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Tre parole per il prossimo futuro



Luigi Prestinenza Puglisi
"Tre parole per il prossimo futuro"
Meltemi, Roma, 2002
pp144, €12,50

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Quando ho visto questo testo presso la libreria universitaria dove di solito acquisto i miei libri, mi ha subito incuriosito il titolo: Tre parole per il prossimo futuro. La scelta ha un che di profetico, almeno nel titolo. Un titolo ambizioso, sicuramente d’impatto. Avevo già incontrato svariate volte Prestinenza Puglisi nei miei percorsi di navigazione in rete e avevo avuto modo di apprezzare i suoi scritti, così, presa dalla curiosità, ho deciso di acquistarlo.

Dopo i primi facili entusiasmi mi sono fermata a riflettere su varie questioni che girano intorno al libro e all’interno di esso. Dalla comparsa di questo testo nelle librerie si è verificata in Italia un’esplosione di recensioni, forum, interventi. L’intensiva campagna promozionale, avviata a partire dalle numerose webzines coinvolte, dovrebbe essere tenuta presente per valutare le ragioni del suo successo. Certamente Luigi Prestinenza Puglisi, durante questi ultimi anni, è stato un critico attento e presente all’interno del dibattito architettonico, prestandosi anche ad esperienze, come per esempio il seminario online su ARCH’IT, che hanno contribuito ad accrescere l’interesse verso i suoi testi.

Probabilmente la forza di questo libro è che sa parlare agli studenti e agli studiosi con un linguaggio semplice, supportato da uno schematismo che solo vagamente accenna ad una forma di rigore scientifico. Senza tanti giri di parole si focalizzano i vari temi con una schiettezza a volte disarmante. Anche la scelta di pubblicare un testo “breve” di facile lettura ne sta determinando una rapida affermazione. Il libro cerca di inquadrare la situazione attuale dell’architettura italiana leggendola attraverso tre parole (no logo, multiculturalismo, ecologia) che rappresentano un punto di partenza per un dibattito sul “prossimo futuro”. Vorrei concentrare l’attenzione non tanto sulle tre parole su citate (tra l’altro già abbondantemente recensite) –ognuno può leggersi il libro per fare le proprie considerazioni in merito anche senza le mie di “parole”– ma su alcuni dei tanti temi sommersi che questo testo porta a galla anche solo parzialmente, che sono in attesa di uno sviluppo più ampio.

In apertura vi sono alcune “considerazioni sulla critica architettonica oggi” che portano l’attenzione su come manchi, a volte, l’onestà intellettuale per leggere criticamente opere e scritti. La paura del critico di esporsi fa sì che: “…oggi la critica, pur essendo spesso sopra le righe, non è incisiva. È blanda, è annacquata. Non indirizza. Registra e basta. Semmai c’è qualche scaramuccia tra scuole o tra personaggi ridotti al ruolo di caricature. Tradizionalisti contro digitali. Sgarbi contro Gregotti…”. Questo stare in pace con tutti, questo culto del non esporsi, dello stare un po’ di qua e un po’ di là, insegnatoci così bene dai nostri politici, questo criticare per parti prese o per favori da ricambiare sta progressivamente svilendo la qualità del dibattito che ormai è inesistente.

L’atteggiamento dell’autore è sì critico, ma allo stesso tempo ottimista. La critica è fatta per costruire non per disfare. In appendice, inaspettatamente, troviamo Un rapido sguardo alla giovane architettura in Italia, e anche qui tantissimi input che se sviluppati uno a uno richiederebbero forse più di un saggio: dal problema della fuga (tra l’altro “consigliata” sempre in maniera costruttiva) di “cervelli” all’estero, alla situazione delle facoltà di architettura italiane passando dalla mancanza di maestri (“…senza Maestri, ma non senza cultura…”) all’importanza assunta dal digitale, in questo periodo ridimensionata.

Interessante la scelta di intervallare il testo scritto con immagini selezionate di giovani studi di progettazione, preferiti ad altri già affermati, che, come viene spiegato, sono stati scelti quasi tutti in base a tre criteri stabiliti dall’autore quali l’età (preferibilmente al di sotto dei trent’anni), il tipo di ricerca e l’affinità con i temi trattati dal libro. Non si parla solo strettamente di architettura, ma i ragionamenti sono intrecciati con altri episodi della vita di ogni giorno che, oltre a far comprendere meglio le questioni affrontate, dimostrano ancora una volta come l’architettura sia figlia del tempo in cui vive e come tutti gli input provenienti dai cambiamenti sociali ed economici si riflettano poi nel lavoro professionale. Si potrebbe discutere molto sulla scelta di ridurre a “parole chiave” alcuni cambiamenti in atto, ma, in generale, queste possono essere utili per inquadrarne in maniera intuitiva i problemi. Questo potrebbe essere un buon punto di partenza per sviluppare degli studi più ampi su questi temi e su molti altri tralasciati dalle “tre parole”.

Vorrei chiudere con le ultime righe del saggio che ben riassumono il generale ottimismo cui il libro risulta fortemente ispirato: “….Quindi basta frignare. Molto meglio lavorare, capendo le esigenze e le contraddizioni della società in cui viviamo. E lavoro per gli architetti, se lo si vuole trovare, ce ne è almeno per i prossimi due millenni.”

Laura Masiero
mas.laura@libero.it
[26oct2002]
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Questa pagina è stata curata da Matteo Agnoletto.






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