenhagen X era invece di porre attenzione su altri tipi di valori: ad esempio evidenziare la realtà della città che, come molte altre capitali europee, è profondamente eterogenea. La città stava attraversando un periodo di grandi cambiamenti: nuove linee della metropolitana venivano progettate, un ponte con la Svezia (recentemente ultimato) sanciva la trasformazione dello stretto del Øresund in una regione trans-nazionale con intensi scambi economici e sociali. Copenhagen X era un progetto ambizioso: voleva sviluppare un prototipo della Galleria Urbana alla scala dell'intera città concentrandosi specificamente su i prototipi che già esistevano nel territorio.

Quel che accadde fu una lezione sulle difficoltà che comporta l'introduzione di sistemi interattivi alla scala dell'intera città, soprattutto se essi intendono fondere politica, economia, società. L'uso delle nuove tecnologie sarebbe stato il veicolo che avrebbe collegato tra loro i diversi Operatori Urbani (Urban Actors) allo scopo di costituire una sorta di spazio pubblico operante simultaneamente come vetrina, laboratorio e strumento amministrativo. Come operare in simili situazioni? Dove il lavoro di un urbanista finisce? Quanti interessi diversi è possibile connettere tra loro?




Gli studenti si appropriano del meta-spazio della città.


CPHX. Scenario Games.
DIDATTICA. La scommessa è quella di provocare un cambio culturale nel modo in cui le città sono usate, vissute, amministrate, pianificate, e nella maniera in cui possiamo insegnare alla gente nuovi modi di pianificare, progettare e governare le città. Si tratta di un processo didattico lungo ma che può essere suddiviso in due principali linee di lavoro: come professionisti agiamo in concerto con clienti ed amministrazioni locali e perciò il nostro maggior sforzo deve essere indirizzato alla cambiamento dei processi decisionali, al tempo stesso far si che ogni progetto sia un veicolo didattico che scaturisca in un progetto, un edificio e teso a prolungare la vita di un ufficio. L'altra linea è quella della scuola, dell'università: quando è possibile introdurre la realtà "nuda" della città, insegnare le sue modalità di funzionamento, considerare i suoi movimenti come pure forma plastiche da appropriare e manipolare? È altresì vero che lo spazio per l'azione è limitato nel tempo: dove nuove forme di vita emergono sfuggendo a qualsiasi processo di manipolazione e trasformano radicalmente le cose i processi di osservazione, apprendimento e riconoscimento devono ripartire da capo.

Controllo: è possibile usare le normative esistenti, i limiti dei budget a disposizione per garantire che un progetto raggiunga gli scopi prefissati e sostenga il processo di cambiamento? Le organizzazioni professionali mettono pressione sulle scuole di architettura al fine di sfornare futuri professionisti che ben servano la categoria, ma è pur vero che le prerogative della categoria sono troppo spesso quelle della "buona pratica" piuttosto che quelle della leadership ed educazione alla pratica. Le scuole devono guidare la professione attraverso il prossimo cambiamento, devono fornite ai nuovi professionisti gli strumenti per simultaneamente operare nella città ed essere nello spazio aereo che fluttua su di essa, quel meta-spazio dove le relazioni esistono, possono essere create o modificate. La scuola è perciò posizionata con le sue gambe nel mondo della normative e della professione, mentre la sua testa è nel meta-spazio della società, al di là degli immediati orizzonti di una società, formulando tesi per una realtà in continuo mutamento. La contemporanea ossessione per le nuove tecnologie ci può essere d'aiuto solo in parte. Non vi è alcun dubbio che esse abbiamo creato nuove possibilità per pianificare, progettare ed amministrare. Ma la tecnologia non può essere uno scenario, non è in grado di delineare imprevedibili usi dei propri potenziali oppure produrre una innovazione che ancora non esiste ma che può essere immaginata dall'alto del meta-spazio. Il lavoro di Archigram, ora apprezzabile a pieno attraverso una serie di recenti mostre, viveva in questo meta-spazio. Impossibile da utilizzare o applicare secondi i tradizionali canoni professionali, la loro fascinazione non era tanto stimolata dalle tecnologie rivoluzionarie del loro tempo quanto piuttosto dalla società nella sua interezza, dall'inserimento delle nuove tecnologie all'interno della vita quotidiana mentre sognavano mondi che Dalibor Vesely definiva "possibili realtà" e non "reali possibilità".



