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Coffee Break

Lo strumento di Caravaggio

Antonino Saggio



   

In questi ultimi tempi è tornata all'attenzione un'intuizione geniale di Roberto Longhi. Quasi come se niente fosse, ad un certo punto del suo libro del 1952 scrive: "Così egli venne a scoprire -e fu quasi scoperta scientifica, fu in ogni caso un'esperienza- la sua personale, empirica camera ottica, ciò che meno sorprende ai tempi di Del Porta e, ormai, di Galileo". Longhi, l'amico del partigiano Ragghianti e lo stesso professore che si rifiutò di insegnare sotto Salò, in una riga sussurra al lettore l'idea che tra i motivi della visione rivoluzionaria di Caravaggio vi sia la presenza di uno strumento. Strumento che non è solo lo specchio a cui spesso il grande critico si riferisce esplicitamente nei suoi scritti, ma di una camera oscura, un sistema proiettivo molto probabilmente rafforzato dalla presenza di una lente. Detto cosi uno si chiede "Bene, e allora?" Allora un fracasso di cose. Prima di tutto bisogna avere un seguito: non esiste solo Il Motivo di Caravaggio, ma appunto questo: Lo strumento di Caravaggio.



Prendete un telaio vuoto, e a distanza regolare inserite dei fili lungo i quattro lati per creare una griglia. Mettete questo telaio davanti al paesaggio o ad una scena urbana, riportate i punti della griglia indicata dal telaio su un foglio di carta (che ha la stessa griglia). Avrete riportato "un modo di vedere" (quello attraverso il telaio) a una rappresentazione. Se avete una mente matematica vi potete chiedere: "Posso sistematizzare l'esperimento e trovare le regole costanti e riapplicabili che creano questa rappresentazione bidimensionale?"



Scoprirò che prima di tutto devo rimanere immobile e guardare sempre da un occhio solo; poi capirò che la distanza dal telaio a cui mi pongo deve essere giusta per quello che intendo osservare (né troppo lontana, né troppo vicina) e anche che il soggetto deve rimanere immobile. Confrontando quanto è inquadrato con quello che rimane all'esterno del telaio, scoprirò che gli oggetti che sono fuori dal telaio sono progressivamente distorti. Il telaio in altre parole è un "quadro" che serve a delimitare "il campo" delle linee corrette e ad escludere quelle deformate che pur vedo con la coda dell'occhio.

Posti questi picchetti, scopro che gli oggetti convergono sempre all'altezza del mio occhio in infiniti punti che dipendono dalle giaciture degli stessi oggetti rispetto al mio telaio. Infine, ed è la scoperta chiave e quella più sconvolgente, capisco finalmente che vi è un rapporto biunivoco tra le deformazioni degli oggetti nel piano del telaio e le loro dimensioni reali!!. Attraverso dei sistemi di ribaltamento trovo "dei punti di misura" in cui posso riportare l'effettiva dimensione di ciascun oggetto e poi discernere la deformazione nello spazio dell'oggetto rispetto alla sua giacitura e distanza dal piano del telaio. E posso soprattutto andare avanti e indietro: dalla deformazione percettiva alla dimensione reale e viceversa. Ho inventato la prospettiva!

Vado al battistero di Firenze e lo rendo in prospettiva e ci disegno una formella per la nuova porta. E ne parlo con quel genio, che ammirazione che ne ho!, di Masaccio. E gliela racconto la mia invenzione. E lui ne fa un'interpretazione così bella e così struggente che rimane insuperata! E proprio Masaccio mi fa capire che devo creare una nuova architettura per dare senso a questa mia prospettiva. Lui la inventa per la prima volta dietro la crocifissione a Santa Maria Novella. E io capisco con lui e grazie a lui che è l'architettura stessa che deve diventare diversa. Deve modificarsi completamente per assumere un senso nuovo in rapporto alla mia invenzione. Gli elementi della costruzione devono diventare modulari, riconoscibili, ritmici per potere stare bene in quella mia griglia. Devo eliminare quell'iper decorativismo, quel rincorrersi plastico e deformato dei gotici; semmai sono gli ordini classici degli antichi con tutti quegli stili ben riconoscibili e normati che sono ideali da prospettivizzare. Ed è bene anche avere un sistema di proporzioni, di ritmi e di simmetrie che mi possano rafforzare l'effetto della prospettiva. Costruisco la Chiesa di San Lorenzo e il portico degli Innocenti all'Ospedale: ecco finalmente un'architettura pensata già al nascere per essere prospettizzata, per essere vista attraverso il mio telaio!

