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Simple tech

un progetto per il museo
del "simple tech" - 1

stefano mirti, luca poncellini
questo testo è in verità un progetto.
un progetto che però non è fatto di piante – alzati – sezione.
è un progetto sotto forma di racconto.
come ogni progetto è un'idea possibile, un'idea che non ha committenza, finanziatori, nulla.
noi la regaliamo: chi vuole se la prende e se poi si fa è un'ottima cosa.

; )


nel mondo ci sono 786793 musei diversi.
di tutti i tipi, i generi.
mostre permanenti, temporanee, a rotazione.
di tutto questo ben di dio, abbiamo notato però un'assenza.
un museo, una mostra, un qualchecosa sulle tecnologie semplici.

se sono musei della scienza e/o tecnologia, hanno sempre a che fare con marchingegni complicati. 
per esempio, lo science museum a londra è molto bello.
però poi uno vede un sacco di cose complesse.
http://www.sciencemuseum.org.uk/

un museo sull'incrocio tra tecnologia e semplicità ancora non si è visto.

in effetti, può essere che un museo non ce lo facciano fare.
magari è meglio partire da un'idea più semplice e da lì vedere che cosa succede.
immaginiamo dunque di dovere allestire una mostra temporanea sul tema "simple tech".
una mostra un po' ambiziosa però, con un po' di budget, avendo la possibilità di farsi prestare pezzi da altre istituzioni, collezionisti...



1. l'arrivo

si arriva alla stazione e nell'atrio c'è un chioschetto che fa da punto di informazioni.
immaginiamo un chioschetto di legno, piccolino.
magari una copia perfetta del cabanon di le corbusier a roquebrune.
nell'atrio della grande stazione, questo minuscolo gioiellino di legno.
http://www.culture.fr/culture/inventai/itiinv/archixx/imgs/p55-07.htm


curioso no?
un tipo come lc che passa tutta la sua vita a disegnare una quantità sterminata di edifici di tutte le forme e dimensioni. dalle seggiolette eleganti a città nel nord dell'india.
poi, dovendo pensare a una casa per sé che fa?
un casottino grande come una noce.
perfetto.

: o


se la soluzione cabanon ci sembra un po' troppo irriverente (in più, visto da fuori farebbe un curioso effetto da chalet mediterraneo), abbiamo peraltro pronta una soluzione alternativa.

si contatta shigeru ban, che ci mandi dal giappone due o tre di quelle simpatiche strutturine per emergenze assortite.
strutture in tubolari di cartone, che si montano in un attimo.
già utilizzate in occasione di numerosi cataclismi, per una volta si potrebbe immaginarle in un contesto che non preveda disastri assortiti.

[27jul2002]



ritorniamo invece al nostro punto informazioni in stazione, che se no non finiamo più.
eccovi una possibile terza opzione, se neanche dal giappone ci dovesse arrivare nulla.
una bella cupoletta geodetica di buckminster fuller.
http://www.bfi.org/

delle tre opzioni per l'infopoint è la più semplice, facile da trovare in commercio, di mille grandezze diverse a seconda della necessità.
peraltro, sarebbe simpatico iniziare l'esperienza di visita con un vero e proprio manifesto di che cosa è il "simple tech".

il visitatore arriva e capisce al volo che "simple" non vuole dire "easy".
e neanche è un sinonimo.
semplicità come frutto di un processo ideativo complesso. 
un sistema che lo vedi e dici: come ho fatto a non pensarci io.
che però intanto tu mica ci hai pensato!

; )


ok.
il comitato scientifico stabilirà poi quale delle tre va meglio.
dovessimo scegliere noi, un bel cupolozzo alla fuller, con un'illuminazione tutta fatta con una serie di lampade di bruno munari, quelle fatte con la rete da pescatore, appese al soffitto, non sarebbe niente male.
http://www.cyberium.net/imagine/dedicated_to/munari.htm


ma forse no.
le lampade di munari, sarebbe meglio tenerle per dopo. nel museo stesso. se è il museo del "simple tech", a uno come munari bisognerà dargli un'ala intera...
facciamo che si cerca di ricostruire il cabanon.


