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Books Review

SCELTI DA: GABRIELE MASTRIGLI
I MERCOLEDÌ DELL'ARCHITETTURA
 
ULTIMATE LANDSCAPES
Una conversazione con Francesco Careri e Luca Galofaro

Gabriele Mastrigli



Ad Ascoli Piceno da circa due anni è in atto una iniziativa ideata da Umberto Cao nell'ambito delle attività comuni promosse dal Dipartimento di Progettazione e Costruzione dell'Ambiente della locale Facoltà di Architettura e dall'Ordine degli Architetti di Ascoli. Ogni ultimo mercoledì del mese, nella sede dello spazio multimediale della Libreria "Rinascita", vengono invitati gli autori di libri di architettura e cultura urbana di recente pubblicazione a presentare il loro lavoro, discutendolo con ospiti o critici esterni, con i docenti della Facoltà e con gli studenti. La manifestazione oltre a favorire la diffusione di testi di rilevanza nazionale ed internazionale ed a stimolare la lettura tra i giovani e gli studenti, costituisce una occasione importante di presenza del Dipartimento e della Facoltà di Architettura nel vivo delle problematiche urbane e degli interessi culturali della piccola città marchigiana. A partire dal mese di giugno il Dipartimento, per intensificare l'iniziativa e promuovere soprattutto i giovani autori, ha affidato a Gabriele Mastrigli il compito di curarne il programma e l'organizzazione.



Mercoledì dell'architettura ad Ascoli Piceno
Incontri di architettura e cultura urbana
26 maggio 2004 ore 18.30
Libreria Rinascita - Palazzetto della Comunicazione

Walkscapes / Artscapes
presentazione dei libri di
Francesco Careri e Luca Galofaro
collana Land&Scapes - ed. Gustavo Gili

introduce:
Gabriele Mastrigli
ne discutono con gli autori:
Pippo Ciorra, Cristiano Toraldo di Francia



Negli ultimi anni il termine paesaggio è stato sollecitato ad accogliere e commutare molti tra gli sforzi e le speranze dell'architettura, proprio per la capacità di tenere insieme il territorio -nell'accezione più vasta che va dalla città consolidata, allo sprawl, alla campagna, agli ambienti naturali non antropizzati- e le sue infinite possibilità di trasformazione (sino a spingersi, più o meno metaforicamente, nella dimensione domestica dell'abitare e perfino nei mondi digitali), in quell'ottica aperta, interdisciplinare, evolutiva e allo stesso tempo "sostenibile" che ha l'ambizione di rappresentare la quadratura del cerchio di molte tra le ricerche in seno all'arte e all'architettura contemporanee. Ma parlare di paesaggio significa inevitabilmente anche risalire alle origini dell'azione dell'uomo sulla terra, al rapporto diretto con gli elementi naturali e soprattutto alla sua capacità di situarsi nei confronti di questi, per individuare e definire il proprio spazio vitale.
Abbiamo dunque scelto due libri della stessa collana -Land&Scape Series, dell'editore spagnolo Gustavo Gili- che insieme, anche se con prospettive diverse, affrontano il rapporto tra uomo e il mondo, attraverso la sua esplorazione, conoscenza e trasformazione, dagli albori sino all'interpretazione che di questo rapporto hanno dato alcune correnti artistiche, in particolare del dopoguerra, sino a giungere ad opere più recenti concepite a cavallo tra architettura, landscape architecture, arte del paesaggio, land-art.

GABRIELE MASTRIGLI: Se Artscapes sembra -almeno per quanto riguarda l'architettura- un punto di arrivo degli ultimi anni, in Walkscape il paesaggio appare innanzitutto una condizione originaria: il territorio a disposizione dell'uomo preistorico che, prima con le erranze intercontinentali dell'era paleolitica e poi praticando il nomadismo, impara ad attraversarlo, a conoscerlo, a mapparlo. È sempre questa condizione da cui si determinano prima i percorsi e solo successivamente gli spazi dello stare, prima le "città erranti" e poi le "città insediate". Il percorso è dunque fondamento e presupposto delle culture stanziali.
Con la prima escursione urbana dadaista del 1921, l'attraversamento ha invece un carattere dissacrante e "decostruttivo": si tratta infatti di una uscita "all'aria aperta" alla scoperta dei luoghi banali della città, "fuori dalle sale di spettacolo" come ammoniva Breton, in opposizione alla conclamata stabilità della città borghese. Il destino del camminare e più in generale dell'azione nel paesaggio, nella cultura artistica e architettonica dalle avanguardie in poi, è dunque quello dell'anti-arte?