IL MODELLO: OPEN SOURCE SYSTEM. La Galleria Urbana si presenta quindi come concetto, metafora, pratica e prototipo. Il concetto è rappresentato dal meta-spazio che possiamo costruire, controllare, gestire, usare come strumento didattico e pianificatorio. È inoltre metafora di una galleria d'arte che mostra una espressione della società che può essere osservata attraverso filtri diversi da quelli delle norme costruttive o di qualsiasi altro apparato burocratico: sogna un altro mondo attraverso una rete di connessioni o hyperlink che sono intuitivi o, come facevano i Situazionisti, casuali percorsi logici.


Hom_x: specifici mix programmatici costituiscono sono alla base dei prototipi.

La Galleria Urbana mostra questi lavori; un curatore apporta modifiche e connette nuove tendenze, correnti, collezioni, provocazioni, fornendo si un servizio al pubblico ma anche custodendo il lavoro stesso. La Galleria Urbana è uno spazio per mostrare questi progetti, processi, connessioni, associazioni. Ma è anche una pratica. Il curatore si giostra fra norme, burocrazia, successo di pubblico, leggi e budget. La Galleria Urbana ed il curatore urbano formano insieme una nuova pratica a metà fra il mondo dell'architettura e dell'urbanistica, ma anche della amministrazione, burocrazia, ed educazione. La galleria urbana diventa un modello delle naturali interazioni al lavoro nelle città che galleggiano sulla seconda pelle, è in se stessa un meta-spazio: un Taschenwelt, termine coniato da Arno Schmidt, un piccolo mondo tascabile. Ciò significa che la totalità del materiale contenuto nei suoi quattro componenti –database, prototipi, scenario game, piani d'azione– è in un certo senso esso stesso un frammento della seconda pelle a cui la Galleria Urbana è applicata. Cosi definita, tale tecnologia diviene un open source system, uno spazio pubblico in cui chiunque può entrare, contribuire, appropriarsi di qualcosa usando diversi media ed interfacce.



POTERE E CONTROLLO. Quando ho recentemente presentato la Galleria Urbana a Bucarest mi sono confrontato con un interrogativo che è poi diventato una delle più interessanti questioni legato al mio lavoro: chi controlla la Galleria Urbana? In una nazione che dieci anni fà si è sbarazzata di un dittatore e del suo regime totalitario, si è posto il problema del rischio che la Galleria Urbana ha di diventare anch'essa uno strumento di controllo totalitario, una specie di Grande Fratello di reminiscenza orweliana. Chi detiene il potere di controllo sullo strumento? Si tratta di uno strumento di natura democratica, persino una forma più diretta di partecipazione, oppure è una minaccia alla democrazia grazie al suo potenziale totalitario? La risposta a questo interrogativo sta nel tentativo di dare potere a tanti, al singolo individuo, al più debole, e nel carattere molteplice dei diversi curatori. Il Consiglio delle Arti Inglese ha espresso interesse nel supportare applicazioni sperimentali della Galleria Urbana in Homerton nell'est di Londra, proprio perché la Galleria Urbana ha la capacità di rivelare trasformazioni che avvengono su larghi territori come, ad esempio, nel cosiddetto Thames Gateway (estuario del fiume Tamigi) o di fornire strumenti a piccoli gruppi di modo che possano avere un ruolo in queste espansioni (in questo caso riguardanti tutta l'area ad est di Londra lungo il Tamigi).