Le persone non ci riescono a credere a questa rivoluzione e la mia città diventa il centro del mondo. Qui, solo, dal nostro centro -fermo, perfetto, ritmato, proporzionato, misurato- possiamo veramente guardare con certezza al mondo esterno.

Il mondo visto dal telaio di Brunelleschi o di Paolo o di Antonello o di Dürer è uno spazio determinato dalla presenza del telaio. È un mondo visto attraverso il telaio con le regole che abbiamo descritto. L'occhio è fermo e domina, i punti convergono, non vi sono deformazioni e aberrazioni. È lo spazio della prima architettura e pittura rinascimentale. E uno dice: "Bene e allora"? E allora quello strumento (il telaio) e quella costruzione mentale (la prospettiva), e insieme tutta la nuovissima poetica (umanistica) di pensare all'uomo nel mondo sono avviluppati uno sull'altro come se fossero un nastro di Moebius. Dice Valery con le parole di Socrate che per la natura non vi è differenza tra una azione e il modo in cui essa si sviluppa "quasi che ad una stessa sostanza appartengano la strada presa, la cosa che per quella strada si mette, il tempo impiegato a percorrerla. Se un uomo agita il braccio si concepisce un rapporto puramente possibile. Ma, dal punto di vista della natura, quel gesto del braccio e il gesto stesso non si possono separare" (devo la citazione dal famoso Eupalino o l'architetto al mio amico Antonello Marotta). Per cui l'esito dell'intreccio tra strumento, visione, pensiero e filosofia sprigionato dalla prospettiva è una rivoluzione "estetica" che è alla base dell'Umanesimo. Strumento e rappresentazione, storia e pensiero "non si possono separare", stanno insieme influenzandosi e intrecciandosi l'uno con l'altro in una maniera fortissima e in realtà inestricabile.

Caravaggio come abbiamo visto rompe tutto questo. La base della sua visione è anti rinascimentale. In vario modo si è detto che con Caravaggio nasce una visione "moderna". Ma in che senso moderna? Che cosa si intende? Nel "Motivo di Caravaggio", a cui rimandiamo, tra l'altro, abbiamo scritto.

"È finito il tempo come luce divina, come propensione alla serenità, come spazio e tempo assoluto. Michelangelo sa che il tempo moderno che comincia forse proprio con lui è quello dell'attimo, dell'istante, del dramma e del bivio... Caravaggio è nato per distruggere la pittura e distrugge il telaio prospettico, o meglio l'idea stessa di finestra-cornice e colloca la sua pittura tra la profondità negata dello spazio prospettico 'dentro' il quadro e una nuova spazialità invocata fuori del quadro."

Con Caravaggio è come se il vetro su cui è posta la griglia ordinatrice dello spazio prospettico si sia infranto. Lo strumento di Caravaggio non è infatti più la griglia del telaio-cornice, ma qualcosa di completamente diverso. Vediamo di cosa si tratta.



Abbandonate il vecchio telaio prospettico anzi, buttatelo senza pietà, distruggetelo. Prendete invece un grande specchio piano. Invece di dipingere sul disegno che avrei fatto con la griglia del mio telaio, dipingerò il soggetto in tempo reale, ma non al vero ma bensì come si proietta nello specchio!

