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Architetture

ETTORE DONADONI (CAPOGRUPPO). Infinite declinazioni



Si è recentemente concluso il concorso internazionale di idee "Riprogettare la città moderna" indetto dall'Ater della Provincia di Trieste e la Facoltà di architettura dell'Università degli studi di Trieste -con il Comune e la Provincia di Trieste, la DARC del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, l'Ordine degli architetti della Provincia di Trieste– per la riqualificazione dei quartieri Borgo San Sergio e Rozzol Melara. ARCH'IT presenta i progetti vincitori con dettaglio sui primi classificati: 'infinite declinazioni', il progetto del gruppo diretto da Ettore Donadoni (con una nota di Francesco Infussi) e 'Linea attiva', quello del gruppo di Massimo Ferrari (commentato da Nicolò Privileggio) vincitori ex aequo il concorso indetto per Borgo San Sergio e riservato agli studenti delle Facoltà di architettura e ingegneria; 'carsicittà', il progetto di ma0 vincitore del concorso per Rozzol Melara. La pubblicazione è introdotta da Paola di Biagi con una presentazione dell'iniziativa nella sua più articolata collocazione, e si conclude con una ricognizione sulle due aree compiuta da Elena Marchigiani e Alessandra Marin, inclusiva di una intervista a Manuel de Las Casas.




> PROGETTI PREMIATI STRATEGIE DI RIQUALIFICAZIONE. Il progetto nasce dall'osservazione delle modalità con cui gli spazi aperti e i luoghi di aggregazione esistenti sono concretamente vissuti. Tre sono in particolare le strategie puntuali e diffuse, progettuali e gestionali, delineate per la riqualificazione del quartiere: l'affidamento di una parte del suolo pubblico agli abitanti per la realizzazione di orti e frutteti e la cura dei giardini collettivi; il disegno tra le residenze esistenti di nuovi edifici destinati a ospitare minialloggi, torri-parcheggio e attrezzature; la creazione di una rete di percorsi pedonali connotati da differenti materiali e sistemi di illuminazione.
(dalla nota redatta da Elena Marchigiani e Alessandra Marin, di accompagnamento alle sintesi dei progetti premiati)



[12apr2003]
Progetto 1° classificato ex aequo al concorso "Riprogettare la città moderna", quartiere Borgo San Sergio

gruppo progettuale:
Ettore Donadoni (capogruppo, Casirate d'Adda, BG), Alessandra Albanese, Manuel Calvi

collaboratore:
Nicola Ratti

Infinite possibilità. Copertina.


Potenzialità.

Gli spazi affidati.


Spazi affidati.


Combinazioni.


Strategie.

Punti.


Torre parcheggio.


Primitive.


I nuovi edifici.


La trama dei percorsi.





Connotazioni.
FENOMENOLOGIA DEL "PROGETTO MITE"

1. Le questioni che il concorso triestino per il quartiere Borgo San Sergio ha proposto all'attenzione dei giovani progettisti non sono nuove. Come è noto, fin dagli anni Ottanta, in Europa, e non solo, si sono moltiplicate le politiche, locali e nazionali, i progetti e le realizzazioni che hanno inteso riqualificare i quartieri di edilizia sociale e le periferie urbane. Dal concorso bandito dal piccolo comune per la progettazione di una piazza in un quartiere di edilizia popolare costruito negli anni Sessanta, alle politiche nazionali o ai progetti speciali promossi da alcuni Stati, il tema in passato ha attraversato tutti i territori europei, forse con maggior enfasi di quanto non avvenga oggi, ma con quali risultati?

Quelle iniziative hanno previsto, a seconda dei casi, una eterogenea pluralità di azioni concrete, ad esempio:
- inserire attività produttive e commerciali per combattere la monofunzionalità dei quartieri;
- modificare il taglio degli alloggi per adeguarli a nuovi profili familiari e a nuclei di dimensioni differenti;
- realizzare luoghi centrali e/o densificare lungo gli assi infrastrutturali principali per assegnare gerarchie ad uno spazio urbano troppo omogeneo;
- ridefinire il disegno e i caratteri dello spazio collettivo per favorire pratiche di aggregazione sociale;
- ridefinire i principi insediativi e le regole di accostamento degli edifici, mediante demolizioni e nuove costruzioni, per mutare radicalmente l'aspetto e i principi costitutivi dello spazio urbano, giudicato irrecuperabile;
- promuovere politiche miranti alla diversificazione dei profili sociali e/o etnici degli abitanti per combatterne i caratteri di uniformità, oppure miranti ad ottenere effetti del tutto opposti;
- promuovere politiche di valorizzazione delle comunità locali autorganizzate per favorire processi di riqualificazione autoregolati ed endogeni.