FRANCESCO CARERI: No, non credo che il destino sia quello dell'anti-arte. È una lunga storia e in fondo credo che teoricamente il secolo passato abbia fatto molti passi avanti dopo il nichilismo dadaista. Io parlo di erranze nei secoli perché perdersi è un fatto sempre attuale, e forse il sapersi perdere è un valore tutto da imparare. Io in fondo ho sempre misurato la bellezza di una città anche dalla sua capacità di farti perdere. Non so perché ma non ho mai amato in fondo i viali e i boulevard di Hausmann, mi affascinano molto di più i labirinti e amo più i sentieri delle strade, quei sentieri che spariscono quando non li si usa più. Oggi per esempio è solo seguendo quei sentieri che arrivi a vedere alcune situazioni abitative nascoste agli occhi di tutti, luoghi dove a volte più del degrado ti colpiscono i legami umani, dove scopri spazi pubblici di relazione inimmaginabili nelle città che abitiamo. Credo che questi luoghi domandino risposte a chi di spazio si intende o dovrebbe intendersene, cioè agli architetti, e credo che gli architetti debbano cominciare ad interessarsene, anche con il fine di trasformare lo spazio, ma a patto di voler modificare gli strumenti di lavoro. Sono strumenti tutti da inventare ed è proprio lì che è interessante andare.



LUCA GALOFARO: Anch'io non penso che il destino dell'agire sul paesaggio sia in qualche modo anti-arte. Sono convinto che le avanguardie abbiano rappresentato un punto di svolta, o meglio un cambio di punto di vista: l'azione del camminare, l'uscire dagli studi per entrare in un modo di sperimentare nel quale l'individuo è al centro dell'azione.

Nella New Babylon di Constant, le mappe situazioniste fatte di zolle urbane galleggianti nel vuoto si saldano in una città nomade continua, che copre l'intero globo terrestre e accoglie (e rappresenta) tutta l'attività umana, ancorché ludica. Oggi questa sorta di "paesaggio totale" sembra evocato tornare nel concetto di Artscapes, dal momento che questa nuova categoria presuppone un territorio tutto indifferentemente artificiale, in cui architettura e natura sono forzate ad una "sintesi" definitiva. Che ne rimane del vuoto tra le parti che aveva misurato i gradi di libertà e definito lo spazio di azione dagli uomini primitivi fino ai land-artisti, dando senso, di fatto, a l'intera storia dell'architettura e della città?

FRANCESCO CARERI: Ti sembrerò romantico ma credo nell'esistenza della natura; credo che ci siano zone inconsce, come credo che ci sia ancora un'infinità di mondi inesplorati: sono dietro le nostre case. È il nostro concetto di natura che è cambiato, come è cambiato nel corso dei millenni. Oggi assistiamo a una natura che va trasformandosi a volte troppo velocemente, e in quei casi bisogna preoccuparsene. Ma non credo ad uno spazio tutto antropizzato e non credo che l'umanità sia arrivata ad una sintesi definitiva tra natura e architettura: l'architettura rimarrà probabilmente per sempre una rappresentazione della natura. Vedo macchie di ibridazione sempre più frequenti, interi territori che sfuggono alla rappresentazione e quindi sia all'arte che all'architettura, e che domandano interventi creativi multidiscilplinari, pratiche capaci di affrontare la complessità senza pregiudizi culturali. Questo è oggi un territorio che si sta aprendo e che si può attraversare ludicamente, costruendo grandi giochi di trasformazione collettiva. È molto simile ad uno spazio neobabilonese, sicuramente diverso da quello che avevano visto i situazionisti, in piena guerra fredda e tra le grinfie delle ideologie. È innegabile che il mondo e quindi anche il pensiero sono cambiati.



LUCA GALOFARO: Penso che Artscapes non sia una nuova categoria che presuppone l'annullamento del territorio naturale o degli spazi vuoti, misurati e percorsi in modi differenti da artisti ed architetti. Artscapes è piuttosto un atteggiamento d'intervento che cerca di liberare la disciplina dal senso della tipologia. Come proponevano i land-artisti alla fine degli anni Sessanta, uscendo dagli studi per dare un nuovo senso al proprio lavoro, attraverso un rapporto con il paesaggio che non debba trovare gli spazi museali e gli studi come filtro ma che rimetta in gioco il proprio senso dello spazio. Non più pittura, scultura o installazioni, ma azioni artistiche all'interno di un luogo naturale.
Allo stesso modo oggi molta architettura contemporanea cerca di ristabilire un contatto con il naturale molto simile a quello dei land-artisti, si cerca di ridurre le distanze con l'artificiale usando e trasformando il naturale stesso. Vedi ad esempio il Blur Building di Diller e Scofidio sulle sponde del lago Neuchâtel in Svizzera.
L'anno scorso è uscito un libro di Aaron Betsky intitolato Landscrapers. Buiding with the land (Thames & Hudson), in cui Betsky cataloga gli interventi secondo l'uso che si fa nel progetto del naturale.
Io, invece ho cercato più che altro di trovare una chiave di lettura del contemporaneo che evidenzi un tipo di azione sul paesaggio e non il risultato formale. Alcuni dei gruppi presi in esame, Decosterd & Rahm per esempio, agiscono non attraverso il linguaggio ma attraverso una logica delle sensazioni. La divisione dei capitoli non è quindi necessariamente sequenziale e si articola sulle azioni fatte sia da artisti che da architetti.

