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22.30
Matteo (2A+P/nicole_fvr) viene a prendermi. Salgo in macchina, alla
radio Lorenzo Romito (Stalker) parla delle periferie romane e del
progetto Corviale...
Se avete già letto questa frase non preoccupatevi: non è
un errore ma un ritorno a quell'articolo (Mobilità
Urbane), di quasi due anni fa, che era stato l'occasione
per mettermi in moto attraversando Roma da una parte all'altra, da
uno studio all'altro, per raccontare la vitalità della ricerca
architettonica (under 40) in questa città.
In realtà, quello che già da tempo mi aveva colpito,
e che allora ho provato a raccontare, non era semplicemente una generica
vitalità della nuova scena romana venuta alla ribalta nella
fatidica svolta del millennio (attraverso gli scossoni e i varchi
aperti dallo scompiglio studentesco del '90 prima e da quello digitale
poi), ma la forte tensione al confronto, alla discussione e alla collaborazione
tra una serie di gruppi che operavano, per altro, tutti sostanzialmente
al di fuori dell'università. Penso per esempio allo studio
di IaN+ che ho frequentato nel periodo in cui fervevano i preparativi
per il secondo Archilab, per una installazione (con diversi altri
studi) alla Biennale di Fuksas, e per un cofanetto di libri che presentava
il lavoro di cinque giovani studi italiani. Parallelamente (e per
certi versi all'altro estremo) penso, sempre intorno al duemila, al
fervore dell'attività di Stalker che passava per la prima volta
a lavorare in modo stabile e duraturo su un luogo (Ararat
a campo boario e successivamente Corviale) e funzionava tanto come
spazio di incontro estemporaneo tra ricercatori in movimento tra luoghi
e spazi diversi quanto come luogo di costante elaborazione comune
di gruppi come ma0, 2A+P ed ellelab.
In altre parole, il fatto più interessante che emergeva dalla
scena romana, al di là delle specifiche proposte critiche e
progettuali, era l'importanza della dimensione collettiva e di un
farsi condiviso dell'architettura.
È così che attraversando Roma da una parte all'altra
per raccogliere le storie dei vari studi e trovando via via conferma
di questa rete di confronto e collaborazione, cominciavo a farmi l'idea
che l'esistenza di questa rete di relazioni fosse una grande risorsa
da portare alla luce in modo più netto, costruendo un luogo
di confronto comune, durevole nel tempo, in cui poter discutere collettivamente
gli obiettivi e le modalità del fare architettura.
In questo senso (innanzitutto, ma non soltanto), la parola "relazione"
è primaria perché afferma un valore di base: se l'architettura
si occupa dello spazio condiviso la sua natura, o meglio il suo modus
operandi, non può che essere relazionale, ovvero,
avendo per proprio oggetto un bene comune, essa richiede innanzitutto
un'attività di accordo.
Non si tratta di una necessità di uniformità di stile
ma di qualcosa di molto più profondo. Si tratta di capire secondo
quali principi orientare la trasformazione di qualcosa (il nostro
spazio) che è un bene comune.
È dunque da questo bisogno di discutere, di confrontarsi, di
stabilire strategie comuni, di portare avanti analisi e visioni condivise,
mettendo in discussione le pratiche di gestione del territorio e individuandone
di nuove, ovvero dal desiderio di non ottenere semplicemente incarichi
da un committente per il proprio studio ma piuttosto di interrogarsi
insieme sulla realtà esistente e sulle sue possibili trasformazioni,
che è nata l'idea di Laboratorio Roma. Un tavolo stabile di
confronto tra gruppi diversi. Un osservatorio critico dei fenomeni
urbani, mirato tanto a conoscere e leggere la città presente
quanto a immaginarne possibili sviluppi futuri. A partire ovviamente
proprio da Roma.
Per tornare ad un racconto cronologico, nell'estate 2004 cominciano
una serie di incontri informali con i gruppi coinvolti nell'articolo
citato (ellelab, IaN+, ma0, Osservatorio Nomade, SciattoProduzie,
2A+P) ed altri studi anch'essi parte della rete di relazioni citata
(2Tr, Architettura Quotidiana, doppiomisto, e UAP). Dopo un anno di
accesi dibattiti e progressive trasformazioni del gruppo, il 25 luglio
2005 RomaLab lancia via web una prima iniziativa pubblica: la prima
di una serie di passeggiate volte ad esplorare l'ultima città,
la città cresciuta negli ultimi quindici anni.
Obiettivo delle esplorazioni è capire come, negli ultimi anni,
è stata costruita la città: con quale idea di spazio
pubblico, e di relazione tra spazio pubblico ed edilizia privata,
con quali forme di margine, quale rapporto tra spazi verdi, aree agricole
e città costruita, quali modalità di attraversamento
e di servizio. Con l'idea che, a partire da questa analisi sul campo
della città esistente, si producano visioni per possibili trasformazioni
future del territorio. E, più generale, con l'obiettivo, esplorazione
dopo esplorazione, di articolare dei principi di fondo su cui ripensare
lo sviluppo urbano.
La prima esplorazione ha per oggetto la crescita della città
a sud, oltre il Torrino.
