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dears,
che piacere leggere l'articolo
di de fusco sul rapporto tra internet e architettura.
un
intero articolo che capisci di che cosa si sta parlando, che sei in
grado di seguire il pensiero di chi scrive, un percorso lineare, argomentato,
in cui i riferimenti sono appropriati e non messi a caso...
(grazie maestro)
questo
fatto aveva sempre colpito la nostra attenzione/fantasia:
appena uno inizia a scrivere di newmedia, internet vs architettura,
hightech applicato allo spazio,
tutto diventa fumoso e incomprensibile.
nella nostra ingenuita' pensavamo che questa difficolta' di comprensione
fosse intrinseca all'esercizio (motivo per cui non ci eravamo mai
azzardati a scrivere nulla sull'argomento).
pero',
invece,
de fusco ci fa capire che cosi' non e'.
dal
nostro punto di vista, bisognerebbe dargli un'onorificenza solo per
questo.
senza contare che un articolo come quello ci fa venire altri centomila
pensieri.
che e' un regalo senza pari...
:
)
dopodiche',
per quanto noi si possa amare questo modo di scrivere, ci sono alcuni
passaggi che non ci convincono completamente.
diciamo che qui e la' abbiamo qualche dubbio.
pero', di fronte a una tale chiarezza di pensiero, poter avvitare
i nostri pensieri sul de fusco thinking e' gia' un bell'onore.
cio'
detto,
ten-nine-eight-seven-six-five-four-ignition... stefi e walter si lanciano
nello spazio della critica fine!
innanzitutto,
ci ha fatto molta impressione questo attacco del suo articolo in cui
si fa riferimento alla tecnoidelogia imperante', nonche' agli
equivoci ad essa connessi...
scrive infatti de fusco:
Tutto
ciò riconosciuto, la tecnoideologia oggi imperante si presta
ad alcuni equivoci che vanno chiariti.
questo
sembra anche a noi.
questa tecnoideologia imperante non solo si presta ad alcuni equivoci,
ci sembra che si possa dire che essa stessa si fondi su una serie
articolata di equivoci e ambiguita'.
senza equivoci e ambiguita', non avremmo nessuna tecnoidelogia imperante.
non siamo pero' del tutto sicuri che l'operazione di chiarimento sia
la piu' utile e/o appropriata.
si ha in realta' l'impressione che le discipline si contaminino e
comunichino mediante equivoci.
per esempio, l'informatica mutua determinati concetti e notazioni
dalla linguistica di chomsky senza capirne proprio tutto e
a fondo.
li assorbe e li fa suoi, in un modo che fa inorridire il linguista
serio... ma li trasforma al contempo in strumenti estremamente utili
per parlare di linguaggi di programmazione, e non piu' di linguaggi
umani.
(stessa storia per l'architettura.
peter eisenman legge chomsky, ne capisce circa un decimo, e su quello
imbastisce un percorso di non poco interesse che ci permette di riscoprire
terragni sotto una luce diversa, ecc.ecc.ecc.)
forse,
accettare l'ambiguita' e su quella avvitare il nostro lavoro (concettuale
e progettuale) e' un'operazione sensata e intelligente.
un pensatore di prima classe quale marshal berman (ne "l'esperienza
della modernita'") ci rammenta che proprio questo approccio e'
forse l'unico possibile.
lavorare sulle parti piu' oscure, sulle contraddizioni, sull'ironia...
ai fini della comprensione del mondo che ci sta attorno, e' molto
piu' significativo utilizzare gli strumenti del surrealismo/dada/espressionismo,
rispetto al sogno moderno standard (diciamo per semplicita' la trimurti
gropius/mies/corbu).
equivoci e visioni parziali sono continue, e forse una delle discipline
piu' vittime e' proprio l'informatica, oggi vista di frequente come
"...Internet, qui scelta come emblema dell'intero corpus disciplinare"
ma che l'informatica sia molto di piu' di internet e' una cosa
che non si ricorda abbastanza.
un'altra
esempio interessante e' questa; gli informatici alla moda oggi parlano
moltissimo di pattern.
http://c2.com/cgi/wiki?DesignPatterns
e
sono proprio i pattern di christopher alexander.