Homerton X. Piano coreografico. Orchestrazione dei progetti e intreccio di eventi diversi.

La natura curatoriale della Galleria Urbana (orchestrazione, coreografia, intreccio) diventa uno strumento organizzativo per collegare gli elementi che agiscono su territori urbani complessi. La Galleria Urbana connette il tessuto urbano, il carattere e specificità locale al vento dei fenomeni globali, e permette ai piccoli cambiamenti, agli interventi incrementali (o Stepping Stones) di avere una rilevanza più ampia (una forma di risonanza in cui il contesto si adatta alle fasi del piano o ad un progetto particolare) oppure "sciocca" il contesto (creando uno strappo con ciò che la preceduta).


Homerton X. Mani in azione.



PRATICA. Per mettere in pratica la Galleria Urbana bisogna ripensare a cosa è un ufficio. Prima di tutto, bisogna essere in grado di rispondere alle tendenze ed ai fenomeni emergenti nella società e che trasformano la città nelle maniere più disparate. In un certo senso si tratta di un incarico senza cliente e che perciò deve essere patrocinato attraverso sovvenzioni. Tuttavia le sovvenzioni mirano all'ottenimento di prodotti che si inseriscano negli statuti degli enti che li mettono a disposizione. Qualunque strumento che abbia un carattere ibrido (come la GU) ha notoriamente difficoltà ad attrarre somme di denaro adeguate al tipo di obiettivi che si prefigge di ottenere. La capacità della Galleria Urbana di essere uno strumento interdisciplinare che taglia pratiche precostituite in maniera trasversale diviene un problema quando ci si deve confrontare con istituzioni il cui mandato è invece estremamente preciso e specifico. Ma l'interdisciplinarità della GU è necessaria per garantire la negoziazione tra attori diversi, tra attori ed agenti, specialisti, e decision maker. Mentre molti uffici stanno diventando sempre più interdisciplinari, specializzazione e globalizzazione si affermano come due tra i più urgenti problemi con cui confrontarsi.

Tuttavia rimane pressoché impossibile per un solo ufficio, o addirittura un singolo individuo, risolvere queste questioni. Chora, così come altri uffici, opera sempre di più in collaborazione con altri gruppi in modo da creare una rete che possa proliferare ed adattarsi, proprio come un prototipo. Tuttavia ci sono anche altri effetti: l'uso di alcuni fra i nuovi media proietta il nostro lavoro al di fuori della nostra disciplina dentro lo spaio politico e sociale. Per essere un completo strumento di pianificazione la GU deve rispondere sia al territorio in cui è applicata che ai nuovi spazi politicizzati che stanno emergendo (come le comunità che si formano attorno all'uso di strumenti wireless, l'uso del video da parti delle persone sorde, la diffusione di pratiche voyeristiche ed a sfondo sessuale attraverso Internet, tecnologie miniaturizzate studiate dalla industria aerospaziale ed ora impiegate nella industria della costruzioni o dell'abbigliamento, ecc.). Un ufficio che vuole impiegare uno strumento come la GU deve essere in grado di seguire i cambiamenti culturali anticipando organi governativi e amministrazioni locali che, per la loro natura burocratica, faticano a tenerne il passo. In Europa ad esempio si registra l'emergere di regioni a carattere trans-nazionale con precise identità culturali, sociali, economiche, ma che politicamente e dal punto di vista urbanistico, sono ancora basate sulla struttura nazionale della Comunità Europea (malgrado il suo tentativo di agevolare trasformazioni all'interno della Comunità stessa).



