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Sopralluoghi

Seduti in riva al mare... Lì dove lo Ionio e il Tirreno si baciano tormentati e voluttuosi

Francesca Oddo

"Lo stretto necessario" è il titolo del numero 244 di Parametro curato da Domenico Cogliandro. Il fascicolo è dedicato a quel frammento di territorio che divide e unisce Sicilia e Calabria, con l'obiettivo di approfondire i temi relativi alla sua identità architettonica, politica, culturale. In occasione della sua presentazione, avvenuta lo scorso 18 giugno nell'Aula Magna della Facoltà di Architettura di Reggio Calabria, sono emerse con chiarezza le molte incongruenze di un progetto che appare sempre più di cartapesta. Francesca Oddo le ha raccolte per ARCH'IT.




Consolo V., Rubino N., Fra Contemplazione e Paradiso. Suggestioni dello Stretto, Sicania, Messina, 1988 (Santuario di Montalto. Mese di luglio, luce dell'alba).

Firenze-Reggio Calabria. 999 Km e una notte insonne per assistere alla presentazione dell'ultimo numero monografico di Parametro, Lo stretto necessario. Ne è valsa la pena. Domenico Cogliandro, curatore del numero, si conferma brillante narratore e zelante ricercatore. È Glauco Gresleri, vivace e illuminato direttore di Parametro, che introduce la lecture, ricordando che la rivista, nata nel 1971, per vocazione è sempre stata un luogo ideale di dibattito, territorio di dialettica, di analisi e di proposte. Dice Gresleri: "Parametro non ha mai voluto fornire soluzioni, né abbagliare con una grafica patinata". Logica, quest'ultima, che sempre più spesso caratterizza certa produzione editoriale di settore.

[21jul2003]
Anche nel caso de Lo stretto necessario non si è voluta fornire una 'pillola di verità', ma piuttosto raccontare l'identità, le tradizioni e le contraddizioni del contesto destinato, forse, ad ospitare (di buon grado o suo malgrado, riflessione che affidiamo al buon senso del lettore) il ponte più ardito mai realizzato prima d'ora nel mondo. Opera immensa, fuori scala, che andrebbe a investire un tessuto territoriale misurato, assolutamente e fortunatamente estraneo alle logiche funzionali e all'impatto monumentale dell'organismo metropolitano.
Prima lampante contraddizione, se mi è lecito esprimere il mio punto di vista, oltre che narrare i fatti dell'incontro.
Non a caso Gresleri ricorda Le Corbusier quando invitava a concepire progetti piccoli. "La grande dimensione nega l'uomo" commenta il direttore di Parametro.

Qualcuno dal pubblico interviene sostenendo che forse un progettista acuto come Calatrava riterrebbe poco sensato cimentarsi in un'opera così titanica, non solo per la sua mole fisica ma anche e soprattutto per la quantità di disagi ai quali darebbe luogo (da quelli ambientali a quelli tecnici, di impatto sulla quotidianità e sulla vita a lunga scadenza di chi abita quelle zone da sempre).
Ma ecco arriva la parola dell'architetto-poeta, Domenico Cogliandro. Perché questa definizione? L'architetto calabrese conosce perfettamente le incongruenze, chiamiamole così, del progetto per il Ponte sullo Stretto. Potrebbe continuare a sottolinearle, ma lo fanno già in tanti, e lui ha una carta vincente: ha sensibilità da vendere. Ed è questa sensibilità che lo conduce oltre l'orizzonte dell'evidenza, a spiegare le sue ragioni attraverso i territori del sentimento. "Lo stretto necessario è un numero poetico, e la poesia di Cogliandro è sufficiente da sola a giustificarlo", dirà Gresleri.



Consolo V., Vedute dello Stretto di Messina, Sellerio, Palermo, 1993. Stretto di Messina con Scilla e Cariddi, 1686, ignoto fiammingo, acquarello su carta.

L'architetto di Cannitello, fra i più attivi protagonisti del dibattito intorno alla questione-ponte, racconta il suo ultimo rocambolesco percorso alla volta di una più che legittima curiosità: di chi è il progetto per il ponte? Un sito sullo Stretto di Messina ne dichiara la paternità: si tratta del dottor Brown. Chi è questo signore? Cogliandro indaga, con precisione, con efficacia, con cura, con la determinazione filologica di chi vuole capire qualcosa fino in fondo.
Non sarò io a svelarvi l'identità del dottor Brown. Lo farà il narratore in una storia in cinque puntate delle quali la prima è già stata pubblicata da ARCH'IT.
Quello che posso anticiparvi è che rimarrete senza parole, di stucco, tra lo stupefatto e lo sconcertato. A bocca aperta, sempre più persuasi della discutibilità di questa opera, del bluff che viene giocato a coloro i quali credono, magari in buona fede, che il ponte possa essere risolutivo dell'atavica questione meridionale, del carattere di imposizione di questo gigante fra mare e cielo, i quali, attenzione, non costituiscono un indistinto territorio a metà, ma un tessuto che narra storie, miti, vite reali.



Francesca Oddo. Cariddi guarda Scilla.