http://www.math.utsa.edu/sphere/salingar/Chris.text.html
forse
senza capire a fondo di cosa si tratti, e certamente senza sapere
nulla della critica che l'architettura ha gia' fatto alla progettazione
mediante pattern eppure li usiamo e i pattern sono, sembra
di vedere, utili all'informatica.
il
lavoro sull'ambiguita', sull'errore, su comunicazioni che arrivano
distorte, disturbate, devastate, e' incredibilmente interessante.
esempio
che gli architetti piu' o meno conoscono e capiscono.
se noi andiamo a vedere una serie di progetti abbastanza significativi
degli archigram
(cosi' come del superstudio
o archizoom),
possiamo accorgerci che anche loro si rifacevano a una "tecnoidelogia"
(anch'essa, all'epoca, discretamente imperante), lavorando e insistendo
proprio sulle ambiguita' e gli equivoci.
appena poi arrivano renzo piano e richard rogers che fanno chiarezza,
il tutto si modifica in maniera sostanziale.
e' vero.
alla fine il beaubourg e' molto piu' chiaro della no-stop
city (evviva gli archizoom e il superstudio...)
pero', ancora,
forse preferivamo le ambiguita' precedenti.
(o per lo meno le ambiguita' precedenti avevano un loro valore implicito
abbastanza notevole).
domanda
numero uno.
puo' essere che il lavoro sulle ambiguita' ed equivoci abbia un suo
valore autonomo?
in
effetti, se noi guardiamo alla storia dell'architettura del ventesimo
secolo ritroviamo una serie di altri esempi molto illustri al riguardo.
le corbusier che teorizza la casa costruita con la tecnologia dell'aeroplano
(utilizzando in verita' la tecnologia della bicicletta, secondo una
simpatica definizione degli smithson), per non parlare di alcuni passaggi
fondamentali legati alla stagione espressionista (mendelsohn,
poelzig,
finsterlin,
per non parlare di quel genio che era paul scheerbart
con le sue architetture di cristallo).
ecc.ecc.ecc.
per
tutto il ventesimo secolo, gli architetti si sono sempre riferiti
a tecnoideologie che di volta in volta sembravano imperanti.
in genere la sequenza era abbastanza data:
1.
l'architetto capisce che gli ingegneri, i tecnologi, i fisici teorici,
i filosofi stanno mettendo a punto nuovi congegni, nuovi strumenti,
nuovi linguaggi.
2. l'architetto non capisce granche' del tutto, pero' ancora questo
tutto gli sembra molto affascinante.
3. l'architetto inizia a produrre teorie, progetti, edifici, utilizzando
queste tecnoidelogie. tutto questo in maniera che e' quasi sempre
impropria.
con questo procedere, molto limitato e sgangherato, siamo arrivati
ad avere una serie di gioiellini molto affascinanti e di grande significato.
lista
di tre gingilli che a noi sembrano di grande pregio:
this
is tomorrow project
di alison e peter smithson
torre
di mendelshon
casa elettrica
di figini e pollini
gli
architetti sono (o sono diventati) dei neofili sfrenati, con la passione
per procurarsi dall'esterno della disciplina ogni genere di concetto,
forma e idea nuovo. e' certo che questa operazione di importazione
si puo' fare con diversi livelli di qualita'; da un lato c'e' il tecnofeticismo
della facciata coperta di led (fatta sostanzialmente "perche'
adesso si puo'") e all'altro c'e' la tecnologia espressiva alla
jean
nouvel
nel parlare di tecnofeticismo vorremmo usare un senso tecnico del
termine "feticismo" l'oggetto tecnologico, come la
statuina di legno yoruba, diventa portatrice di una serie di virtu'
e poteri che le vengono da un altro mondo e da esseri invisibili;
cosi' l'uso insistito ed ostentato di materiale elettronico e informatico
tenta di trasferire all'architettura alcune delle qualita' dichiarate
dell'elettronica e dell'informatica.
la velocita', la leggerezza, la sottigliezza, la personalizzazione,
il sogno del nuovo millennio.
per
dire: parlando di frattali in relazione al mio progetto, spero che
la qualita' di novita' e contemporaneita' e fascino dei frattali si
trasferiscano anche sulla fabbrica che ho per le mani (anche se potrebbe
essere che io abbia costruito il solito scatolone).