Con la rifrazione piana sullo specchio, rispetto alla realtà diretta, ho un bel vantaggio. Posso creare, come fossi io stesso un regista, le pose, gli atteggiamenti e le luci del mio soggetto e vederlo nella raffigurazione planare dello specchio quasi fosse un quadro già pronto, già realizzato. Questa creazione scenica e coreografica è un bel po' del mio lavoro d'invenzione e da essa dipende molto del successo finale. Una volta decisa la scena la devo naturalmente dipingere sulla tela. Potrei certo riportare tutto per punti, con il sistema della griglia, ma è lunghissimo e forse anche errato concettualmente. Voglio eliminarlo questo maledetto disegno. Mi viene in mente di usare il compasso che il mio amico architetto Onorio Longhi ha. Con un compasso, bello grande, misuro il soggetto e le sue parti, ma appunto sullo specchio! Poi invento un metodo rapido e veloce, che si basa sull'uso di "due compassi" grandi. Con un compasso, il mio assistente misura sullo specchio la distanza dal punto A a quello B e, io con l'altro compasso, ritaro la dimensione e la riporto sulla tela. Posso così riportare rapidamente l'immagine dello specchio sulla tela e dipingere me medesimo, oppure Mario travestito da Bacco oppure i giocatori o ancora Mario e la zingara o Margherita come fosse Maddalena e in questo caso inclino lo specchio stesso per vedere che succede al quadro con questa strana deformazione.

Il "corrucciato, estatico e regale" Michelangelo Merisi (come lo definì l'altrettanto corrucciato Luigi Moretti su "Spazio" n. 5, 1951), il giovane venticinquenne che dà spallate violente alla vita, che vuole arrivare con la cultura, con l'estro, con il talento, con la tecnica (e con la spada) ai vertici della società abbandonando la povertà in cui viveva sino a essere ricoverato moribondo nell'ospizio per poveri, adotta questa tecnica dello specchio. L'invenzione, naturalmente, è solo uno dei fili che determinano la sua estetica. Non è lo specchio di per sé, come non è il telaio di per sé che determinano alcunché. Ma il guardare nello specchio modifica tutto perché diversissimo è guardare nello specchio rispetto al guardare attraverso il telaio. Guardare lo specchio vuol dire buttare a mare l'immobilità statica del telaio, rifiutare di pensare ad un mondo "al di là della finestra" separato da noi, non elucubrare idealizzate scene su carta, ma realizzarle al vero, come se si fosse un regista. Essere nello specchio vuol dire anche essere in presa diretta, dare un senso nuovissimo al colore che deve essere protagonista, avere una luce d'insieme magica e omogenea. Lo specchio implica ancora che la pittura parli della "rappresentazione della realtà", non della realtà stessa, in un atteggiamento appunto autoriflessivo. Che è spesso associato all'emergere, appunto, di una condizione nuova "moderna".

Ma non basta, sta per accadere un altro spaventoso salto.



Un giorno uno degli intellettuali top della fine del Cinquecento si imbatte in uno dei quadri riflessi. Il mio cardinale sa tutto, consosce tutto. È ambasciatore dal Papa del Granduca dei Medici, palazzo Madama è la sua dimora ed è amico di molti filosofi, musicisti, scienziati. Ha il libro di Giovanni Battista della Porta (1584, Magiae naturalis sive de miraculis rerum naturalium). Il cardinale Del Monte mi prende in casa, mi ospita, mi paga in cambio dei miei quadri. E vuole, un poco come il Duca di Urbino più di un secolo prima, creare uno studiolo del sapere e della scienza. Insieme ragioniamo, non solo sullo specchio e sul suo uso, ma su uno strano fenomeno. E cioè sulla "camera oscura", che vuol dire che se faccio un forellino in una stanza buia da quel forellino passa un raggio di luce che "proietta" l'esterno su una parte della stanza come se lì, sul muro della camera buia, ci fosse uno specchio, anche se lo specchio non c'è.

La cosa mi affascina perché immagino subito che se mettessi la tela in quel punto magari potrei tracciare direttamente e forse dipingere a ricalco e non usare più il sistema dei compassi! Del Monte mi fa conoscere anche il suo amico fiorentino Galileo che oltre ad aver fatto la prodigiosa invenzione del cannocchiale, che il mio cardinale possiede tra i pochissimi, è un vero esperto di lenti. La lente si basa sulle proprietà della curvatura e queste concavità e convessità, invece di riflettere e basta come fa uno specchio normale, fanno "convergere i raggi" e naturalmente ingrandiscono o impiccoliscono come appunto nel cannocchiale. Ora scopro una cosa prodigiosa: se uso uno specchio curvo e non uno piano come facevo prima, l'immagine non solo viene ovviamente ingrandita o impicciolita, ma essa viene ad essere proiettata sulla parete, ricreata sulla parete proprio perché i raggi convergono in vece di disperdersi all'infinito come in uno specchio piano!! A questo punto se ci metto un quadro potrei veramente dipingere lì, ricalcare quella proiezione!