bene.
nel cabanon/punto informazioni vengono dati al visitatore i pieghevolini, la brochure, la mappetta per arrivare al famoso museo (dove c'è la nostra mostra temporanea).
il visitatore arriva, se ha caldo si siede un attimo su una delle tre poltrone sacco messe davanti al chioschetto stesso.
http://www.educational.rai.it/lezionididesign/oggetti/poltronasacco.htm

mentre si beve un'aranciata, gli viene dato il voucher da usare per arrivare al museo.
in termini visivi è un bel colpo.
il cabanon di legno, al naturale, e davanti tre sacco.
(ma quanto erano geni gatti, paolini, teodoro?)

http://www.enel.it/it/enel/magazine/golem/archiviogolem/archivio20-21/20/articolo7.htm
è un altro link dove potete vedere l'oggetto fantozziano per antonomasia.
nonché altri nove gioielli di semplicità.
diciamo che, in questa fase, il sistema che il visitatore arriva al cabanon, si siede sulla poltrona sacco e si beve un'aranciata servita dentro un contenitore tetrapack è già un bel sistema.
http://www.tetrapak.com/

ma ve lo immaginate? 
che arrivi entri nel cabanon (o meglio nella copia del) e una signorina bellissima (o un signorino bellissimo) vi versa dell'aranciata da un contenitore tetrapack a piramide, di quelli che si usavano quando eravano bambini, quelli che si usavano per il latte...
mmmmmmmhhhhhh...

(speriamo che la nostra idea a qualcuno piaccia e che alla fine si possa rimettere le mani sui tetrapack piramidali).


dicevamo, deve venir da dire "ma questo lo potevo fare anch'io! (ma non l'ho fatto, porco cane)".
e deve anche venir da dire "qui ci metto subito le mani!".
elaboro la vespa.
trasformo la biro bic in cerbottana, mi costruisco la serra geodetica in giardino.
traffico con la configurazione di linux fino a che non fa quello che mi serve.
se l'oggetto, il concetto, lo spazio non ha nessuna apertura possibile, allora, forse non è tanto semplice.
insomma, le uova di fabergé per lo zar sono carine; però finiscono esattamente lì dove termina la loro perfetta superficie.



2. usciti sul piazzale

ecco la prima sorpresa.
tra il piazzale dei taxisti e la fermata degli autobus, venti vespe schierate tutte in fila.

cioè.
potrebbero essere vespe, ma anche lambrette.
sappiamo bene che il mondo ogni tanto si divide in due.
http://www.vespa.com
http://www.lambretta.com/history.htm


quelli che cucinano con l'olio e quelli che cucinano con il burro.
linux vs microsoft.
gloria guida vs edwige fenech.
http://www.centraldocinema.it/italia%20zone/trash/speciale_cinema.htm

capita così.
che su alcune questioni assolutamente fondamentali, le persone abbiano un parere dato e immutabile. che si potrebbe discutere per giorni, ma tanto nessuno cambia idea.

comunque sia,
ai fini del nostro museo del simple tech, non fa sostanziale differenza.
che siano venti vespe o venti lambrette, si tratta in ogni caso di uno dei capitoli principali della storia del simple tech stesso.
scooter pensati quasi cinquant'anni fa, che funzionano perfettamente ancora adesso, che permettono a milioni di persone di spostarsi in maniera rapida e sensata sulle strade di tutto il mondo.
in effetti, qualche detrattore fa notare che il motore a due tempi è un sistema dal raro potere inquinante.
ovviamente facendo finta di non sapere che, in termini di sistema, sto inquinando molto di più io che scrivo sul mio laptop collegato 24 su 24 a internet che milioni di scooternauti che scorrazzano felici... : )

che dire d'altro sul sistema vespa/lambretta?
nulla.
che si tratta di una delle invenzioni "semplici" più significative di tutto il xx secolo.
tipo la biro bic, tipo il kalashnikov.

http://www.bicworld.com/
http://www.kalashnikov.guns.ru/

marcel bic sviluppa la prima penna bic nel 1950.
un anno prima mikhail kalashnikov era riuscito a produrre la prima versione del celebre fucile mitragliatore che porta il suo nome.
la prima vespa è anche lei di quegli anni, il 1946 per l'esattezza. il kalashnikov, più o meno uguale, viene prodotto anche adesso in diverse varianti.

sono oggetti di una semplicità assoluta, che non temono il tempo che passa, rivali, stili di vita che cambiano in maniera sempre più frenetica.
loro lì sono e li stanno.
come dicono a lecce: 'dove lo metti, canta'.