perche'
mai arrivati all'eta' di internet ci si aspetta che gli architetti
(o chiunque altro) siano diventati piu' accorti, intelligenti, profondi?
a nostro avviso, natalini e il resto del superstudio avevano una conoscenza
e comprensione dei testi di debord
non proprio completa.
diciamo una masticatura.
il classico orale alla maturita' preparato la notte prima leggendo
tre bignami in venti minuti.
pero', ancora, i progetti del superstudio sono stratosferici (che
poi tafuri non li capisse era un problema suo, ma al solito, nessuno
e' perfetto).
stesso
dicasi di quanto capivano gli archigram di buckminster fuller
http://www.bfi.org
(nonche' di fisica applicata + scienza delle costruzioni + ingegneria
meccanica + ecc.ecc.ecc)
pero', di nuovo,
che cosa vuole dire?
e'
ovvio che peter cook e il resto della banda cercassaro di convincerci
che avremmo tutti vissuto in una walking city o in altre strutture
discretamente curiose.
pero', suvvia, era evidentemente una narrazione, un racconto...
la questione non e' internet o le tecnologie digitali.
la questione e' piu' semplice.
domanda: imputato pensa lei che la frase "form follows fiction"
ha un senso?
(se
l'imputato risponde si, allora procede nella lettura. se l'imputato
risponde no, da qui in poi e' plausibile che le nostre strade si separino).
la scienza ha il grosso vantaggio di riconoscere chiaramente cosa
e' la fantascienza... la fantarchitettura non si definisce scopertamente
come genere, ma siamo convinti che esista. la fantascienza, o almeno
certa fantascienza, consente di realizzare una immensa quantita' di
esperimenti mentali. la fantascienza ci fa sognare, o ci fa avere
degli incubi; la sua domanda fondamentale e' cosa succedera' quando...
che e' una specializzazione della domanda centrale della letteratura
fantastica cosa succederebbe se...
poi
naturalmente dalla fantascienza non dobbiamo sperare di avere risposte
direttamente applicabili.
siamo quasi sicuri che marte non somigliera' molto alle cronache marziane
di bradbury; pero' le cronache marziane ci ricordano il valore della
poesia, della tristezza e della follia nel pensare al futuro.
non si tratta di una predizione ma un dito che indica la forma di
una nuvola al tramonto.
(e vi sembra poco?)
per dire,
quando de fusco si rifa' a maldonado:
Secondo
Maldonado, "la natura dell'informazione è rimasta un problema
teorico relativamente aperto. Non c'è da stupirsi dunque che
in una società come l'attuale, in cui l'informazione sta assumendo
un ruolo fondamentale, alcuni tendano a vedere nel processo di informatizzazione
in corso una sorta di globale dematerializzazione e persino di spiritualizzazione
del mondo in cui viviamo" [T. Maldonado, Reale e virtuale,
Feltrinelli, Milano 1992, p. 13].
va
bene, era 1992, ovvero undici anni fa (nel mondo digitale si tratta
dunque di preistoria), pero' possiamo dire che in termini di dematerializzazione
e spiritualizzazione non si siano fatti grandi passi avanti.
per
quel che riguarda la definizione di informazione, gli informatici
si butterebbero sul buon vecchio Shannon
che definisce (a un dipresso) l'informazione come una misura dell'incertezza.
se ho una lampada che rimane eternamente accesa (o spenta), essa non
trasmette nessuna informazione.
se questa lampada ad ogni secondo puo' accendersi o spegnersi, essa
trasmette informazione.
quanta informazione?
dipende dallo schema delle accensioni e degli spegnimenti.
se si vuole andare in profondita' su questo schema, bisogna mettersi
a studiare la appassionante teoria
dell'informazione.
che
poi l'arte contemporanea sull'informazione riesce a presentare un
sacco di problemi interessanti. per esempio, la "lampada annuale"
di boetti
si accende per undici secondi all'anno in un momento sconosciuto.
nel momento in cui questa lampada si accende, quanta informazione
trasmette? e se non si dovesse accendere mai?
cio' detto,
noi non sappiamo cosa sia l'informazione secondo maldonado, ma e'
chiaro che si deve trattare di qualche altra cosa.
oppure:
Invece
Gerhard Schmitt scrive: "poiché sono sempre più
sottili i confini che dividono realtà e astrazione, e la tendenza
dell'architettura è quella di allontanarsi dall'arte di costruire
edifici per rivolgersi all'arte di creare strutture virtuali, la realtà
virtuale diventa il mezzo perfetto per simulare la nuova architettura.
