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FORUM: TORINO 2006

Olimpiadi piccole piccole

Carlo Ratti



Pubblichiamo l'intervento apparso il 2 giugno scorso sulle pagine dell'inserto Domenica de Il Sole 24 ORE. Si ringrazia il quotidiano per la gentile concessione.




A volte -come a Monaco di Baviera nel 1972- sono state l'occasione per rilanciare una città e mettere in atto radicali trasformazioni urbane. In altri casi -come a Berlino nel 1936- sono state un pretesto per assecondare la retorica monumentale di un despota. Altre volte ancora -come a Calgary nel 1988- hanno causato un notevole degrado ambientale, lasciando un retaggio di opere difficilmente riconvertibili. In tutti i casi, però, a partire dal secondo dopoguerra, le Olimpiadi hanno modificato pesantemente l'assetto urbano di una città, segnandone lo sviluppo per molti anni. Che cosa succederà a Torino, destinata ad ospitare i Giochi invernali del 2006?

I numeri ci sono. Spiega Valentino Castellani, già sindaco della città e oggi presidente del Comitato organizzatore delle Olimpiadi (TOROC): "Si tratta di un miliardo di Euro di finanziamenti pubblici (pari a circa duemila miliardi di lire), a cui si devono aggiungere tutti gli investimenti privati e quelli per le grandi infrastrutture: interventi che si sarebbero realizzati comunque, ma per i quali le Olimpiadi agiscono da catalizzatore, accelerandone il completamento. Si tratta delle più grandi trasformazioni urbane di questo secolo a Torino".

L'epicentro è il Lingotto, la storica fabbrica Fiat recuperata alla città dall'architetto Renzo Piano e oggi centro multifunzionale e fieristico di successo. Nelle aree adiacenti, in un raggio di due chilometri, sono stati distribuiti tutti gli impianti sportivi cittadini, tra cui due strutture di grande importanza: lo stadio per le gare di velocità su ghiaccio (OVAL), che comporterà la costruzione di un padiglione record di circa 100 per 200 metri senza pilastri nel mezzo, e il palaghiaccio per l'Hockey, che prevede il recupero del vecchio stadio comunale oggi in disuso. Oltre a questi impianti sportivi, facilmente accessibili grazie alla loro compatta dislocazione spaziale, ci saranno poi i villaggi olimpici, distribuiti su tutta l'area cittadina in vista della loro successiva riconversione (per esempio come collegi universitari nelle aree adiacenti agli atenei cittadini). In tutto 7500 posti letto, di cui 2500 nell'area degli ex-Mercati Generali: un sito complesso, quest'ultimo, con alcune preesistenze risalenti agli anni Trenta soggette a vincoli architettonici, che richiedono pertanto un intervento progettuale di qualità.

Chi se ne occuperà? Il nome dell'architetto non è ancora noto. Si procederà agli affidamenti degli incarichi nelle prossime settimane. È lecito allora domandarsi: chi progetterà i grandi interventi urbani di Torino? Come verrà garantita la qualita architettonica delle opere olimpiche? E da chi?

Carlo Olmo, influente storico dell'architettura, non nasconde qualche perplessità sul fatto che la città sia preparata a gestire queste grandi trasformazioni urbane: "L'olimpiade può portare a galla anche la ridotta cultura dei diversi attori coinvolti, il loro essere oggi inadeguati a questa scommessa" - scrive nell'introduzione a un saggio che esce in queste settimane da Carocci, dal titolo stimolante "Olimpiadi e grandi eventi: verso Torino 2006 - come una città puo vincere o perdere le Olimpiadi" (a cura di Luigi Bobbio e Chito Guala). Riccardo Bedrone, presidente dell'Ordine degli architetti di Torino, è più diretto: "La città si sta muovendo in modo molto provinciale. Noi, come Ordine, ci siamo battuti a lungo perché si facessero concorsi di progettazione: essi sono il miglior modo per garantire la qualità delle opere olimpiche, stimolando il confronto architettonico a livello internazionale e favorendo l'ascesa di giovani progettisti. Invece, tranne che in un caso, quello del recupero dello stadio comunale, si sta procedendo con gare su curriculum". Queste gare, com'è noto, non assicurano la qualità architettonica delle opere: non viene scelto un singolo progetto per il suo valore, ma si seleziona un professionista in base a parametri discutibili quali il fatturato annuo, la gamma di opere simili già realizzate o addirittura il numero di computer a disposizione. Ancora Bedrone: "Sono appena tornato da Berlino. Le grandi trasformazioni urbane di Torino avrebbero potuto essere l'equivalente dell'Internationale Bauausstellung (IBA) del 1987, con la partecipazione dei migliori talenti dell'architettura. La città sta sprecando un'occasione unica, che non si ripeterà mai più".