L'appuntamento è in piazza Cina, e lì ci ritroviamo
in trenta ad inoltrarci a piedi in un quartiere in costruzione subito
al di là del GRA. La scena è abbastanza impressionante
perché sostanzialmente ci muoviamo all'interno del cantiere
di un nuovo grande pezzo di città: una saldatura tra la zona
ormai consolidata del Torrino e un'altra area più antica con
caratteristiche del tutto differenti, Vitinia, una borgata di case
basse e villini arrampicati su una collina. Del nuovo quartiere non
si vede ancora nulla se non il tracciato bianco e polveroso di strade
ortogonali che ripartiscono un pezzo di campagna, con tanto di cartelli
già infissi con i nomi delle strade.
Sorpassato il cantiere e la collina di Vitinia, proseguiamo costeggiando
per un tratto l'Ostiense, per evitare di attraversare un'area di campagna
rimasta intrappolata tra le due grandi vie consolari che portano al
mare, l'Ostiense e la Cristoforo Colombo, Vitinia a nord e un quartiere
di costruzione molto recente a sud. Quest'ultimo, chiamato Giardini
di Roma, è il nostro obiettivo. La prima cosa sorprendente
sono anche qui i cartelli con i nomi delle strade, non perché
qui si trovino in mezzo al nulla, ma perché per esempio alla
"piazza Stanlio e Ollio" corrisponde una rotonda stradale
con un grande pilone al centro. Possibile che questa sia una piazza?
Procediamo, e inoltrandoci nel quartiere scopriamo che anche la piazza
principale sembra essere pensata più per le macchine che per
i pedoni: al centro dell'area vuota infatti stanno due file di parcheggi,
poi la strada che gli gira intorno e ai margini, di fronte ai negozi,
un marciapiede non più largo di un metro. Tutto intorno, il
quartiere è composto da una serie di edifici tutti identici:
la "casa Caltagirone", dal nome del costruttore a cui la
città ha affidato questa sua grande area di espansione!
Avvicinandoci alle case, troviamo che anche qui la macchina ha un
ruolo piuttosto da protagonista dal momento che essa arriva ad occupare
il piano terra degli edifici gestendone così il rapporto col
suolo...
Complessivamente, l'impressione che ci facciamo di questo luogo è
che pur essendovi rispettati tutti gli elementi minimi richiesti sia
dal punto di vista urbanistico che da quello più basilare di
una certa vivibilità (aree verdi, parcheggi, panchine, attività
commerciali, edifici con grandi aperture e balconi etc.) quello che
manca (e che rende il tutto piuttosto desolante, nonostante si tratti
di un caso "sereno" di periferia ovvero assolutamente al
di là di una soglia di emergenza) è proprio una qualità
urbana: quella qualità che non dipende dal rispetto degli
standard quantitativi ma dall'interpretazione dei vari elementi così
che costituiscano una storia coerente e significante.
Quello che manca paradossalmente è proprio l'architettura:
come costruzione di uno spazio comune che sia qualcosa in più
della somma degli spazi individuali. Manca lo spazio per quella vita
pubblica che costituisce l'essenza della polis o dell'urbs:
la città come cosa pubblica, come spazio di relazioni.
Se il nostro sguardo è uno sguardo di visitatori volutamente
ignari della storia specifica di questo quartiere, l'impressione è
che qualunque siano stati i processi che lo hanno costituito, così,
in questo luogo, con queste caratteristiche, ci sia molto da mettere
in discussione...
Marialuisa Palumbo
***
Per questo due mesi
dopo ci incontriamo alla Fondazione Mattei che ospita RomaLab per
una giornata di studio per dare una prima restituzione di questa esplorazione,
elaborare e comunicare questo tentativo di critica urbana
sulla città che si sta costruendo oggi. Il risultato istantaneo
sono queste immagini che isolando gli elementi dello spazio pubblico
e del costruito raccontano di una situazione paradossale, e sollevano
alcune questioni: come produrre una intensità d'uso
urbana in queste piazze dedicate all'automobile e in questo quartiere
dove la continuità dei percorsi dovrebbe essere risolta grazie
a passaggi sopraelevati che sembrano nascere dalla necessità
di spendere denaro pubblico (a scomputo degli oneri di concessione)
in tonnellate di cemento? Come garantire una sostenibilità
dei nuovi insediamenti, rovesciando la relazione tra costruito e verde,
qui un semplice e frammentario spazio di risulta? Come costruire una
identità di questi luoghi così uniformi, dove
lo stesso elemento prefabbricato viene ripetuto infinite volte, anche
nei parapetti dei ponti pedonali – e che lo stesso costruttore
riproduce identici in più luoghi della città, magari
approfittando di una qualità veniale di questo quartiere, le
grandi logge di cui è dotato ogni appartamento, sorta di invito
all'abuso e alla trasformazione degli edifici?
A dicembre invitiamo gli studenti per un workshop a Roma III a riflettere
su questo quartiere seguendo queste tre parole chiave -intensità,
sostenibilità e identità– per proporre delle
ipotesi progettuali. Si compie in questo modo il ciclo ideale di Laboratorio
Roma, che vuole diventare nel tempo un luogo dove allo stesso tempo
fare ricerca e formazione, strumento di investigazione e critica,
ma anche di produzione di visioni alternative sullo sviluppo della
città.
È un primo risultato parziale, lo stimolo a produrre una conoscenza
più approfondita dei fenomeni ed una progettualità istantanea
più efficace, la prima prova di questo il lavoro di critica
urbana che, con modalità tutte da inventare, ci proponiamo
di fare esplorando, passo dopo passo, l'ultima città.
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[17feb2006]
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