Tutto ciò alla fine potrà addirittura avere come risultato
la smaterializzazione dell'architettura, che diventerà una
sorta di campo di applicazione naturale della realtà virtuale"
[G. Schmitt, Information Architecture, Testo&Immagine,
Torino 1998, pp. 29-30].
beh,
questo e' abbastanza il punto.
non c'era bisogno di internet per arrivare alla smaterializzazione
dell'architettura.
uno come piranesi era gia' abbastanza avanti sul rapporto tra realta'
e astrazione, in questo curioso esercizio di creazione di strutture
virtuali.
pensando
a lui, ci sembra che si possa dire che a volte la realta' virtuale
sia un mezzo abbastanza perfetto per simulare nuove architetture,
non fosse che perche' costa meno che fare modelli di balsa.
e
se uno vuole andare all'indietro, tutto questo sa molto di neoplatonismo,
con la realta' virtuale a fungere da mondo delle idee dove i cubi
da un metro di lato sono veramente cubi i cui lati sono 1000 millimetri
piu' o meno lo zero per cento. E dove le membrane sono fatte di materiali
eternamente elastici e trasparenti.
in
verita', ritornando allo schmitt sopra menzionato, siamo sicuri che
in realta' ci stesse raccontando una barzelletta.
non puo' essere che realmente ci crede,
era uno scherzo e ci siamo cascati...
per
leggere queste stupidaggini, allora preferiamo la fantascienza.
in fondo la parola "ciberspazio" viene coniata nel 1982
da uno scrittore, e diventa popolare nel 1984 grazie ad un romanzo
(neuromante, william gibson)
:
)
di nuovo.
questione centrale.
qui e' importante capirsi bene senno' diventa tutto un disastro.
in
questo momento in italia ci sono due tipi di architetti.
quelli che lavorano sulla architettura reale, progetti, costruzioni,
cantiere.
e quelli che lavorano sulla fanta-architettura.
rendering, webpages, pixel, internet, ecc.ecc.
a
nostro avviso si tratta di due strade che non hanno particolare futuro
e/o significato.
il gruppo (a) di architetti, per quanto faccia cose belle e interessanti,
e' semplicemente dieci anni indietro ai colleghi spagnoli.
che facevano (e continuano a fare) queste cose con qualita' molto
maggiore.
(se non ci credete, vi comprate il numero doppio del croquis sull'architettura
spagnola attuale).
il
gruppo (b) di architetti, sostanzialmente si fa le seghe.
e' possibile ipotizzare un sistema nuovo,
dove l'energia stratosferica del gruppo b, viene riportata nei confini
del reale?
lo
sappiamo che qualsiasi architetto di tipo (b) ci dira' che lui vuole
fare esattamente questo.
ma sappiamo anche, che in verita' ci sta raccontando (si sta raccontando)
una colossale bugia.
sul lungo periodo, il castello di bugie casca.
e'
evidente che il futuro passera' in una qualche maniera dall'incrocio
dell'architettura con i nuovi media, le tecnologie innovative e cosi'
via.
ma questo futuro non lo si affronta facendo una webpage in flash con
delle robe blobbiche che ruotano su se stesse.
piu'
di tutto se il problema cessa di essere quello dell'architettura ma
diventa quello di stabilire chi fa il blob piu' simpatico.
il
futuro lo si affronta misurandosi con la realta'.
e'
fondamentale partire dalle visioni, dalla ricerca sperimentale assoluta,
dal lavoro sul linguaggio.
dopodiche', e' importante portare tutta la tensione di cui sopra (o
almeno, parte di essa) nel mondo reale.
perche' in italia nessuno capisce questa cosa che a noi sembra discretamente
ragionevole e plausibile?
perche' gli architetti del gruppo (a) disprezzano gli architetti del
gruppo (b) (e viceversa), senza capire che c'e' bisogno di un'azione
comune, una tenaglia che deve avvalersi delle due braccia in maniera
sincronica?