Il racconto e la ricerca di Cogliandro sono la metafora, tra il ludico e l'amaro, dell'atteggiamento moderato e tuttavia indicativo di una precisa collocazione di pensiero, condivisibile o meno, ancorata, oltre che al sentimento, a precise ragioni.
Nel dibattito interviene anche il preside della facoltà, Massimo Giovannini, che esordisce con un "no al ponte che annulla il mito che si è costruito nei secoli in questo territorio. Succederà qualcosa di drammatico". E poi spiega. E lo sottolineo, spiega. Perché, lo vedremo, spiegare e spiegarsi non è poi così scontato.
Giovannini sollecita la riflessione sul carattere di sventramento di due aree densamente popolate, Capo Peloro e Cannitello, sull'impatto ambientale e psicologico che esso procurerà a carico delle popolazioni locali. Continua ricordando che lo Stretto è da sempre stato un crocevia di etnie, di flussi migratori, di sconvolgimenti epocali, e che costituisce una realtà territoriale con una ben precisa identità, e non un "peduncolo di congiunzione fra il continente e l'isola".


Salvatore Centorrino. Lo Stretto di Messina fra Scilla e Cariddi.

Uno degli autori del numero mostra inoltre le proprie perplessità circa l'eventualità, in Sicilia molto concreta, che quest'opera rimanga incompiuta. Qualcuno in aula non è d'accordo. Ben venga una posizione diversa, se può essere foriera, come è auspicabile attendersi, di un confronto dialettico, di uno scambio costruttivo di opinioni.
Interviene Marcello Sestito osservando che "persino le utopie sono realizzate per frammenti". Attenzione, mi sento di poter dire. Perché, per esempio, le utopie rinascimentali, i frammenti urbani pientini sono di una eleganza, di un garbo e di una misura che da soli creano la città, seppur frammenti. Ma qui di garbato, di misurato, di gentile non c'è nulla. C'è solo un progetto urlato, una creazione obesa di ovvie contraddizioni che schiaccia le logiche dell'equilibrio.
Torna allora l'insegnamento di Corbu: "fate progetti piccoli", e forse si potrebbe aggiungere, non li fate se sono addirittura fuori scala, inutili e fagocitatori di identità.



Salvatore Centorrino. Laghi di Ganzirri e Capo Faro.

Ma non è finita. Le posizioni di Sestito si concretizzano in due frasi che sanno di motto dittatoriale e autoreferenziale: "il ponte vuole se stesso" e "io non mi frega niente dell'impatto ambientale". Sarebbe stato naturale attendersi una spiegazione del concetto espresso, che invece non è arrivata. Forse, sia per il relatore che per la platea, queste affermazioni all'insegna dell'ipse dixit si commentano da sole, ma in maniera diversa per le due parti.
Proprio per questo motivo non le commenterò. Ma sento l'urgenza di sollecitare il lettore ad alcune riflessioni.

Il ponte sarà antisismico, Messina e Reggio no. Lo sapete che se si verificasse un terremoto catastrofico, non improbabile nella zona, anche se si dovesse salvare il ponte, le due cittadine sarebbero rase al suolo? E che nella zona solo un edificio su quattro è costruito secondo le norme antisismiche? E che al centro dello Stretto di Messina si colloca un'enorme faglia? Riflettiamo... Lo sapete che l'occupazione legata alla navigazione con i traghetti è superiore a quella che si registrerebbe con la presenza del ponte? Riflettiamo... Il cantiere del ponte prevede una quantità di detriti pari a circa 8000 metri cubi. Lo sapete che il territorio messinese è privo di grosse discariche? Dove andrebbero deposte tante macerie? Riflettiamo... Lo sapete che Pierluigi Vigna nel novembre del 2002 ha dimostrato l'interesse della mafia e della 'ndrangheta nell'affare ponte? Riflettiamo...


Salvatore Centorrino. Capo Peloro.

Non mancano le considerazioni di tipo economico. Lo sapete che per il solo ponte bisogna considerare almeno 6 miliardi di euro e che invece per il perfezionamento del servizio di navigazione esistente si spenderebbero appena 560 milioni di euro? Riflettiamo... E che in caso di gestione del ponte in perdita lo Stato italiano garantisce il rimborso dei capitali privati alla fine della concessione? Quanto ci sarebbe da riflettere... E si sono ritenute implicite, ma non meno importanti, le motivazioni di tipo ambientale.

Mi sembra che troppe e gravi siano le incongruenze di questo progetto di cartapesta. Mi sento triste e amareggiata al pensiero... Fortunatamente c'è qualcuno che reagisce con grinta a queste stesse sensazioni. E allora ricordo le storie di Cogliandro, magari mentre passeggio per lo splendido lungomare di Reggio o a bordo di feluca consumata dal mare in cerca di pesce spada, commuovendomi di fronte ad uno Stretto più che necessario...
I pensieri si accavallano, si intrecciano... E mi viene in mente che il non luogo descritto da Thomas More in Utopia è una città nella quale le abitazioni sono in pietra, basse e circondate da vigne, frutti e fiori. Scrive More a proposito degli abitanti: "(...) la loro passione è tenuta accesa non solo dal loro proprio piacere, ma anche dalle gare fra quartiere e quartiere a chi meglio coltiva il proprio giardino". E allora spero. Confido nella speranza che uno Stretto libero dal cemento prepotente non rimanga un'utopia. Ma che continui a respirare attraverso le sue spugne, le sue stelle marine, la sua fauna. Vigne, frutti, fiori...

Francesca Oddo
laoddo@tiscali.it

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