Eventi

ARCHITETTURA E POSTMODERNITÀ
a cura di Patrizia Mello

[ABSTRACTS]

STEFANO BOERI
Moltitudine

[19feb2001]
> HOME
> BIOGRAFIE
1. Può apparire paradossale, ma nel momento in cui in Europa la città e lo spazio abitato sono prepotentemente tornati al centro dell'attenzione dei mass media, suscitando dibattiti sulla coabitazione etnica e religiosa, sulla sicurezza delle periferie, sulle nuove cattedrali del tempo libero, l'architettura europea ha toccato forse il punto più estremo di marginalità. La maggior parte delle riviste europee continua a disinteressarsi delle dinamiche concrete di costruzione del territorio europeo, alla sua evoluzione per sussulti individuali. Anche perché centri commerciali, cinema multisala, capannoni, autolavaggi, infrastrutture viarie, villette a schiera, palazzine dilagano nello spazio urbano, ma restano assenti in quello delle pagine specializzate.

Eppure non è difficile intercettare il nuovo. Lo incontriamo in una qualsiasi foto satellitare dell'Europa, osservando la nebulosa di costruzioni che ha trasfigurato il profilo delle nostre città. O guardando su una carta i sommovimenti che ne scuotono la geografia, incuranti dei confini statali e delle "radure" naturali. L'Europa urbana si è in questi ultimi decenni enormemente dilatata. Mentre attorno alle grandi città si formavano immense masse pulviscolari, nel suo corpo nascevano conurbazioni reticolari che ricalcavano i distretti produttivi e le zone più dinamiche. Configurazioni instabili, dal profilo incerto, perché come accade per i fenomeni tellurici lo spazio europeo è scosso da sommovimenti composti da una miriade di piccoli spostamenti, piuttosto che da grandi correnti omogenee.

2. La moltitudine, l'aumento esponenziale degli oggetti edilizi e dei loro autori, è la forma che il nuovo assume nella nostra esperienza quotidiana. La percepiamo come un brusio quando attraversiamo quel pulviscolo di piccoli edifici solitari e ammassati che costituisce il DNA di quella città sempre più "larga" e diffusa nel territorio. Ma il "nuovo" non compare solo dove lo spazio si dirada, nelle periferie, nella campagna urbanizzata. Scorre e si infiltra anche nelle zone centrali e negli isolati della città ottocentesca; disintegra antiche fortezze monofunzionali (i macelli, gli ortomercati, le grandi industrie), parcellizza lo spazio pubblico inondandolo con un commercio molecolare e mobile, gonfia a dismisura gli interni della città (abitazioni, showroom, contenitori ludici) mettendoli tra loro in connessione e trasformandoli in set televisivi. La moltitudine riscrive e suddivide lo spazio urbano europeo con una fitta punteggiatura, ma al contempo traccia una fittissima rete di relazioni; relazioni a distanza, intessute dai tragitti dei suoi cittadini sempre più mobili eppure sempre radicati nel luogo intimo della famiglia. La moltitudine spezzetta e insieme unisce, suddivide ed estende, svelando una società nella quale è enormemente aumentato il numero dei soggetti in grado di investire nello spazio e di costituirvi una propria nicchia.

3. Eppure la moltitudine, come ci spiega A.Bonomi, non è caos. Uno sguardo da un altezza intermedia, quella di un piccolo aereo da turismo, ci mostra un arcipelago di recinti, isole, rette, areali, rizomi. Organismi spesso perfettamente funzionanti al loro interno, ma incuranti di dialogare con i loro vicini. Un numero ridotto di figure spaziali introverse e ripetute all'infinito, specializzate anche se ibride: la super-strada e i suoi svincoli, la zona produttiva e il suo recinto, il quartiere di villette e il campo sportivo, la strada-mercato e i suoi retri, il contenitore commerciale e il suo parcheggio. I sommovimenti che scuotono lo spazio europeo sono la somma di queste razionalità settoriali, che a loro volta condensano la moltitudine dei sussulti individuali che muove la città europea. Un arcipelago di sottosistemi decisionali, protagonisti di una competizione orizzontale che solo uno sguardo distratto continua a leggere secondo un modello gerarchico e piramidale. A ben guardare, porti, aeroporti, stazioni, zone industriali, distretti ludici, quartieri protetti, parchi a tema, sono gli attori di uno stesso gioco; ciascuno con le sue ragioni e le sue idiosincrasie, ciascuno con i suoi sogni di privatizzazione del territorio. Una società poliarchica, per usare un termine caro a G.De Rita, ha finalmente costruito un territorio a sua immagine e somiglianza dal quale emerge, dietro all'apparenza del caos, un eccesso di regole equivalenti. 