La lista potrebbe continuare, compilando una innumerevole serie dove ciascuno degli interventi previsti rimanderebbe ad uno scenario diverso dove la questione della riqualificazione viene differentemente concettualizzata, ma non sempre controllando le relazioni che intercorrono tra le diverse dimensioni della trasformazione urbana (da quella spaziale a quella economico-sociale a quella procedurale, ecc.). Troppo spesso, infatti, politiche e progetti sono stati esito esclusivo di sguardi settoriali che hanno limitato la costruzione del problema ora agli aspetti formali ed estetici della città, ora a quelli dell'allocazione di nuove attività, ora al degrado sociale che a volte connota quelle realtà urbane. In aggiunta, in queste esperienze si è spesso diffuso l'equivoco che ha ridotto la qualità urbana ad una questione di "arredo" e, infine, non poche volte si è fatta strada l'idea che la riqualificazione della città del moderno dovesse passare attraverso la sua negazione, riconquistando i caratteri spaziali presenti nei centri storici e soprattutto impiegandone i materiali urbani già sperimentati.

Tutto ciò ha forse mostrato come le questioni legate alla "qualità urbana" e al mutamento del "quadro di vita" di quelle popolazioni non potessero essere ridotte ad una formulazione generale e come la stessa costruzione del problema rappresenti, ogni volta, il vero nodo da sciogliere: un problema che possiede sempre caratteristiche locali, è aggredibile soltanto mediante una sua descrizione complessa e densa di incertezze, non assume connotazioni fertili se non è formulato in termini multidimensionali, in molte occasioni forse non ammette soluzioni se si aspira ad un intervento unitario e si impiega una procedura accentrata che prevede operatori di natura esclusivamente pubblica. Così, per motivi diversi, forse la più parte di quelle iniziative non ha avuto il successo sperato, anche quelle che avevano visto un impegno assai rilevante da parte di amministratori, progettisti, scienziati sociali e, non ultimi, degli abitanti.

Nonostante il tema sia emerso ormai da molto tempo, i suoi esiti sembrano essere quindi tutt'altro che scontati e bene hanno fatto l'Ater (Azienda territoriale per l'edilizia residenziale della provincia di Trieste) e la Facoltà di architettura dell'Università degli Studi di Trieste a sollecitare in un concorso il contributo di giovani progettisti ancora studenti. Con ogni probabilità, queste parti della città, realizzate nella seconda metà del secolo scorso, costituiranno ancora per molto tempo un campo di azione rilevante per le politiche pubbliche e per la progettazione urbana, quindi molti degli attuali studenti si troveranno forse ad operare proprio in quei contesti.

Vorrei avanzare l'ipotesi che le difficoltà che spesso hanno incontrato i progetti di riqualificazione dei quartieri di edilizia pubblica sono state forse conseguenza della "forma" che hanno assunto i progetti e quindi dell'atteggiamento progettuale che li ha guidati. Voglio dire, cioè, che mi sembra di poter riconoscere un nesso tra la forma che in ciascuna vicenda assume l'attività di progettazione (e i suoi risultati) e la possibilità che essa abbia successo. Se osserviamo gli atteggiamenti che hanno connotato nel tempo gli interventi di riqualificazione dei quartieri di edilizia pubblica, è forse possibile dire che si possono riconoscere almeno due orientamenti nelle pratiche di progettazione (ma forse essi sono riconoscibili in tutti i progetti che hanno per oggetto situazioni problematiche particolarmente complesse). Il primo tende a ridurre l'incertezza costruendo configurazioni autonome e di carattere comprensivo, sovrapponendo alla situazione una "voce", ulteriore e autorevole, che promuove "buone idee" e rappresenta il futuro come un tutto compiuto: una sintesi possibile grazie ad un uso oculato e saggio del sapere esperto. Potremmo forse dire che, in questi casi, il progetto, predisposto dal tecnico, è concettualizzato come un prodotto. Il secondo privilegia invece, quale suo terreno essenziale, il piano dei principi, allo scopo di stabilire i caratteri e l'orientamento di un progetto che, innanzi tutto, ricerca nel contesto argomenti per essere condiviso. In questo caso il progetto è concettualizzato come una attività di indagine (che in alcuni momenti assume connotati collettivi) che interpreta il proprio ruolo all'interno di un processo di interazione sociale.

Penso che entrambi possano essere atteggiamenti efficaci, ma ciò dipende dai caratteri del contesto (multidimensionalmente inteso) entro il quale vengono impiegati e dall'occasione in cui la progettazione dello spazio fisico compare all'interno della vicenda.