A poco a poco capisco come fare, come creare quella "camera oscura" che un mio biografo con occhio alla scienza (era anche un medico) praticamente già descrisse. Il soggetto deve essere fortissimamente illuminato e ben contrastato. Rifrango il soggetto su uno specchio piano (mi può essere sempre utile per operare anche con la tecnica del compasso) ma soprattutto rifletto l'immagine dello specchio piano su uno schermo curvo più piccolo. Faccio convergere questa rifrazione dello specchio curvo su una lente che mi permette una messa a fuoco precisa e la proietto sulla mia tela dentro la camera oscura! Qui posso dipingere, marcando i contorni del soggetto per fare in modo di avere dei punti di controllo che mi consentano di riaverlo esattamente in posizione dopo una pausa. Posso dipingere poi con dei rapidi abbozzi in biacca, per poi passare al colore.

Sono anni pericolosi i miei. Devo tenere nascosto questo sistema sia perché i gelosissimi colleghi prima o poi se ne approfitteranno, sia soprattutto perché magari mi accuserebbero di stregoneria e rischio di finire come Giordano Bruno.



Ecco che attraverso questa invenzione nasce il Caravaggio maturo, quello che rivoluziona la visione. Tutto quello che abbiamo detto nel Motivo di Caravaggio ritorna. Innanzitutto la necessità della fortissima luce e l'altrettanto profonda ombra, e poi l'attimo, il bilico, la rottura del telaio. Ma attenzione: se al guardare attraverso lo strumento è sempre da porre attenzione grande, ingenuità enorme sarebbe non capire che lo strumento è solo uno delle stringhe che crea la nuova visione. Certo Caravaggio sostituisce all'immobile telaio e alla luce uniforme, l'attimo abbacinate del flash, crea un proscenio e fa saltare dentro e fuori la sua rappresentazione i suoi personaggi. Tutto è in bilico nella sua vita, nei suoi quadri, nella sua spazialità anche perché "materialmente" tutto il sistema della camera oscura si trova di fatto in equilibrio in un solo punto, in un solo attimo, e in un nulla si rompe quell'equilibrio per finire nel nulla. Ma gli attimi che Caravaggio crea sono i primi del mondo nuovo: gli uomini parlano di sé, del proprio essere veri, del loro essere anche poveri, ma di ambire ad un loro pezzo di esistenza, riflessi in una rappresentazione rimbalzata in una camera oscura.



Sono apparizioni istantanee della vita stessa nel grande buio dell'universo gli ultimi struggenti dipinti. E il telaio che prima delimitava, racchiudeva, circostanziava il bordo della tela, adesso nei suoi quadri non ha più confini ed è, come disse ancora Longhi, senza "rive certe". Nella grande oscurità dell'universo gli attimi di vita, le proiezioni degli esseri illuminano per un attimo il buio. Ma è un attimo immortale proprio perché mortale, ecco cosa dice Caravaggio, quella luce sulle figure ormai emaciate nel buio è l'attimo dell'esistenza.

Antonino Saggio

[27apr2007]

per approfondire

Ci sono delle prove certe dell'uso dello specchio in Caravaggio. Nell'inventario degli oggetti abbandonati nel suo studio romano, oltre all'apparentemente inspiegabile danno di sfondare il tetto, tra le poche cose lasciate vi è "un specchio grande (...) e un scudo a specchio" (il documento originale è citato da Sandro Corradini, Caravaggio. Materiali per un processo, Alma, Roma 1993 ed è riportato in Robb 2001 p. 288) Lo specchio curvo è dipinto dal Caravaggio nel quadro Santa Marta converte Maddalena (1597, Detroit Institute of Arts).