capetecazz!


altro concetto importante da comunicare.
che gli oggetti semplici reggono il tempo meglio di quelli complessi.
in termini progettuali non è un fatto da poco.
mettere in produzione (o costruire) un manufatto semplice, ne moltiplica per n volte la sua resistenza all'obsolescenza.
che sia uno scooter, un'automobile, una penna o un fucile.
dici poco.


certo,
fare che il visitatore che arriva in stazione può andare al museo prendendo a prestito una vespa è un'esperienza notevole.
sarebbe anche notevole poter predisporre un piccolo poligono con dieci kalashnikov.
lo so che non si potrebbe.
perché è illegale, perché è complicato, perché il mondo dei designer è in genere fatto da gente bigotta e molto 'politically correct'.
se uno cita la vespa allora tutti sono contenti e rassicurati.
il tetrapack piramidale pure.
però, citare il kalashnikov non va bene, perché è un arma da guerra.

questo è un peccato, perché se un ipotetico visitatore potesse sparare i trenta colpi contenuti in un caricatore capirebbe molte cose.
impugna con la sinistra, la destra sul grilletto, guarda nel mirino, fa in modo che la tacchetta verticale sia perfettamente allineata al bersaglio, prepara l'orecchio destro al boato che sarà lacerante, spara.
ripete l'operazione per trenta volte e capisce come mai questo sia lo strumento preferito dai soldati di ogni latitudine e longitudine.
zero rinculo, più facile che un videogioco, con l'unica cosa che stai realmente sparando.

innanzitutto sarebbe un'occasione perfetta per introdurre questo concetto essenziale: lo sviluppo tecnologico più avanzato (dunque anche se non soprattutto quello 'simple tech') spesso avviene all'interno dell'industria militare.
anche se non è bello da dirsi, anche se saremmo più contenti se le invenzioni reali ci arrivassero dal media lab del mit o dai dipartimenti delle nostre università.

purtroppo così non è.
che sia internet (che ci arriva pari pari dal pentagono), che sia l'elicottero, che siano le meravigliose seggiolette di charles eames, 
un sacco di volte capita che il luogo migliore per sviluppare la creatività umana siano gli ambienti dell'industria militare.

cosa credete, uno come eames, che fa? 
inizia forse a sviluppare le sue seggiole di compensato piegato per un mobiliere di los angeles?
ma quando mai, il primo incarico lo ottiene dal governo americano (per sviluppare un prototipo di carlinga leggera in compensato per i caccia della us air force).

per dire, se volete vedere da dove arrivano tutte le sue seggiole, andate su:
http://www.1950.com/etcetera.htm

ecco. avete le steccature rigide per i soldati che si rompevano le gambe in battaglia, sul fronte del pacifico.
molto più interessanti e belle e riuscite e semplici di qualsiasi altra sua seduta successiva.
(solo che la hermann miller non poteva poi mettere in vendita queste robe, da cui si passa alle sedie...)


questo è un passaggio importante nel mondo del simple tech.
molto spesso, i pezzi più importanti e significativi, dobbiamo farceli prestare da musei militari.
del resto, anche corradino d'ascanio lavorava come ingegnere aereonautico, a costruire terrificanti bombardieri per la piaggio. 

nel nostro museo potemmo magari avere un'esemplare della willis jeep.

http://www.members.aol.com/brimiljeep/WebPages/wwwDriveToWWII.html

ancora più simpletech della vespa e lambretta.

o forse ancora, un maggiolino volkswagen (quello simpatico e spiritoso che conosciamo tutti), affiancato dalla sua prima versione usata dalla wehrmacht su tutti i fronti della seconda guerra mondiale.
http://www.hitler.org/artifacts/volkswagen/

(curioso no, che ci sia addirittura un website come quello linkato sopra...)

forse è che la guerra (o la possibilità della guerra) esercitano una pressione tale sul progettista che alla fine deve per forza raggiungere delle forme e delle soluzioni corrette. e una volta che si è raggiunta una soluzione soddisfacente, come la colt 1911, non ci si pasticcia più tanto. 
fa bum, 
ti stende secco a 25 metri, di più di così non serve. 
oppure si finisce rapidamente nel dimenticatoio della tecnologia militare, in compagnia delle corazze personali della breda o del brewester buffalo (fulminati tipo piccioni al poligono dagli zero giapponesi sul cielo sopra la malesia).

