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IL
PROGETTO DI PETER EISENMAN PER IL GIARDINO DEI PASSI PERDUTI NEL MUSEO
SCARPIANO DI CASTELVECCHIO A VERONA. Il 1978 è un anno di crisi
dell'architettura e lo è anche per Peter Eisenman. Nello scenario
internazionale sta prendendo sempre più corpo l'interpretazione
"post moderna" basata su un'impostazione culturale che diventerà
ben presto carica di storicismo. In Italia, dove architettura se ne
fa e se ne faceva poca, si realizzerà qualche ufficio postale
con archi e colonne oppure uno scenario hollywoodiano con mezzi busti
in gesso in un paese terremotato della valle del Belice. Ma in America,
dove di architettura se ne costruisce di più, nascerà
una generazione di palazzi per uffici, di campus universitari, addirittura
di grattacieli che ricordano più gli scenari cinematografici
di un film neo-gotico che una seria ricerca sull'ambiente e sulla
città.
Nell'ambito
culturale generato dal PoMo (Post-Moderno) naturalmente sono presenti
non solo le impellicciature formali kitsch, ma anche questioni serie
ancora irrisolte a circa cinquantatre anni dall'esposizione parigina
del 1925. In particolare due sono i temi all'attenzione: da una parte
il bisogno di superare il tabù modernista della ricerca formale
"pura", dall'altra la coscienza che l'architettura appartiene
ad un luogo specifico. Il concetto di contesto emerge come tematica
fondamentale di questi anni: da una parte, visto che la città
occidentale ha terminato storicamente la sua fase di espansione, la
riflessione indirizza il lavoro verso gli spazi interstiziali del
già costruito, dall'altra sviluppa la consapevolezza progettuale
del rapporto con gli ambienti esistenti.
Eisenman in questo 1978, dicevamo, è in crisi. Da una parte
il Post Moderno spinge in una direzione stilisticamente opposta alla
ricerca che aveva condotto sino a quel momento, dall'altra un lavoro
assolutamente chiave del suo percorso progettuale di questo decennio,
la House X, non viene realizzata e diventa l'occasione di estenuanti
prove grafiche sulla rappresentazione.
Vi domanderete a questo punto perché la sto prendendo così
alla lontana per commentare la rilevanza di questo progetto a Castelvecchio.
Ci stiamo arrivando, anche geograficamente.
In questo stesso 1978 Eisenman è chiamato a partecipare a "Dieci
progetti per Venezia" un progetto urbano promosso dall'Istituto
di Architettura della Facoltà di Architettura di Venezia.
Il progetto che gli si chiede di studiare riguarda l'area di Cannaregio
a Venezia, a quella data degradata e inutilizzata dopo una gloriosa
stagione industriale. Eisenman propone in questa occasione una struttura
e un processo architettonico geniale che ha già in nuce gli
enzimi principali del progetto urbano come si andrà sviluppando
nei due decenni successivi. Lavora al progetto utilizzando il tema
del luogo e del contesto come spinta principale del ragionamento architettonico,
ma abbandona completamente i cliché post-modernisti di ambientamento
e di mimesi per muoversi in una declinazione tutta concettuale. Eisenman
organizza il progetto urbano attraverso una serie di griglie e giaciture
che ricava da una lettura in profondità della città
e delle sue stratificazioni. Sulla base di queste linee forza determina
una griglia che "letteralmente" riammaglia l'esistente col
nuovo progetto e organizza l'insieme degli spazi e degli edifici come
se fossero regolati da un'unica forza. All'interno di questo nuovo
"campo", si vengono a posizionare in punti strategici degli
edifici (in questo caso repliche a scala diverse della House XI) e
si innesta un ragionamento che contiene in nuce un'idea architettonica
di layer (cioè di sottosistemi autonomi ciascuno dotato
di una propria struttura, funzione e giacitura e che sovrapposto agli
altri determina il progetto di insieme).
Si tratta, come dicevamo, di una tecnica geniale e rivoluzionaria
che utilizza come catalizzatore della crisi il tema del contesto.
Il contesto non è più lo spunto per ambientazioni storicistiche
alla maniera post modernista, ma è la fonte di uno studio profondo.
Come nelle vecchie carte medievali su cui si scriveva cancellando,
ma non completamente, i testi più antichi, Eisenman cerca geometrie
e significati perduti che struttureranno il nuovo. Il contesto è
dunque un palinsesto, ma è anche portatore di una serie di
messaggi narrativi, metaforici. L'architettura narra anche una storia
e rimanda una presenza fatta di molteplici strati di significato:
passati e futuri, geologici e urbani, astratti ma anche sottilmente
narrativi. Si propone insomma, come ho già scritto, come "trivellazione
nel futuro".
La forza di quest'atteggiamento si vedrà dopo poco nel blocco
residenziale per l'IBA di Berlino e via via nei suoi progetti successivi
ma anche in lavori di altri architetti che ne intuiranno la forza.
Prototipico è il progetto della Villette di Tschumi a Parigi
che combina la propria ricerca dei movimenti discontinui e dei montaggi
sincopati del cinema con il ragionamento eisenmaniano sulle griglie
e sugli strati.
Castelvecchio, oggi, non è pensabile senza Cannaregio ieri.