2. In questa sede, più che sottolineare le differenze tra i due atteggiamenti vorrei soffermarmi sulle caratteristiche del secondo. Infatti un osservatore distratto potrebbe forse rimanere sconcertato osservando gli elaborati del progetto «infinite declinazioni» - presentato da Ettore Donadoni (capogruppo), Alessandra Albanese, Manuel Calvi con la collaborazione di Nicola Ratti - vincitore ex aequo del concorso triestino.

In questo progetto appare evidente la rinuncia ad una visione sinottica della situazione e la negazione di un atteggiamento comprensivo, cristallizzato in una forma spaziale definita. Esso è costituito invece da tre strategie: tre criteri di condotta mediante i quali regolare e coordinare azioni di differenti soggetti nel tempo. Vale la pena riassumerle brevemente. Esse sono illustrate mediante la ricostruzione di altrettante viste del paesaggio di borgo S. Sergio: sono immagini-guida che tentano di stabilire una comunicazione immediata con il destinatario e chiedono di essere condivise. Non mancano però alcune indicazioni tecniche che mostrano le regole da seguire nella realizzazione degli interventi previsti, ne illustrano la fattibilità o i principi da impiegare nelle future attività di progettazione.

Con la prima strategia si intende assecondare un processo di appropriazione dello spazio pubblico, attualmente in atto nel quartiere, riconoscendo in esso una risorsa per il progetto. Si tratta di un indizio dell'attuale difficoltà nell'uso collettivo dello spazio aperto, forse di una concreta domanda di nuovi spazi domestici e per il tempo libero, ma forse anche di una inadeguata progettazione dell'attacco a terra degli edifici. L'affidamento alla popolazione locale di considerevoli porzioni dello spazio aperto per la realizzazione di orti, frutteti e giardini, costituisce una azione capace di garantire il presidio dello spazio collettivo e la sua cura, mediante l'impiego di pratiche di natura essenzialmente privata e individuale che, nel loro insieme, hanno un importante effetto sulla immagine della città, generando un esteso e radicale mutamento del paesaggio urbano, quasi una sua ibridazione con quello rurale. Le forme spaziali entro le quali tale affidamento si può realizzare derivano dall'applicazione di alcune regole tecniche suggerite dal progetto, relative al soleggiamento e alla compatibilità fra pratiche diverse.

La seconda strategia è rappresentata mediante uno scenario in cui la realizzazione di una nebulosa di edifici ibridi, contenenti diversi elementi (parcheggi, servizi alle persone, per il tempo libero e la cultura, risalite meccaniche e mini alloggi) potrebbe raggiungere differenti obiettivi. Ad esempio: inaugurare nuovi modi di praticare lo spazio del quartiere, superando in modo inedito alcuni ostacoli orografici; liberare lo spazio aperto, ora impiegato in modo eterodosso per il parcheggio; realizzare nuovi punti di riferimento nel paesaggio del quartiere, suggerendo anche la possibilità che le torri parcheggio si possano auto-finanziare, diventando supporti per una pubblicità alla scala urbana; inserire nuovi tipi di alloggi per ospitare popolazioni con profili familiari diversi da quelli prevalentemente presenti; consentire l'insediamento di funzioni che possano inaugurare nuove pratiche di frequentazione del quartiere, ecc.

Evidentemente ognuno di questi luoghi notevoli potrà avere una configurazione specifica, relativamente sia al programma, sia alle forme. L'unico elemento costante e necessario sembra essere la presenza del parcheggio, mentre complessivamente possono essere presenti anche solo due degli elementi funzionali previsti.

La terza strategia raccoglie alcuni dei risultati provenienti da quelle precedenti ed impiega risorse esistenti. Con essa si immagina il completamento e la riqualificazione della trama della percorrenza pedonale esistente, collegando fra loro luoghi di aggregazione e di incontro che nel quartiere sono già presenti con la rete di quelli che nel tempo si realizzeranno grazie alla seconda strategia, impiegando quindi anche i nuovi tracciati trasversali, che seguiranno alla realizzazione delle risalite meccaniche. La rete è quindi un "oggetto" che, in questo momento, non si può prevedere nella sua forma compiuta, anche se è in parte esistente. Ciò che il progetto segnala sono però alcuni interventi utili ad assegnare riconoscibilità ai percorsi, limitandosi a suggerire l'uso costante dello stesso materiale per la pavimentazione e la realizzazione di un sistema di illuminazione dello spazio pubblico.