http://www.airspacemag.com/ASM/Mag/Index/1996/JJ/ssbb.html


comunque sia, il tema del rapporto tra tecnologia e guerra è stato affrontato da manuel de landa in maniera esaustiva (e soprattutto convincente).
manuel de landa, "war in the age of intelligent machines", zone book, new york, 1992.

http://www.t0.or.at/delanda/netwar.htm
è il link a un suo saggio in cui viene spiegato il suo pensiero in merito al tema.

perché poi,
mentre gli architetti più alla moda passano il tempo a masturbarsi con cazzate, credendo di lavorare sulla tecnologia nelle sue punte più estreme, il mondo vero passa attraverso altri snodi...
che siccome usi una proiezione o un dvd, ti credi di essere leonardo da vinci del xxi secolo, dimenticandoti che quelle stesse robe li le faceva eames quarant'anni fa.

senza contare che le faceva meglio.
: (


magari ritorniamo al nostro piazzale con gli scooter per andare al museo.
ci sono ancora due problemi pratici da risolvere.
il primo è pensare a una qualche seduta per quelli che devono aspettare.

si potrebbero prevedere alcuni dei treppiedi da strada di lina bo bardi.



o forse,
delle selle di achille e piergiacomo castiglioni.
http://www.moma.org/exhibitions/castiglioni/sella.html

o se invece preferite il mezzadro, allora:
http://www.moma.org/exhibitions/castiglioni/mezzadro_sella.html

sui castiglioni si potrebbe scrivere un'enciclopedia.
direi che non è il caso.
se poi uno si siede su una di queste sedute, è bello perché capisce che cosa è "simple tech", partendo dal culo.
molto poetico. 
inaspettato.

: )

che culo (è il caso di dirlo...)

insomma, si può dire che il sistema delle sedute per chi aspetta il suo turno per prendere lo scooter può essere utilizzato per esporre qualche altro bel pezzo...


l'altro problema pratico da risolvere è cosa fare delle persone che non vogliono guidare lo scooter, o che non ne sono capaci.
beh,
se non ne sono capaci, potrebbe essere occasione per imparare.

e qui introduciamo un altro elemento fondante il "simple tech".
che si tratta di robe che sono semplici da usare, dunque facili da capire come funzionano.
facili da aggiustare se si rompono.
in verità, noi abbiamo un po' paura della cosa che si può riparare solo con i ricambi originali.
il massimo è il maggiolino volkswagen che romba felice in milioni di unità per tutto il messico, e si può riparare con filo di ferro, lamiera generica e occasionali preghiere alla vergine di guadalupe. 

ecco.
quando incomincia ad essere necessario il cacciavite torx, ci stiamo mettendo su una brutta strada. 
la vespa offre infatti la sua verginità pistonica con grande generosità al meccanico, anche dilettante o principiante.


però, ancora, magari c'è qualcuno che si rifiuta di montare sullo scooter.
per queste persone, potremmo avere tre lambro innocenti,
con autista in livrea.
http://www.lambro.plus.com/

eh?
mica male no?



3. si arriva al museo.

la prima idea era quella di avere una parete a strapiombo e tutto il museo era appeso, come se fosse una spedizione di freeclimbers in cima al cerro torre o nella yosemite valley.

http://www.supertopo.com/rockclimbing/progallery.html?gid=2


di nuovo, sarebbe stato bellissimo.
i free climber vivono in un mondo di "simple tech" allo stato puro.
sistemi semplici, essenziali, funzionali. 

prendiamo ad esempio un piccolo ma indispensabile oggettino, che (non a caso) si chiama "friend": due ganasce imperniate su una molla all'estremità di una barretta di metallo. 
su una parete liscia liscia, se trovo una fessura che la percorre, afferro un friend, tiro una molla, le ganasce si chiudono e infilo il friend nella fessura. poi rilascio la molla e le ganasce si incastrano nella fessura. a prova di bomba. 
sono salvo.

http://www.bdel.com/rockclimbing/protection.html


però poi, a fare un museo appeso nello strapiombo ci sarebbero stati dei problemi per i visitatori con la sedia a rotelle, e allora (molto a malincuore), abbiamo dovuto scartare questa ipotesi.
: (




sempre per motivi di sicurezza e accessibilità, abbiamo rinunciato a allestire l'intero museo in giardino, costruendo piccole casette e spazi espositivi appoggiati sui rami degli alberi. 
certo è che sarebbe stata una bella idea, in termini di budget: avremmo risparmiato sulla struttura portante, e realizzato un museo di incomparabile bellezza e fascino.



