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Lanterna Magica

Reverendi




Sir Henry Raeburn,
Il reverendo Walker, 1790.



[in english] Il reverendo Walker immortalato da sir Henry Raeburn fa riflettere e istruisce.
In questo leggendario ritratto è rappresentato lo spasso nella sua accezione più elegante ed eterea (pattinaggio su ghiaccio) praticato e goduto, tuttavia, con l'aplomb di chi sa di dover rendere conto a Dio, oltre che agli uomini, di un eventuale movimento di troppo.
Non scivola, il reverendo Walker, essendo egli incastrato nello scivolamento.
Sir Henry Raeburn, ritraendolo, non rappresenta un semplice individuo che scivola bensì un individuo che già all'origine si rappresenta per l'eternità in quanto individuo scivolante.

Questa tela offre testimonianza di una rappresentazione al quadrato: il reverendo Walker, già all'atto di farsi rappresentare era, infatti, già "in rappresentazione", si muoveva sui ghiacci al suono del corno inglese, autorappresentandosi come erma marmorea con semplici appendici deambulative che lo collegavano al piano terreno.
Il reverendo Walker (il cui nome già lo illustra in movimento programmatico, da "to walk", camminare) non scivola che ad edificazione del pubblico: mostra agli attenti fedeli come si scivola senza minimamente scivolare, rappresenta a loro beneficio lo scivolamento più astratto. Rappresenta, è vero, lo spasso più sfrenato e giovanile ma nessuno che non sia decisamente prevenuto e malevolo potrebbe affermare che egli se la stia effettivamente spassando.
Non se la spassa dunque il reverendo Walker: lavora invece a pieno ritmo per l'edificazione dell'umanità e, segnatamente, dei suoi parrocchiani. Se stesse leggendo ad alta voce un sermone non potrebbe apparire più compassato e se anche, leggendo il sermone, pattinando sul ghiaccio o praticando l'antipodismo, cadesse, la sua caduta sarebbe vittoriosa e trionfante: colerebbe a picco nell'acqua gelata senza fare una grinza, immobilizzato nel saluto alla bandiera. Raeburn avrebbe potuto ritrarre la torre di Pisa, le piramidi d'Egitto oppure l'Ara Pacis in viaggio verso il favoloso Catai su pattini a rotelle e non avrebbe ottenuto risultati più monumentali.

Noi, sospetto, immaginiamo di poter sorridere di tutto questo persuasi che duecento anni non sono trascorsi invano. Ma se questo è vero, e se effettivamente molto è cambiato in questi due secoli, non credo tuttavia che possiamo permetterci di ridercela a cuor leggero né del pattinatore Walker, né del suo ritrattista.
Il reverendo, considerato che nel 1790 il movimento non poteva che essere rappresentato con parsimonia, effettua infatti lo stesso esercizio che vediamo praticato, con ben altra dovizia di mezzi dal secondo immobile, assai più celebrato e attuale, che vedete al suo fianco.
Ambedue gli immobili risultano ingessati in movimento ed ambedue sono, già all'origine, "in posa". Sarebbe opportuno non lasciarsi fuorviare dall'aria più spigliata dell'immobile odierno (che ho scelto non tanto per la sua avvenenza, ma piuttosto per la sua tipicità: a rappresentanza di centinaia di altri attualissimi e mobilissimi immobili): essi si assomigliano assai.

Per cominciare, nonostante le apparenze, nemmeno l'immobile iperattuale se la spassa. Anch'esso sta lavorando per noi e vuole edificarci, anch'esso si fa ritrarre in posa a beneficio dei parrocchiani e anch'esso, infine, rappresenta una commedia. Mima la catastrofe ed interpreta melodrammaticamente il crollo che ne è alla base, ma nessuno, che non sia prevenuto e malevolo, potrebbe affermare che stia effettivamente crollando. Anche solo per accostarlo dobbiamo, anzi, assolutamente supporre il contrario e che goda di ottima salute, altrimenti neppure il più sfegatato sostenitore dei fasti orgiastici dell'iperattualità potrebbe indurci a farlo.
Pure il secondo immobile, dunque, recita un copione e parla da un pulpito.
Certo non possiamo aspettarci che un immobile profano ed attualissimo, immobilizzato tra le luci stroboscopiche di una discoteca nell'attimo stesso in cui il dj agita tubi fosforescenti che emettono luci al laser in direzione della cubista mantenga l'aria compassata di un clergyman già maturo quando Jane Austen era ancora adolescente. Sarebbe pretendere troppo. L'immobile iperattuale ha aggiornato il suo travestimento, ma la sostanza non mi pare diversa.
In ambedue i casi abbiamo la rappresentazione di un immobile che vuole già in origine fortemente autorappresentarsi divertito, divertente e in movimento.