In che cosa consiste un progetto di questa natura? Si tratta della enunciazione di alcune strategie da intraprendere accompagnate da alcune immagini, del tutto evocative, dei paesaggi possibili, delle pratiche che possono attraversarli e delle nuove architetture che possono emergere. "Strategie con figure" potrebbe essere il suo motto.

Gli autori hanno assunto il compito di costruire il programma del progetto a partire dalla assunzione di alcuni comportamenti di appropriazione e d'uso dello spazio quali elementi costitutivi del loro lavoro. Hanno colto nel contesto l'emergere di specifici comportamenti e ne hanno riconosciuto la fertilità ai fini dell'aumento della qualità della situazione locale. Di fatto, hanno reinterpretato il ruolo dell'attività di progettazione, il suo scopo, il suo posto nei processi di trasformazione urbana. Volutamente, nulla di ciò che viene rappresentato negli elaborati del progetto è destinato ad essere realizzato così come è stato rappresentato. Non hanno prodotto un "disegno" da consegnare in cantiere, ma un dispositivo utile ad interpretare e ad indirizzare le risorse e le energie emergenti nel contesto. In un progetto così inteso il disegno non ha il compito di raffigurare degli stati di cose, ma di evocare delle immagini, di sollecitare l'osservatore alla consultazione della propria provvista iconografica. Non perché ciò che il progetto promuove debba essere necessariamente già visto, ma perché il progetto, e le sue immagini, indirizzano a "comporre" secondo uno specifico orientamento materiali che l'osservatore già dispone.

Sarebbe riduttivo intendere questo atteggiamento come l'esito di un raffinato cinismo da parte dei giovani autori (ma in che senso possiamo chiamarli autori?). Né, tantomeno, siamo in presenza di quel "sano realismo" che in altri casi ha autorizzato la realizzazione di qualsiasi forma di obbrobrio nelle nostre città. Si tratta invece di una interpretazione del ruolo del tecnico, e del progetto, che, in questo caso, non necessariamente in tutti, trattiene, di fronte all'incertezza, la sua propensione predittiva, per sovrapporre alla situazione problematica una nuova immagine in un modo interlocutorio ed esplorativo, ma non per questo debole. Il progetto stabilisce principi e obiettivi e li rappresenta mediante scenari, capaci di innescare azioni (anche di natura progettuale) che anche altri soggetti, in seguito, potranno intraprendere. Parafrasando una locuzione proposta molti anni or sono da Gustavo Zagrebelsky, in un campo disciplinare diverso dal nostro (ma non molto distante), si tratta forse di un "progetto mite" quello che viene proposto. Un progetto che presuppone il minor numero di aspetti possibile, tra quelli che lo riguardano. In questo caso l'attività di progettazione assume un ruolo particolare: orienta e dà significati ad energie esistenti che si possono liberare e indirizzare, costruisce scenari che invita a condividere, è destinato a innescare dei processi. L'attività che si svolge durante il processo di progettazione assume un ruolo strategico-esplorativo. I suoi esiti possono essere di natura differente e non necessariamente conclusivi: la promozione di una specifica politica sullo spazio aperto, da parte dell'operatore pubblico; la progettazione di uno o più edifici, da parte di operatori pubblici e privati; la predisposizione di un piano di opere pubbliche da parte dell'amministrazione comunale; il pronunciamento degli abitanti, entro forme ora imprevedibili, ma innestate sui temi e la rappresentazione del "problema S.Sergio" che il progetto ha costruito e posto alla loro attenzione; e poi chissà...



3. È sempre rischioso inferire da una specifica esperienza delle massime di comportamento generali. Nondimeno si tratta di un esercizio necessario, se intendiamo dire che cosa abbiamo imparato, se pensiamo che esistano analogie tra casi pur diversi, se intendiamo contribuire ad una qualche forma di crescita cumulativa del sapere. Pertanto mi azzarderò a compilare una mini-fenomenologia del "progetto mite", naturalmente deresponsabilizzando i giovani autori di «infinite declinazioni» da ogni mia conclusione.

