ARCHITETTURA E POSTMODERNITÀ |
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PIPPO
CIORRA Ricorsi isterici: cultura pop e architettura |
[19feb2001] | |||
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In un contesto europeo, l'idea di applicarsi a una ricostruzione delle vicende architettoniche degli ultimi trent'anni finisce inevitabilmente per coincidere con un tentativo di riesame dei vari atteggiamenti con cui gli architetti europei affrontarono, tra la fine degli anni cinquanta e l'inizio dei sessanta, quella che era da tutti considerata come la crisi irreversibile del Movimento Moderno. La crisi coinvolgeva naturalmente sia l'area più ortodossa, tardofunzionalista e International Style, ormai giunta all'esaurimento di ogni vitalità ideologica e disciplinare, sia le tendenze più legate alla visione organicista-espressionista, che non erano riuscite a individuare una vera alternativa alle proposte "stilistiche" di Jonhson e degli altri modernisti della seconda generazione. Alla fine degli anni cinquanta gli architetti e i teorici interessati a raccogliere l'eredità progressista e concettuale dei modernisti si trovavano quindi di fronte una specie di tabula rasa, fonte per molti di una condizione di paralisi, occasione unica per i più disincantati per sperimentare nuovi percorsi per la ricerca architettonica e urbana. Molti sono i motivi che rendono oggi necessaria una "revisione" di questa parte della nostra storia architettonica. Da un lato c'è il processo continuo di costruzione e riformulazione delle ipotesi storiche alla luce della coscienza dell'attuale distanza tra i concetti di "modernità" e "contemporaneità"; quindi ragioni prettamente storiografiche. Dall'altro la necessità di applicarsi ad un'osservazione più ampia e più profonda delle condizioni isteriche in cui versa oggi l'idea stessa di architettura, sospesa tra arte, infrastruttura, tettonica, pianificazione, insieme alla spinta verso una ridefinizione adeguata del paesaggio concettuale in cui devono muoversi tutti coloro che progettano, insegnano, analizzano e teorizzano l'architettura. Gli architetti europei affrontarono ovviamente con atteggiamenti diversi la crisi "finale" (si pensi alla vicenda dei CIAM) del Movimento Moderno. Per alcuni l'eclissi dell'International Style rappresentava l'opportunità per liberarsi di alcune delle impostazioni ideologiche su cui maggiormente si erano costruite le teorie moderniste, specialmente nel campo del progetto urbano e urbanistico, e che alla prova dei fatti si erano rivelate più deboli. Per altri la via maestra si identificava con una visione più ampia e inclusiva dell'idea stessa di architettura moderna, premessa di un secondo (o terzo) modernismo, postindustriale e più sensibile ai valori urbani. La nostra attenzione sarà ovviamente appuntata sul contributo specifico che gli architetti italiani offrirono al trapasso dal modernismo al postmodernismo, anche per comprendere e mettere a fuoco le ragioni per cui una cultura architettonica che aveva così ben interpretato le esigenze di revisione e rielaborazione del moderno si è poi come paralizzata in una interpretazione neo-razionalista e idealistica che le ha precluso per vent'anni ogni ipotesi di ricerca in qualsiasi altra direzione. La convinzione che siamo ormai giunti ad una fase in cui la rilettura delle nostre vicende più recenti non è più procrastinabile mi viene dalla ferma convinzione che le trasformazioni subite negli ultimi anni dalle nostre città e dal nostro territorio hanno ormai raggiunto un punto in cui mettono implicitamente in crisi il ruolo e i confini delle nostre discipline. Si può tranquillamente affermare che alcuni soggetti e alcuni centri di ricerca si sono ormai dedicati con curiosità e mente sgombra da pregiudizi alla ricostruzione delle nostre vicende recenti e all'osservazione di quanto accade nel resto del mondo. I primi risultati sono tangibili e corrispondono a una serie di progetti e di edifici interessanti, in un capovolgimento nel modo di guardare a temi prima considerati secondari, come quello delle reti, delle infrastrutture, delle nuove strutture produttive, che cominciano a configurare una seria alternativa alla raffigurazione stereotipa dell'architettura italiana degli ultimi decenni: poche star internazionali (Rossi, Piano, Gregotti ) e dietro il nulla. Questo testo intende quindi discutere questi argomenti relativi alle vicende (o ai ricorsi) storiche dell'architettura italiana recente attraverso tre temi principali: il primo ha a che fare con il ruolo e l'eredità della scuola razionalista milanese e delle sue origini rogersiane; il secondo propone un più attento riesame dei fenomeni e dei valori dell'architettura degli anni cinquanta e sessanta, a partire dalla convinzione che si tratta di un patrimonio culturale di inattesa ricchezza e di inesplorata attualità; il terzo comprende un rapido sguardo a quanto di nuovo (e di solido) percorre oggi lo scenario nazionale, inclusa la relazione tra le nuove ricerche architettoniche e l'evoluzione contemporanea dei concetti stessi (divenuti instabili) di luogo, città, spazio pubblico e infrastruttura. |
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Pippo Ciorra Nato a Formia nel 1955, si è laureato presso la facoltà di architettura di Roma "La Sapienza" nel 1982. Nel 1991 ha conseguito il Dottorato di ricerca in Composizione Architettonica, presso lo IUAV di Venezia. Dal 1982 svolge attività didattica presso le facoltà di Venezia e di Roma, e presso varie università nordamericane (Ohio State University, Cornell ecc.). Dal 1995 insegna Composizione Architettonica alla facoltà di architettura di Ascoli Piceno. Dal 1998 è professore associato presso la stessa facoltà. Collabora dal 1981 alle pagine e ai supplementi culturali de "Il Manifesto", e a riviste d'architettura italiane e straniere. Ha fatto parte della redazione di "l'Architettura", di "Rassegna di Architettura e Urbanistica", e del comitato di direzione dell'"Almanacco Electa dell'Architettura Italiana". Dal 1996 fa parte del comitato editoriale di "Casabella". Per l'Electa è autore di: Ludovico Quaroni 1911-1987 (1989), Botta, Eisenman, Gregotti, Hollein: Musei (1991), e Peter Eisenman (1993). Ha inoltre curato la monografia su Richard Meier (1993). Per Birkauser ha pubblicato, nel 1995, Antonio Citterio & Terry Dwan e, nel 1998, Young Italian Architects, con Mario Campi. Tra le opere e i progetti si possono citare: la realizzazione di un piccolo Ecomusée della Casamance in Senegal, la sistemazione del cinema Nuovo Sacher a Roma, l'allestimento interno e la realizzazione del portale d'ingresso delle Corderie dell'Arsenale per la Biennale Architettura del 1991, il restauro di Villa Favorita ad Ancona, il progetto per 38 alloggi al quartiere Q3 sempre ad Ancona, l'edificio ex.Eden a Senigallia, l'allestimento della mostra "Opera. Percorsi nel mito del melodramma" a Rome e Bologna (1997-98). Tra i concorsi quello per "la sala cinematografica ideale" (2' premio), la nuova sede IUAV (segnalato), per una Museo d'Arte Contemporanea a Torino (3' premio), e il nuovo Centro per l'Arte Contemporanea a Roma (selezionato per la seconda fase). Dal 1990 collabora stabilmente con lo Studio Salmoni di Ancona. I suoi lavori sono stati pubblicati su varie riviste ed esposti in mostre collettive in Italia e all'estero. Ha partecipato alla Biennale Architettura nel 1982 e nel 1991, alla Triennale nel 1995. |
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