se questa immagine vi è piaciuta, dovete assolutamente procurarvi questo libro:
treehouses - the art and craft of living out on a limb, scritto da peter nelson nel 1994.

http://www.amazon.com/exec/obidos/asin/0395629497

o al limite, anche andare a farvi un giro su questi curiosi website:

http://www.treehouses.com/
http://www.treehousesofhawaii.com/

(il primo è molto tecnico/pratico, il secondo contiene delle immagini con idee bellissime...)


altra ipotesi fascinosa sarebbe stata quella di coprire un'intera parte di città con una bolla fulleriana.
http://www.archnewsnow.com/features/Feature8.htm

l'idea originaria era per manhattan, una struttura semplicissima, che garantirebbe un ambiente perfetto per qualsiasi luogo.
ma forse, per quanto semplice, costerebbe ancora troppo.

scartata anche questa.

allora abbiamo anche pensato a un sistema prefabbricato.
tipo un tempio greco.

perché vi stupite?
il tempio greco è uno dei sistemi più ingegnosi e semplici che ci siano.
costruito tutto a partire da un semplice concetto: la prefabbricazione.


una volta che tu hai questa religione che se poi zeus sta in cima alla montagna devi costruire il tempio in cima a quella montagna, non è per niente facile.
magari in cima a quella montagna non ci sono pietre. o se ci sono non sono quelle giuste.
un disastro.

perché non arriva uno che si inventa questa cosa che i templi potrebbero essere prefabbricati. 
che tu lo disegni, fai un secondo disegno con le varie parti, pensi ai giunti, a come stoccare i pezzi sulle navi o sul carretto tirato dal bue...
insomma una soluzione molto semplice, a un problema apparentemente complesso.

http://www.ancientgreece.com/art/art.htm

in termini di simple tech sarebbe perfetto.
però, fare un museo come se fosse il partenone, non è di nuovo soluzione per nulla semplice.
bisognerebbe contattare leon krier, probabilmente costerebbe un sacco di soldi, insomma...


diciamo che per ora, il contenitore esterno è un problema che non siamo tanto riusciti a risolvere.
ma ci stiamo lavorando e ragionando.


al momento, ci piace molto l'idea di utilizzare i container da trasporto industriale.
avete presente quando si passa sull'autostrada attraverso genova, quando a un certo punto c'è un'intera collina fatta di container rossi. 
oppure, anche il riciclo delle cisterne del cherosene.
c'è chi l'ha già fatto.

se questa idea dovesse piacere, si potrebbero contattare:
http://www.jonespartners.com/lesshigh/home/main.html

(vedere questo website è molto utile perché vi fa capire che cosa tutto quello che non è 'simpletech' applicato al mondo web...)

che però forse non sono così semplici come desidereremmo.
diciamo che probabilmente sarebbe ancora meglio contattare i lot-ek a new york.

http://www.lot-ek.com/


chiedergli se ci fanno un museuccio con lo stesso principio utilizzato per la restrutturazione dei morton lofts, a new york, o l'installazione chiamata tv-tank, realizzata nel 1998 in una galleria di soho.

un edificio tutto di container.
semplice, economico, forse un po' caldo d'estate (ma dalla vita non si può avere tutto...).

anche qui,
una domanda semplice semplice.
ma quanto sono bravi i lo-tek?
caspita, un nuovo inchino...


se non siamo ancora certi che la soluzione d'insieme migliore sia quella di utilizzare container assortiti, sappiamo però che l'illuminazione sarebbe tutta organizzata utilizzando le lampade di isamu noguchi.
http://www.serial-design.com/designers/noguchi.htm

mica si poteva fare un museo del simple tech dimenticandosi del giappone!
con le lampade di carta di noguchi riusciamo ad avere una illuminazione calda, prendiamo uno dei giapponesi più straordinari di tutto il xx secolo e siamo tutti contenti.

: )



(1. continua)

> UN PROGETTO PER IL MUSEO DEL "SIMPLE TECH" - 2
> SIMPLE TECH

 

la sezione Simple tech
for a complex world
è curata da
Walter Aprile
e
Stefano Mirti


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