(fine
delle nostre stupidaggini sull'architettura italiana contemporanea)
se abbiamo capito bene,
de fusco contesta questa idea che prima o poi vivremo in un mondo
completamente diverso grazie alle nuove tecnologie digitali.
sin qui siamo d'accordo.
lo pensiamo anche noi.
il mondo fisico intorno a noi non si modifichera' granche'.
quello che invece potrebbe mutare in maniera sostanziale va forse
inteso in termini di percezioni.
per
intenderci.
george kubler nel suo testo La forma del tempo (se non l'avete
letto chiudete la connessione, spegnete il computer e andate subito
in libreria a comprarlo) pone questa distinzione tra oggetti che cambiano
direttamente il mondo (oggetti d'uso: xy inventa la forchetta e effettivamente,
da li in poi un tot di cose cambiano nella vita di un numero colossale
di persone) e oggetti che cambiano il mondo in maniera indiretta (oggetti
che in genere vengono considerati opere d'arte. ovvero dal valore
d'uso molto limitato, ma che agiscono sulle nostre percezioni).
adesso vi diciamo tre nomi.
giotto, piero della francesca, duchamp.
(e
nel contempo vi facciamo un regalino delizioso dandovi questo link
al website dei nostri sogni http://artchive.com/ftp_site.htm)
ecco.
i loro lavori cambiano il mondo.
non in maniera diretta, ma lavorando sulle percezioni delle persone
che avvicinano le loro opere.
(ovviamente la lista potrebbe essere sterminata: joyce, boccaccio,
alighiero boetti e altri cento).
la
nostra idea e' che la rivoluzione digitale cambiera' (sta cambiando)
il mondo.
ma non in maniera diretta, perche' poi mi metto un microchip nell'orecchio
e sento meglio.
no.
la rivoluzione digitale e' all'opera per cambiare le nostre percezioni
del mondo.
quali sono i limiti, i confini, le relazioni possibili.
il
cambiamento e' gia' avvenuto.
noi abbiamo lunghe, intense, relazioni epistolari con persone che
vediamo veramente di rado.
stiamo ritornando simili a manzoni, con la differenza che i suoi corrispondenti
erano in toscana e i nostri magari sono in congo (il viaggio dura
comunque un giorno...)
facendo un esempio diverso,
immaginiamo marco polo.
se lui va in cina non e' che modifica venezia o la cina in maniera
diretta.
pero' mette le basi per delle trasformazioni sostanziali successive.
si
capisce che cosa e' questa cina, si ipotizzano possibili commerci,
scambi, arrivano nuovi materiali, nuove idee, grande energia viene
messa in circolo.
d'altro
canto, se si guarda la storia della cina negli ultimi due secoli si
vede quanto sia stata influenzata dal commercio e dal contatto con
gli altri ...guerre dell'oppio, ribellione dei boxer, ribellione dei
t'ai ping, tutti fenomeni che si possono collegare a marco polo, matteo
ricci o figuri affini.
non c'e' nemmeno da dire che chi avesse voluto prevedere i dettagli
del cambiamento non ci sarebbe riuscito...
questa
supposta "rivoluzione digitale" va (a nostro modesto avviso)
affrontata in questa maniera.
e' un campo di possibilita', di aperture, di scoperte.
e'
ovvio che si tratta della questione dell'architettura intesa come
informazione, ma non in termini di bit, quanto piuttosto di aperture
mentali, finestre verso mondi possibili.
insomma,
il difficile rapporto tra gli architetti che costruiscono e quelli
che pensano, teorizzano, disegnano e' vecchio come il mondo.
sembrerebbe ragionevole che anche in questo momento ci siano persone
che portano avanti le loro ricerche in maniera differenziata.
qualcuno
scrive, qualcuno costruisce, si fanno esperimenti, esplorazioni, si
sbaglia tanto, si impara dagli errori, e cosi' via.
qui arrivati vi starete chiedendo che cosa sono le immagini che abbiamo
scelto per accompagnare il nostro articolo...
si tratta delle 'design metaphors', libriccino meraviglioso uscito
qualche anno fa, curato da barbara radice, con una serie di immagini
(e testi) di agghiacciante bellezza fatti da ettore sottsass jr.
:)
(1. continua
>)
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[29may2003]
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