4. Ma l'arcipelago urbano europeo non è solo una somma di recinti. La frammentazione dell'edificato, la compressione delle attività, la velocità degli spostamenti, unite al persistere di un forte radicamento nei luoghi della residenza, hanno trasformato l'Europa nella culla di nuove esperienze di vita urbana. Nascono di continuo spazi fluidi e luoghi autorganizzati, creati dall'immaginazione pragmatica di utenti-gestori per sperimentare nuove e sorprendenti associazioni. Al punto che oggi le architetture europee più innovative non riposano forse più nelle riviste; non nascono dalle politiche pubbliche sul territorio e dai grandi progetti urbani, ma dalle pieghe della vita quotidiana: nei chioschi mobili che investono gran parte degli spazi pubblici delle città europee; nella sovversione di parti della periferia residenziale pubblica da parte di nuove comunità; nelle capsule domestiche-produttive dove si polverizza la produzione dei distretti industriali; nelle fiamme mobili di vita collettiva accese dai Rave-parties: nei "giardini" ad alta tecnologia che popolano le regioni alpine, per citare solo alcuni dei casi che la ricerca USE -Uncertain States of Europe- ha iniziato a campionare. L'Europa prima di essere un continente è un'entità culturale; un'entità che ha costituito un suo spazio specifico, indipendentemente dai suoi cangianti confini geopolitici, caratterizzato dalla sedimentazione, dalla densità e dalla metabolizzazione delle tradizioni abitative esogene. Quella stessa Europa urbana che nel tempo ha inventato ed esportato nuovi dispositivi spaziali (a loro volta mutuati da altri mondi) come la corte, l'isolato, l'unità di vicinato, si trova oggi a fare i conti con l'esplosione nel suo territorio di dispositivi locali autorganizzati e non semplicemente "spontanei". Innovativi, ma non sempre virtuosi. Invisibili perché privi di architetti che li promuovano e di critici che li raccontino. 

Se davvero vogliamo restituire un'utilità sociale alla nostra professione, è a questi luoghi ricchi di energia e difficili da governare, piuttosto che alle occasioni celebrate dall'architettura colta, che dovremmo rivolgere più spesso il nostro sguardo.
Stefano Boeri

Architetto, insegna Progettazione Urbana a Genova e Ginevra. Dottore di ricerca in Pianificazione territoriale, nel 1999 è stato Guest professor al Berlage Institute Amsterdam, Postgraduate Laboratory of Architecture. E' collaboratore fisso del supplemento domenicale del quotidiano "Il Sole 24 Ore". Si è a lungo occupato dello studio delle nuove forme dei territori urbanizzati europei. Oltre che di saggi pubblicati su riviste italiane ed estere, è coautore del libro Il territorio che cambia, Abitare Segesta, Milano 1993 e dei volumi Sezioni del Paesaggio Italiano, Art&, Udine, 1997 e Italy: Cross Sections of a Country, Scalo Zurich, 1998. E' coautore (con Rem Koolhaas, Sanford Kwinter e Hans Obrist) del libro-catalogo Mutations (ACTAR 2000), che illustra le ricerche condotte con il gruppo Multiplicity sulle trasformazioni della città europea (www.useproject.net). Il suo studio di Milano opera nei campi della pianificazione urbanistica e della progettazione architettonica e urbana. Ha progettato numerose installazioni sulla nuova condizione urbana, (tra cui quelle per l'Entrepot di Bordeaux, l'IFA di Parigi, la Biennale di Venezia, la Triennale di Milano, Villa Medici a Roma).
> ARCHITETTURA E POSTMODERNITÀ
> EVENTI
> CONVEGNI

per qualsiasi comunicazione
scrivete alla redazione di Arch'it
redazione@architettura.it


laboratorio
informa
scaffale
servizi
in rete








copyright © DADA Architetti Associati