Nella operazione che Eisenman propone a Verona nel 2004 a distanza
di 26 anni dal progetto di Venezia, vi sono da notare molti punti
che evolvono questa antica traccia di ricerca. Innanzitutto l'architetto
decide di non celebrare se stesso attraverso una esposizione dei propri
lavori ma propone una maniera che è allo stesso tempo più
modesta e più ambiziosa. Non espone se stesso ma le proprie
idee. Da qualche parte lo ha detto: "Voglio essere ricordato
per le mie idee". In brani del progetto emergono spazi, organizzazioni,
frammenti dei progetti significativi del suo pensiero (da Cannaregio
appunto, a Santiago di Compostela). Anche qui a Verona, griglie, letture
in profondità delle stratificazioni storiche creano l'orditura
del nuovo progetto, ma tra le maglie di quel modo di operare prende
corpo quasi insensibilmente una vibrazione difficile, una intuizione
"pura". Cerchiamo di capirci.
Da una parte l'installazione di Castelvecchio dimostra una delle più
forti convinzioni di Eisenman. L'architettura è innanzitutto
"pratica critica". Infatti il progetto trova la sua origine
concettuale nella consapevolezza della "esilità"
della parete (tra l'altro abbellita in falso antico negli anni Venti
del Novecento) che separa dal giardino la sequenza dei grandi ambienti
espositivi al piano terra. Questa parete è pensata da Eisenman
come se fosse un diaframma immateriale per fare entrare in contatto
la serie degli ambienti interni con altrettante stanze-piazze esterne
che egli disegna nel giardino. In questo modo le cinque grandi stanze
espositive e le altrettante piazze esterne creano un dialogo tra positivo
e negativo. Tra le due strutture si stende inoltre una griglia traslata
rispetto alla giacitura dell'edificio e orientata sull'asse della
torre e del famoso ponte ruotato di Scarpa. Questa griglia segna l'orditura
per fare emergere nelle stanze di esposizione delle sculture-spiriti,
delle zigzaganti forme rosse che si incuneano nella feritoia tra pavimento
e muro.
Ma a questa ben radicata "architettura critica" si sovrappone
in questo dialogo tra Eisenman e Scarpa la sottile, leggera ma importantissima
rete di una "architettura poetica". Eisenman sceglie un
elemento apparentemente secondario e trascurabile del progetto di
Scarpa. Si tratta delle linee striate del pavimento disegnate dall'architetto
veneziano ortogonalmente al percorso del visitatore e che conferiscono
un ritmo dinamico, quasi sincopato, alla successione degli eventi
museali. Eisenman "sente" cosa sono in nuce queste righe
bianche sul pavimento: sono l'idea, implicita in Scarpa, che l'ambiente
museale "non finisce" lì, racchiuso in quelle mura,
ma che si estende fuori dall'involucro, nella città, nell'atmosfera,
nella storia. L'operazione intelligentemente critica e soprattutto
ispiratamente poetica di Eisenman è sentire il significato
profondo di queste tracce e di organizzare l'orditura del suo progetto
nel cortile facendo muovere e navigare quelle linee in pianta e in
sezione per articolare le forme del suolo, le collinette e il canyon
che ne segna la parte percorribile e per parlarci ad un tempo di Scarpa,
di se stesso, della grande speranza dell'architettura nel mondo.
Dalla memoria arriva d'improvviso un'immagine e un suono: è
il fragore delle pertiche di ferro che battono sul pavimento ad indicare
le linee forza di una architettura di spazio da Borromini a Scarpa
ad Eisenman e Terragni a Zevi.
"Una pianta a schema centrale che risulta dinamica è già
un fatto straordinario, ma a Sant'Ivo c'è molto di più.
Borromini riesce a contrarre e a fare esplodere lo spazio della chiesa
-dice Bruno Zevi dentro Sant'Ivo in un filmato RAI su Borromini del
1972- con un espediente: mutilando le figure geometriche che virtualmente
compongono questo spazio. Cerco di spiegarmi. Qual' è la matrice
geometrica di questa chiesa? È estremamente complessa. Nel
pavimento è segnato un esagono, ma è chiaro che esso
non costituisce il perimetro della chiesa perché questo perimetro
è continuamente slabbrato da queste forme concave o convesse.
Cerchiamo di analizzare una di queste componenti geometriche. Per
esempio la più semplice. Qui c'è chiaramente un triangolo.
Posso segnarne tranquillamente i lati. Un lato [e fa cadere una pertica
lungo il lato con un forte bang] e un altro lato [altra pertica,
altro bang]. Bene questo triangolo dovrebbe finire a punta.
Cioè questi due lati si dovrebbero incontrare in un terzo punto.
Ma, ecco, Borromini, che fa? Zac! Taglia la figura geometrica, sicché
il compimento di questa virtuale figura avviene al di là dell'involucro:
uno spazio che tendenzialmente va al di là del suo contenitore
murario!"
Ecco, se il giardino dei passi perduti si deve leggere all'interno
del percorso critico di Eisenman a partire da una riflessione sullo
spazio urbano, la sua poetica più profonda è nel legame
che si instaura attraverso quelle linee tra dentro e fuori tra Scarpa
e Eisenman ma secondo me tra ancora più persone a formare ancora
più reti.
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[11dec2004] |