L'attentissimo Peter Robb scrive diverse pagine (Robb 2001, pp. 287-298) in cui giustamente ipotizza che quegli specchi trovati nello studio fossero usati professionalmente. Robb lascia intuire un rapporto fondamentale con questo strumento, ma come esattamente non dice e glissa quasi completamente sulla camera oscura. Longhi nel 1952 aveva, come abbiamo detto, già elaborato molto sull'uso dello specchio e aveva fatto appunto un'ipotesi veloce sulla conoscenza anche della camera oscura.

Torniamo ad un fatto certo e cioè che Caravaggio, fermato in una notte dalla polizia viene trovato nei pressi di Piazza Navona con due compassi, probabilmente grandi visto che destarono l'allarme delle guardie. "Portava la spada senza licentia, et un paro de compassi" (documento in Fiora Bellini, Tre documenti per Michelangelo da Caravaggio, "Prospettiva", n. 65, 1992, citato in Robb 2001, p. 779). È questo che state leggendo il primo testo (a quanto mi risulta) che associ i compassi all'uso dello specchio in pittura e che propone un'ipotesi sul perché dell'uso di "due" compassi.

Un'altra cosa certa è che il protettore di Caravaggio, il cardinale Francesco Maria Borbone Del Monte, si occupava di proiezioni e lenti e specchi. Conosceva Galileo e aveva tutti i dettagli sulle lenti e uno dei pochi cannocchiali realizzati. Un'altra cosa certa è che Caravaggio "non disegnava", ma incideva sulla tela delle forti linee di bordo, dei marker o linee di controllo, e poi procedeva rapidamente con una specie di pre-pittura fatta con biacca sullo sfondo scuro (è una tecnica ben nota in cui molti studiosi si sono soffermati; con particolare continuità Mina Gregori, Michelangelo Merisi da Caravaggio, catalogo della mostra, a Roma Palazzo Ruspoli, Electa, Milano 1991. Un utile compendio dei diversi aspetti tecnici è in Debora Bincoletto, "La tecnica di esecuzione di Caravaggio nel periodo romano") Lo si capisce dalle radiografie, ma alcuni di questi marcatori sono visibili a anche occhio nudo. Aumentiamo ora gli indizi. Il pre-scienziato Giacomo della Porta aveva scritto un trattato in cui spiegava i concetti della Camera oscura ed è pressoché certo che l'erudito Del Monte ne fosse a conoscenza e ne avesse parlato al suo pittore.

A questo punto, ma siamo nel 2001, entra in scena un altro pittore che scrive un libro fantastico e meraviglioso. Si chiama David Hockney e il libro si intitola The secret knowledge. Cosa scrive e illustra Hockney?. Una cosa semplicissima in realtà, ma che equivale a dire "il Re è Nudo". Hockney scandalizzando generazioni di storici dell'arte che rarissimamente si occupano di strumenti (ma non Longhi!) dice, in estrema sintesi, quanto segue: che a partire all'incirca dal 1425 alcuni artisti hanno capito come utilizzare sistemi proiettivi per dipingere. Il concetto è semplice. E basta provare come ho descritto rapidamente anche nel testo. Prendete uno specchio curvo (indi che ha una focale che fa convergere i raggi invece di mandarli paralleli), io ho preso quello che Caterina usa per truccarsi e che ingrandisce. Vedrete che se questo specchio rifrange un'immagine molto illuminata, potete proiettare l'immagine su un muro. Sarà di certo sfocata ma, l'immagine è effettivamente proiettata! A questo punto, spiega Hockney, se si sviluppa bene la tecnica (grande luminosità fuori e soltanto un forellino in una stanza buia e poi anche l'uso di una lente per la messa a fuoco e di uno specchio a 45 gradi per il ribaltamento) si ha la camera oscura. Indi, sostiene Hockney vi è tutto uno sviluppo di dipinti che in qualche modo (ma lui è dettagliatissimo) usano questa capacità ottica per creare dei disegni e dei quadri. All'ovvia domanda "ma come mai questa tecnica è tenuta cosi segreta?". Risponde, come accennavo nel testo, con il pericolo gravissimo di persecuzioni e con il fatto che in seguito, allentate le morse dell'inquisizione, si vedono effettivamente raffigurate negli autoritratti degli artisti le camere oscure tra i loro strumenti.