SCALA E TRADUZIONE (MAPPATURA E STRUMENTI LINGUISTICI). Lo scrittore argentino Borges ha scritto un racconto in cui l'imperatore cinese richiede una mappa del proprio impero. Il risultato è però per l'imperatore sempre deludente fino a che i suoi topografi decidono di disegnare una mappa larga quanto l'impero stesso; tuttavia non si tratta di un documento di grande praticità, così solo alcuni frammenti sparsi nei deserti che vengono abitati da animali sopravvivono alla sua distruzione. Negli anni, abbiamo cercato di applicare la GU a scale diverse. Alla piccola scala la relazione interattiva fra territorio (oggetto) e il meta-spazio inteso come open source system può essere facilmente immaginato, tant'è che già esiste in altri settori. Quando si aumenta la scala d'osservazione i flussi e gli scambi che avvengono sono più difficili da registrare, è molto meno chiaro determinare chi decida e chi assegni incarichi. La nostra proposta per il concorso della nuova stazione di Osaka, Giappone, prevedeva l'istituzione di una nuova autorità pubblica capace di amministrare e gestire i meccanismi di scambio e adattamento del nuovo centro per Osaka, Osaka Stepping Stones. Questa autorità sarebbe stata attenta alle mutazioni sociali, alle tendenze culturali, avrebbe orchestrato i cambiamenti nel mercato immobiliare e la composizione delle persone coinvolte nella gestione del piano.

Ma il problema della scala (o meglio di lavorare simultaneamente a diverse scale) chiama in causa anche un altro problema: come gestire le traiettorie che saltano da una scala all'altra? Questa è in realtà una domanda politica che riguarda il controllo e/o l'appropriazione della rete di connessioni sopraccitate. La capacità della GU di essere uno strumento curatoriale è cruciale per la gestione di queste reti. Questa tipo di coreografia finisce per essere un masterplan dinamico, come nel lavoro fatto per Homerton Cross, in modo da formare le basi per un processo di partecipazione democratico governato attraverso i protocolli della GU intesa come strumento urbanistico.

La storia della Torre di Babele racconta di come l'arroganza umana abbia spinto alla costruzione di uno strumento universale per raggiungere Dio, o i cieli, cioè il meta-spazio discusso in precedenza. Il progetto comunque falli quando le genti che costruivano la torre iniziarono a parlare lingue diverse e cessarono di comunicare fino a decretare il fallimento del progetto che fu poi abbandonato. La universalità apparente della GU e la nostra ambizione di applicarla a territori trans-nazionali incontrerà una resistenza che, potenzialmente, potrà sfociare in fallimento per le stesse ragioni per cui la torre di babele non fu mai terminata. C'è anche un ulteriore problema che nasce dalle difficoltà di testare un tale strumento in contesti locali: un intero repertorio linguistico contenente concetti, strumenti deve essere di volta in volta re-inventato. Nuovi linguaggi devono essere costruiti, categorie create, terminologie prese a prestito dal conteso per calare la struttura della GU nei processi locali. La re-invenzione è in se una forma di traduzione. Ma dal momento in cui iniziamo a tradurre strutture linguistiche incappiamo nel problema dei significati figurativi di un linguaggio: metafore, metonimie, sono importanti per lavorare con differenti gruppi di persone, per toccare le emozioni collettive, memorie e desideri. Simboli, consuetudini, espressioni, comportamenti devono tutti penetrare o percolare all'interno del meta-spazio per animare la struttura della GU attraverso le declinazioni locali. La costruzione di uno spazio collettivo e di un linguaggio comune diventano strumenti curatoriali in se, la capacità di comunicare deve essere re-inventata localmente ed è questo il ruolo dell'architetto o urbanista durante il processo di creazione di un masterplan dinamico. Nel progetto per Homerton Cross un paesaggio di comunità (Landscape of Communities) emerge dalla negoziazione fra molteplici attori e società intrecciato nel il tempo.

Raoul Bunschoten
Estratto dall'articolo originariamente pubblicato in The Naked City, catalogo della mostra Archilab, Edition Hyx, 2004.
> ARCHITETTURE: CHORA, GROSS MAX, J. GROOTENS. THE LANDING

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