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Bacon

Chiara Roverotto



 
La ricostruzione dello studio di Francis Bacon alla Hugh Lane Gallery a Dublino è un'incredibile operazione di esplorazione ambientale incentrata sul ruolo dello studio nella creazione artistica e sul potere delle rappresentazioni nel costruire un'archeologia del caos. Pietro Valle analizza l'atelier dell'artista e Chiara Roverotto visita la retrospettiva di Bacon a Palazzo Reale a Milano.



"La venerazione del passato conduce a un pessimismo ingiustificato sul presente e impedisce di capire che l'avvenire non è già più quello che era..."
Paul Valéry



 
Bacon nel suo studio cercava un posto dove riscaldarsi, dove l'arte potesse nascere accudita con quel senso di calore con cui molti animali vengono alla luce. Coccolata, ma anche distruttiva, amata ma nello stesso tempo struggente. Piena di fantasia e contemporaneamente alla ricerca di qualcosa da raccontare che però fosse già stato scritto, impresso, visto, memorizzato da uno scrittore, da una fotografia, da un giornalista, da una sequenza di movimenti fulminei, veloci come il suo pennello quando scorreva sulle tele... Come quel cane che lo rincorreva in una sorta di movimento ciclico incapace di cogliere l'essenza di una fuga che non avrà mai una preda.

[19 agosto 2008]

Two Figures, 1953.


Self Portait, 1969.


Study for Bullfight, 1969.

La ricostruzione dello studio che in parte appare nella personale dedicata a Francis Bacon nei saloni di Palazzo Reale a Milano mette in luce un aspetto fondamentale, peraltro espresso nel corso dell'intervista video proiettata in mostra cui il pittore sembra sottoporsi di malavoglia, incapace a volte di dare risposte immediate e non mediate da un senso di impotenza che spesso mette in luce. Incapace di esprimere a parole quello che riesce a mettere con estrema facilità su una tela. Del resto i modi di espressione sono molti e non sempre l'eroico sforzo dell'arte di sintonizzarsi con mondo riesce. "Io non cerco, provo", usa questa espressione Bacon per far capire in che cosa consiste il suo lavoro, per spiegare perché nel suo studio non c'è spazio per nulla se non per una tela e una tavolozza di colori.

Il disordine che lo circonda lo aiuta mentalmente a concentrarsi. Fuori da ogni ansia con un senso di onnipotenza quasi infantile si afferma al centro di un mondo dove lui stesso viene sfalsato. Occhi, bocca, corpo, gambe vengono spesso nascosti, celati quasi fosse il visitatore o meglio lo spettatore a dare un senso a quella sorta di messaggio che lui lancia verso un mondo pronto a masticare presente, passato e futuro. E questo lo mette in luce occupandosi prima di anatomia: il cervello, il corpo, il funzionamento dei muscoli con i vari scatti effettuati durante la corsa di un atleta, non sono altro che sperimentazioni di un percorso da divorare con precoce prontezza linguistica piegando qualunque forma artistica ai suoi appetiti espressivi che mettono sulla "tavola" una grande mobilità articolare. Nessuna idea maschile da tutelare, nessun corpo da proteggere. Solo doti e qualità da esaltare. È come se fosse cambiato il rapporto tra arte ed espressione da portare all'esterno.

Disordine, ma solo per mettere in luce cuori e menti tempestose. Ma non è l'unico artista a combattere per quanto si sforzi a guardare sempre in alto, per quanto la sua ricerca faccia parte di un percorso preciso, dove nulla è lasciato al caso e tutto è studiato fin nei minimi dettagli e particolari. Dagli autoritratti, alle figure di un mondo che non gli appartiene come quello della fede scandagliata negli occhi di un Papa a cui non riesce a dare un significato forte, immediato, simbolico, ma solo un'enorme bocca aperta pronta a lanciare un urlo. Emerge così un inventario di centinaia di vite private e da esse vengono molte risposte sia sul piano tecnico che su quello prettamente pittorico. La scelta dei colori è sempre fondamentale, importante quasi i personaggi avessero una sorta di doppia vita ingabbiati in figure geometriche e in prospettive che trovano comunque un minimo di equilibrio tra il loro naturale, inevitabile senso di ingiustizia, l'alienazione nei confronti del sistema e la loro stringente necessità di sopravvivere ritagliandosi un posto all'interno di una tela. Alla fine Bacon mette in evidenza non solo la sua fantasia, la sua ricerca, il suo cercare fino in fondo un senso alle cose che lo circondano. È un animale curioso ma è dominato da molti timori; per questo si guarda spesso attorno e dall'esterno trae origine la maggior parte della sua opera. Un filone artistico che lo pone al centro di un film in cui, sotto il segno dell'ironia, ricama sul tema del rapporto tra l'arte e la creazione artistica, tra il vero e il falso, tra la realtà e l'invenzione, che nel mondo di Francis Bacon si confondono e si intrecciano in uno straordinario corpus artistico. Piegava chiunque alla sua visione del mondo e ai suoi progetti, che nascevano all'interno di uno studio che era diventato un laboratorio di sperimentazione, grazie al materiale raccolto, elaborato, studiato, valutato, concretizzato con una forma d'arte interamente ricostruita in cui ha tentato un assemblaggio di tutto quello che, fuori da quelle pareti, pulsava e viveva, ma in forme diverse. Spesso, nell'impossibilità di ridare configurazione ad un puzzle, di cui il pittore conservava meravigliosi frammenti provenienti dall'esterno.

Chiara Roverotto
chirov@libero.it
> VALLE. AURA, TRACCE E CAOS...

 

 

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