Che cos'è, allora, veramente cambiato in questi ultimi duecento anni?
Qualcosa, forse, è cambiato.
Non desidero certo lasciarmi irretire dalle fibrillazioni della storia (rivoluzioni, guerre mondiali, sterminio, bomba atomica, televisione, computer ecc.) ma vorrei, nondimeno, notare che mentre a quell'epoca la rappresentazione doveva esercitarsi in un luogo contiguo e tuttavia non coincidente con la realtà oggi essa non riconosce più questo recinto.
Perfino il reverendo Walker converrebbe, in data attuale, dell'inutilità di assumere una posa così eroica, visto che, oramai, la posa equestre non sembra avere più alcuna ragion d'essere: essa s'identifica in toto con la realtà.
Dal momento che il vero teatro di posa è diventato il mondo, si richiedono scenografie adeguate.
Le vecchie scene di cartapesta sarebbero patetiche. Non rispondono più alle pressanti richieste provenienti da questo reality show. Se è la realtà (qualunque cosa s'intenda con quest'antiquata definizione) a dovere essere "trasmessa in diretta", se è dunque la realtà il vero spettacolo (in tempo reale) dell'epoca, è sulla realtà stessa che il vero scenografo deve sapere agire.

[20jul2004]
La realtà, dunque, e in primo luogo ciò che da sempre la configura fisicamente (parlo dell'architettura, per quanto mi renda conto di come, oramai, appaia inadeguato questo termine) dovrà assumere direttamente e senza mediazioni un ruolo scenografico.
E la differenza principale tra l'architetto e lo scenografo non va cercata nello statuto tecnologico delle due discipline o nella durevolezza dei loro prodotti ma piuttosto, così a me sembra, nel fatto che mentre il primo "costruisce", il secondo "edifica" un pubblico, e mentre il primo non si preoccupa di "rappresentarsi" né di "rappresentare" alcunché il secondo rappresenta sempre qualcosa per qualcuno.
È questa, anche, una delle ragioni per cui la fotografia d'architettura, nonostante non abbia mai avuto uguali disponibilità tecniche, non ha mai conosciuto livelli di tale imperscrutabile trivialità. Non è, se non parzialmente, responsabilità dei fotografi (così come il ritratto del reverendo Walker non è, se non parzialmente, responsabilità del buon sir Raeburn): il povero fotografo si trova già di fronte un soggetto in posa, un immobile che mima il movimento, un incrollabile che recita catastrofi, un ingessato che si sconocchia, un ippopotamo in tutù.
Ma sarebbe sorpreso, il molto onorevole reverendo, della quantità e della potenza raggiunta dai suoi involontari epigoni. Eppure, sospetto, anche questi epigoni sarebbero sorpresi, e seccati, di essere definiti seplicemente epigoni.
Loro che sono la crema dell'umanità.
I reverendissimi dell'iperattuale.

Il reverendo Walker perciò dovrà adattarsi al non invidiabile ruolo del precursore non riconosciuto come tale. L'ideologizzazione più completa, ahimè, passa oggi attraverso la persuasione (quasi sempre urlata a gran voce) di pensare con la propria testa e di dovere essere annoverati per autocertificazione tra gli spiriti liberi e i creatori titanici.
Per definizione non abbiamo che "creativi": a parte il sottoscritto e pochi altri dinosauri oramai definitivamente condannati al frantoio evolutivo, non si trova un mediocre neppure a pagarlo a peso d'oro.
Buone vacanze.

Ugo Rosa
u.rosa@awn.it

la sezione Lanterna Magica
è curata da Ugo Rosa


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