Nel 1966 Tony Smith pubblica su Artforum il racconto del suo viaggio su un'autostrada in costruzione alla periferia di New York. A quello che verrà definito l'esordio della land-art, fa seguito, l'anno successivo, l'"odissea suburbana" di Robert Smithson, raccontata nell'articolo "The monuments of Passaic" e mostrata alla Dwann Gallery a New York, dove vengono esposte le fotografie del paesaggio industriale della periferia con i suoi monumenti.
Ma per nutrirsi dei suoi scarti la "città inconscia" non ha forse bisogno della "città sedentaria", cioè della "città per parti" - e cioè la città descritta da Venturi e Rossi rispettivamente in "Complexity e Contradiction in Architecture" e ne "L'architettura della città", entrambi pubblicati nel 1966? Non sono forse i suoi monumenti, presi in tutta la loro ineluttabile fissità, quelli intorno alla quale la città spontanea dell'attraversamento (ma in fondo anche quella ibrida dell'Artscape) si organizzano e si orientano? La città contemporanea, così concepita, è una città programmaticamente parassita?


FRANCESCO CARERI: Sicuramente la città "inconscia" ha bisogno della città "sedentaria", ma forse direi la città "nuda" e la città con la "maschera". Sono nato mentre uscivano i libri di Venturi e di Rossi e se Venturi l'ho sempre amato in quanto pop, Rossi l'ho un po' subito, come i "Promessi sposi", e sicuramente vale la pena di rileggerselo. Noi siamo una generazione che per reazione ha sostituito la storia con la geografia, che ha interesse al come si abitano i luoghi e alle relazioni più che alle forme da dare agli edifici. Abbiamo rifiutato i formalismi ordinati del postmoderno, il disordine dei decostruttivisti e adesso assistiamo alle prime visioni dei neoradical e neoorganici. Credo che tutti questi non abbiano cercato di mettere a punto gli strumenti per operare nello spazio caotico della realtà, hanno tentato di rappresentarla. Noi ci proponiamo di interagire con essa, senza supporre di conoscerla, ma in fondo per trasformarla, consci del potere trasformativo che ha a volte la sola nostra presenza in quanto osservatori.

LUCA GALOFARO: Il fatto che citi Tony Smith è esemplare, il suo lavoro si muove sempre tra arte e architettura, le sue azioni di architetto e di artista agiscono sulla realtà allo stesso identico modo. Quello che critico al nostro atteggiamento di architetti è l' essere sempre convinti di essere a centro del sistema di progetto, quello che invidio agli artisti invece è la loro capacità di dialogo, il loro lasciarsi trasportare.
Più che di città inconscia parlerei quindi di città partecipata, l'azione dell'artista è sempre un tentativo di dialogo, con il reale…sedentario naturale o in movimento che sia. La città contemporanea ha bisogno dei suoi monumenti ma ancora più bisogno di essere attraversata e vissuta quotidianamente attraverso progetti che siano come noi (nello studio IaN+) spesso li chiamiamo, microinfrastrutture.

Ipotizzare, all'opposto, un paesaggio tutto artificiale ed egualmente disponibile alla trasformazione progettata -pur con gli strumenti allargati a più discipline-, non significa, di fatto, rievocare in chiave contemporanea il paradigma modernista della città continua, semplicemente appesantito da forme spesso "organiche" e iper-definite, che generano una spazialità ancor meno flessibile poichè costrette a ricostruire "in vitro" tutto il sistema dei rapporti di prossimità e delle relazioni tra le parti?

LUCA GALOFARO: Sono perfettamente d'accordo, per questo progettare attraverso degli Artscapes significa usare l'arte l'architettura e il naturale non per creare un nuovo paesaggio tutto artificiale ma per instaurare un sistema di relazioni complesse tra le parti, la continuità del paesaggio è data infatti non da un sistema costruito ma da un sistema di relazioni.
[26may2004]

 

PLAYLIST
    Francesco Careri
"Walkscapes. El andar como practica estética.
Walking as an aesthetic practice."
Land&Scape Series
Gustavo Gili, Barcelona 2002
pp 205 €25,00 

"we need to go where distant futures
meet distant pasts"
leggi il commento di Alberto Iacovoni

 

  Luca Galofaro
"Artscape. El arte como aproximación al paisaje contemporáneo"
Land&Scape Series
Editorial Gustavo Gili, 2003
pp190, €25,00

"Paesaggi in trasformazione"
leggi il commento di Italia Rossi

 

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la pagina books review
è curata da Matteo Agnoletto.
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