- Una concezione "mite" del progetto guarda ai suoi compiti di innovazione dello spazio abitabile come una pratica che è preceduta da mutamenti che avvengono nella società, capaci di alimentare anche le dimensioni dell'utopia e dell'immaginazione esercitate dalle attività tecniche e non necessariamente destinati a costituire materiali per operazioni di semplice assemblaggio.
- Se spesso i progetti sono visti come costrittivi e riduttivi, luoghi nei quali vengono rappresentate infedelmente le istanze dei soggetti, il "progetto mite" invece guarda con disponibilità alla razionalità espressa dagli individui. Essa è vista come una potenziale risorsa per proporre comportamenti collettivi, non necessariamente come una deviazione da una regola presupposta.
- Le procedure di ascolto (degli abitanti), di rilievo (degli spazi) e di osservazione (dei comportamenti) sono parte costitutiva dell'attività di progettazione e non mancano di uno spessore interpretativo. Nelle attività proprie del "progetto mite" si sviluppano connotati creativi di tali ricognizioni. Le pratiche fertili e innovative non sono fatti oggettivi, vanno riconosciute, sviluppando attitudini specifiche che consentono di vedere tra le pieghe dell'ordinarietà dei comportamenti.
- Il progetto non è un inizio dal quale tutti i comportamenti dei soggetti e i futuri processi derivano, é invece una soglia verso la quale convergono comportamenti esistenti e processi in corso che mediante l'attività di progettazione vengono interpretati, fra loro connessi e rilanciati verso l'esterno.
- Le configurazioni proposte rappresentano delle destinazioni, capaci di orientare energie esistenti. Le politiche e le azioni successive non eseguono, o implementano, il progetto, ma sono parte stessa del progetto che si presenta come un processo di interazione sociale.
- Il "progetto mite" non coincide con previsioni incontrovertibili, il suo discorso non assume caratteri totalizzanti e non ricerca il controllo assoluto delle modificazioni. Esso evita opzioni generalizzanti, impiega le funzioni regolatrici della progettazione e il carattere persuasivo dei suoi elaborati ai quali, pertanto, assegna una funzione retorica, non meramente descrittiva.
- Durante l'attività di progettazione si sviluppano nel tecnico capacità mediatorie e conciliative. Gli elaborati predisposti assumono il compito di facilitare il dialogo tra i soggetti e costituiscono uno strumento utile alla gestione condivisa delle situazioni di conflitto.
- Il "progetto mite" sposta l'accento dell'attività di progettazione dalla soluzione del problema alla sua costruzione e al suo governo, guardando alle capacità dei contesti locali di trovare soluzioni sottoforma di intese tra differenti soggetti.
- Le configurazioni proposte dal "progetto mite" sono aperte e scomponibili. Il loro accostamento alla situazione locale può dare luogo a differenti programmi di sviluppo (per punti, per temi, ecc.), in relazione ai possibili e differenti scenari di attivazione delle risorse e alla configurazione della rete degli attori. Gli "inneschi" del processo si dispongono secondo una pluralità di percorsi e in riferimento a molteplici opportunità che il progetto consente di cogliere, anche se non previste.
- Il "progetto mite", si colloca quindi su un terreno di confine, quello, spesso mal inteso, che separa la definizione delle configurazioni spaziali dal campo delle politiche territoriali. A quel confine il "progetto mite" fa assumere ogni volta uno spessore diverso. A volte mediante una decelerazione delle pratiche di definizione dello spazio. In altri casi attraverso una loro accelerazione, fornita dalle sue anticipazioni esplorative.

Si tratta di un terreno difficile e irto di fraintendimenti. L'accusa di misoneismo è sempre in agguato per il "progetto mite", così come il sospetto che nasconda una deresponsabilizzazione della tecnica (e del sapere esperto) in favore di un cinismo alla moda e di una estetica del banale.

Di fatto è un atteggiamento progettuale che si sta diffondendo e che forse tratteggia anche un possibile campo d'azione per nuovi soggetti professionali, capaci di operare entro condizioni complesse del contesto. Si tratta di progettisti capaci di trattare in modo adeguato la dimensione (concettuale e pratica) costituita dalle relazioni tra spazio e società, tra spazio e dinamiche di trasformazione, tra spazio e procedure di interazione sociale. Forse questo profilo si presenta come una tappa evolutiva di alcune tradizioni del "progetto urbano" del passato, ma questa è un'altra storia che qui non è possibile riprendere.

La definizione di questa dimensione progettuale non consiste solo nel riconoscimento della rilevanza contemporanea di una scala "intermedia" di intervento, ma anche nella capacità di trattare operazioni complesse da parte di un soggetto nel quale le competenze del planner interagiscono con uno sguardo sensibile ai caratteri fisici e formali dello spazio. Si tratta di una figura che possiede competenza e autorevolezza per occuparsi della qualità dello spazio abitabile, ma anche della qualità dell'interazione sociale, delle norme e delle procedure che ne accompagnano e governano la possibile trasformazione, operando consapevolmente sui legami tra le forme dello spazio e le condizioni, i vincoli e le opportunità, che la società contemporanea presenta.

Mi auguro che il futuro ci dia la possibilità di verificarne i risultati.

Francesco Infussi
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