Tornando al Caravaggio, gli stessi contemporanei, praticamente descrivono la sua camera oscura. Ecco cosa scriveva Giacomo Mancini a pochi anni dalla morte del pittore.

"Proprio di questa schola è di lumeggiar con lume unito che vengo d'alto senza riflessi, come sarebbe in una stanza da una finestra con la pariete colorite di negro, che così, avendo i chiari e le ombre molto chiare e molto oscure, vengono a dar rilievo alla pittura, ma però con modo non naturale, né fatto, né pensato da altro secolo o pittori più antichi, come Raffello, Titano, Correggio et altri. Questa schola in questo modo d'operare è molto osservante del vero, che sempre lo tien davanti mentre ch'opera..."
Giulio Mancini, 1617-1621 ca. (in molte fonti tra l'altro in Robb 2001)

A queste osservazioni vorrei aggiungere alcuni altri elementi che credo nuovi e che mi sembra, rimanessero al lettore dei dubbi, supportano ancora di più la convinzione dell'uso dello specchio e della camera oscura in Caravaggio.

A. Non si conoscono dipinti di Caravaggio prima dell'età di circa 23 anni. Un'età già avanzata per un pittore, in particolare per quel tempo. Uno dei primo noti "Ragazzo che sbuccia un frutto" del 1592 per alcuni versi sembra proprio come riflesso in un vetro come è quasi certamente quello subito dopo, il famoso "Bacchino ammalato" ormai unanimemente considerato un autoritratto e per forza di cose specchiato. Per non parlare del ritratto di Mario come "Bacco" che tiene il calice con la sinistra. Perché non si conoscono quadri di Caravaggio prima di questa data? Una possibile risposta è che forse la sua tecnica fosse così mutata dall'introduzione nel suo lavoro dell'uso dello specchio da rendere praticamente irriconoscibili i dipinti precedenti.

B. Come mai Caravaggio non dipinge con la tecnica della a-fresco, cosa invece comunissima a quasi tutti i pittori del tempo? La risposta a questo ordine di ragionamento è ovvia. L'unico quadro che si trova su una volta è in realtà un olio ed è realizzato per il Casino dell'Aurora a Roma, nel gabinetto alchemico del Cardinale Del Monte. L'ardimentoso scorcio di Giove Nettuno e Plutone, sembrano essere tre autoritratti a figura intera realizzati con uno specchio posto sul pavimento.

C. Alcuni dei pochissimi ritratti certi del Caravaggio (per esempio quello del monsignor Maffeo Barberini) appaiono nel viso molto poco caravaggeschi. L'ipotesi è che Caravaggio quando doveva ritrarre un personaggio importante non potesse rivelare tutto lo spettro della sue tecniche.

D. All'opposto, il fatto di ricorrere spessissimo ad un gruppo ristretto di amici come modelli (e a volte dello stesso modello per più personaggi nello stesso dipinto) è spiegabile anche per la presenza della camera oscura. L'ovvia ragione è quella di non diffondere oltre lo strettamente necessario una tecnica sotto molti punti di vista pericolosa.

E. Nella fase tarda della sua pittura, quando spesso dipingeva nascosto e protetto in conventi e monasteri, lo stile cambia e si scioglie sia per ragioni espressive sia forse per la mancanza della camera.

F. Infine, come detto, il fatto che a Caravaggio di notte, nei pressi di Piazza Navona fossero stati trovati dei compassi è secondo noi da legare alle sue tecniche pittoriche. Abbiamo ipotizzato anche nel testo che Caravaggio usasse i compassi per prendere le distanze tra l'immagine riflessa nello specchio e la raffigurazione pittorica, forse aiutato da un'assistente (che ne teneva uno misurando l'immagine sullo specchio e dava al pittore la distanza che il pittore tarava sul proprio compasso e poi riportava sulla tela).

Voglio concludere queste note bibliografiche citando integralmente il passo del 1952 di Longhi che fa venire i brividi per la forza della intuizione.