Com'è possibile? Non giova chiederne conto all'ingegner Arcidiacono, che guida l'Agenzia Torino 2006, ente pubblico preposto alla progettazione e realizzazione di tutte le opere olimpiche. Per tutta risposta si ottiene un laconico: "Non possiamo fare concorsi per mancanza di tempo". Ma sono gli stessi dati forniti dalla sua pagina web -dove un contatore ansiogeno ci ricorda in continuazione il numero di giorni che ci separano dal fatidico 10 febbraio 2006, data di apertura dei Giochi- a contraddirlo. Il concorso per lo stadio è stato lanciato nello scorso gennaio e si concluderà a giugno: in tutto 6 mesi, alla fine dei quali l'Agenzia avrà in mano un progetto di massima. Nel caso delle gare su curriculum già concluse, invece, la scelta di un progettista è durata 4-5 mesi, a cui se ne sono dovuti aggiungere altri 2-3 per la stesura del progetto preliminare.

Al di là dei tempi più lunghi, le prime gare di progettazione, in dirittura d'arrivo in queste settimane, sembrano aver avuto esiti deludenti: hanno vinto per lo più gruppi eterogenei, con una forte presenza di professionisti locali, di cui pochi hanno all'attivo pubblicazioni su riviste internazionali di prestigio. C'è qualche architetto straniero che sia stato incaricato a tutt'oggi per le opere olimpiche a Torino? - viene spontaneo chiedersi pensando al caso di Barcellona, che per le Olimpiadi ha saputo chiamare a raccolta i migliori talenti dell'architettura nazionale e internazionale. Ma di fronte a questa domanda l'ingegner Arcidiacono, dopo un po' di esitazione, riesce appena ad articolare un cognome altoatesino. Un simile campanilismo si riscontra anche nel caso dell'unico concorso di progettazione bandito finora, quello per il recupero dello Stadio comunale: un concorso sedicente internazionale, ma che adotta come lingua ufficiale soltanto l'italiano (verrebbe da chiedersi: "Perché non il piemontese?" - ma qualcuno potrebbe prenderlo come un suggerimento...) e che prevede una giuria rigorosamente nazionale, anzi all'ottanta per cento torinese (l'unico straniero ha recentemente dato le dimissioni). 

Perché si sta procedendo in questo modo? Mario Viano, assessore all'urbanistica in Comune, pare lasciar trasparire qualche segno di imbarazzo. Fa riferimento a forti resistenze verso i concorsi di progettazione all'interno delle strutture tecniche. Il rapporto "Voglia di Cambiare" del Comitato Giorgio Rota, uscito in queste settimane da Guerini e Associati, è più esplicito: una possibile "interpretazione è che alcune componenti del Toroc e dell'Agenzia (più orientate al businness) stiano cercando deliberatamente di dilazionare i tempi, per poter poi chiedere procedure d'urgenza e leggi speciali (tipo Italia 90) e avere maggiore libertà nella gestione di appalti e cantieri". "Se cosi fosse sarebbe un disastro - commenta Paolo Verri, direttore dell'Associazione Torino Internazionale, che si contrappone alla Torino provinciale sopra descritta - Siamo perfettamente consapevoli dell'importanza che l'architettura di qualità può avere nel cambiare in maniera decisiva l'immagine di una città in profonda trasformazione. L'anno scorso abbiamo promosso un ciclo di incontri con amministratori di capitali regionali europee quali Stoccolma, Monaco, Glasgow e Bilbao. In tutti i casi il ruolo del progetto architettonico è apparso fondamentale. Il bilancio di operazioni come il museo Guggenheim, anche economicamente, è ampiamente positivo".

C'è ancora tempo per lanciare concorsi di architettura e fare architettura di qualità a Torino? Risponde Bedrone: "Come scusa le diranno di no. Ma io credo proprio di si'. Ci sarebbe bisogno soltanto di una forte volontà politica." Il Sindaco Chiamparino che cosa ne pensa?

Carlo Ratti
[02jun2002]

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