"Cosi egli venne a scoprire -e fu quasi scoperta scientifica, fu in ogni caso un'esperienza- la sua personale, empirica camera ottica, cio che meno sorprende ai tempi di Del Porta e, ormai, di Galileo. La sua ostinata deferenza al vero poté confermarlo nell'ingenua credenza che fosse l'occhio della camera a guardar lui e a suggerirgli tutto. Molte volte dovette incantarsi di fronte a quella magia naturale, e ciò che più lo sorprese fu di accorgersi che allo specchio non è punto necessaria la figura umana, se uscita questa dal suo campo, essa seguita a specchiare il pavimento inclinato, l'ombra sul muro, il nastro caduto a terra. Che potesse conseguire a questa risoluzione di procedere per specchiatura diretta della realtà, non è difficile intendere. Ne conseguiva la tabula rasa del costume pittorico del tempo che, preparandosi gli argomenti in carta e matita e per via di erudizione storico-mitologica e di astrazione stilizzante, aveva elaborato una partizione in classi del rappresentabile, che, trasposta socialmente, non poteva idoleggiarne che i gradini più alti. Ma il Caravaggio si rivolgeva alla vitra interna e senza classi, ai sentimenti semplici e persino all'aspetto feriale degli oggetti, delle cose che valgono, nello specchio, al pari degli uomini, delle figure."

La chiave potentissima della frase di Longhi è l'idea che lo specchio continui a riflettere anche senza di noi! Il telaio senza l'occhio umano non vede: traguarda e incornicia, ma non crea immagine, lo specchio si!, Lo specchio specchia comunque. Allo specchio "non è punto necessaria la figura umana, se uscita questa dal suo campo, essa seguita a specchiare il pavimento inclinato, l'ombra sul muro, il nastro caduto a terra...". Questa scissione, questo portare al centro l'autonomia dell'oggetto e della visione, questa nascita oggettiva, analitica, riflessiva della visione come altro da sé e altro dall'uomo stesso, è uno degli aspetti di quella che poi si chiamerà modernità e si afferma in tutta la sua forza molti secoli dopo. Noi, oggi, siamo ancora e di molto oltre. Il nostro specchio è ritornato ad essere soggettivo, ipersoggettivo e non meccanicamente oggettivo, il nostro tempo è doppio e triplo e non strappato per un attimo di flash al buio dell'universo, i nostri fotogrammi non sono nitidi ma continuamente mobili e intimamente sfocati e vibrati. Ma l'immensità del Caravaggio supera e annulla le differenze e si lancia ben oltre tutte queste contingenze perché è nell'immortalità stessa del pensiero umano.

abbreviazioni

Longhi 1952 – Roberto Longhi, Caravaggio, Editori Riuniti, Roma 1952.
Robb 2001 - Peter Robb, M L'enigma Caravaggio, Oscar Mondadori, Milano 2001 (prima edizione 1998).
Marini 2004 - Maurizio Marini, Caravaggio. Pictor praestantissimus, Newton Compton, Roma 2004.
Hockney 2006 – David Hockney, Secret Knowledge Rediscovering the lost techniques of the Old Masters, Thames&Hudson, London 2006 (prima edizione 2001).

legenda dipinti citati in dettaglio

Caravaggio, Ragazzo che sbuccia un merangolo (1592-1594), 75,5x64,4. Galleria privata, Roma.
Caravaggio, Bacchino ammalato (1592-1593), 67x53. Galleria Borghese Roma.
Caravaggio, Bacco (1593), 85x95x53 Galleria degli Uffizi Firenze.
Caravaggio, Santa Marta converte Maddalena (1597), 100x134,5 Detroit Institute of Arts (qui dettaglio dello specchio e intero).
Caravaggio, Maddalena (1593-1594), 122,5x98,5, Galleria Doria Pamphily, Roma.
Caravaggio, Giove, Nettuno e Plutone (1597), 316x152, Casino dell'Aurora a Villa del Monte (oggi in villa Boncompagni Ludovisi) Roma.
Caravaggio, Ritratto di Monsignor Maffeo Barberini (1598-1599), 124x90, Collezione privata Firenze.
Caravaggio, San Giovanni disteso (1610), 106x179,5, Collezione privata, Monaco di Baviera (qui intero).
Caravaggio, Resurrezione di Lazzaro (1608-1609), 380x275, Messina museo regionale (qui intero)

> CARAVAGGIO. UNA MOSTRA IMPOSSIBILE

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