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Transarchitettura, ora

di Roberto Masiero
Con questo saggio di Roberto Masiero, che introduce la mostra Transarchitettura aperta a San Donà di Piave in occasione del corso su Progettualità e Management per la New Economy, Arch'it inaugura una trilogia di approfondimento che si completa con i contributi di Ennio Ludovico Chiggio e di Ernesto Luciano Francalanci.


Transarchitettura? Usiamo questo titolo dopo il conio che ne ha fatto Perrella nel 1992. Come si sa trans è prefisso che vale per "al di là". Perché interrogarci su ciò che c'è al di là dell'architettura? E cosa succede all'architettura quando si incontra con qualcosa che le è "al di là"? Si chiude in se stessa (nella propria storia o nella propria teoria), o si apre al nuovo incontro? Semplifichiamo la questione. L'architettura è per propria natura artificio e ha come altro da sé il naturale. Va pensata quindi nella dialettica artificio/natura. Il suo "dentro" è l'artificiale; il suo "fuori" è il naturale. Interno ed esterno possono ovviamente rimettersi costantemente in gioco, concettualizzarsi, in modo che l'interno simuli una propria naturalità e l'esterno una propria artificialità. Siamo nel potente gioco degli specchi e dei reciproci infingimenti, siamo in quel modo di pensare e costruire il mondo che per molto tempo (circa due secoli) abbiamo definito con il termine dialettica.

Artificio, natura, abbiamo detto. Ebbene l'artificio lentamente e inesorabilmente si è "mangiato" la natura; l'ha fagocitata, decomposta e metabolizzata. L'artificio non ha così niente altro che sé, non ha più un esterno, né un "al di là". Detto in altri termini tutto è diventato architettura. Lo stesso soggetto che prima cercava di riflettere sulla propria identità nella dialettica natura/artificio o, se vogliamo, natura/cultura, è diventato parte della totalizzazione della tecnica, cioè è diventato oggetto della tecnica e soggetto alla tecnica. Il soggetto non giustifica più l'esistenza stessa del mondo, non è più all'apice di una qualche gerarchia, diventa variabile dipendente, sinapsico, rizomatico. Diventa esso stesso oggetto di una generale Scienza dell'artificiale che ha come principale caratteristica epistemologica quella di essere fondata sulla trasmutazione (traslitterazione) del tutto in bit, in informazione elementare; così elementare da potere spiegare-dispiegare, in costante analogia, ogni singola parte (frammento?) come fosse un tutto. Nessuna dialettica è allora più possibile quando la tecnica si alimenta della tecnica. L'epistemologia cambia radicalmente forma, contenuti e potenziale, anzitutto diventa solo problema logico, meglio tecno-logico.

Tutto si risolve nel come conosco e non nella cosa che viene conosciuta. Cosa vuol dire che tutto è informazione? Vuol dire che tutti i fenomeni e tutti gli enti sono riconducibili, al di là delle loro differenze formali e persino sostanziali, al di là di ogni 'ragionevole' tassonomia, ad una logotecnica informatica, tale per cui "ciò che è" è in quanto "stato di relazione", in quanto informazione che nella sua potenziale infinità è riconducibile alla logica vero/falso, meglio alla logica 0/1, visto che per George Boole, il matematico che ne ha formulato il principio nella metà Ottocento, la questione vero o falso aveva una semplice valenza logica e nessuna valenza etico-morale. Si tratta di una semplice questione di posizione dell'"interruttore", attivo o non attivo, aperto o chiuso. Un esempio, per capirci, il computer che oramai usiamo tutti produce immagini, suoni, calcoli, e quant'altro, cioè fenomeni molto diversi tra loro, prodotti dal medesimo hard e da analogo soft.

Ma andiamo ora verso l'architettura, meglio - se il discorso sopra fatto ha una qualche ragione d'essere- verso le transarchitetture, architetture che hanno a tal punto occupato il "fuori" (come ambiente-territorio, ma anche come grande ammasso di figure e di logiche) da non essere più architetture. Prefigurano spazi amorfi, amebici, toroidali, intestinali e nel contempo estroflessi. Non hanno funzioni, o per lo meno la loro formatività non nasce direttamente da una qualche funzione; non hanno più nulla di meccanico; sembrano prodotte da bioingegnerie. Prefigurano la loro stessa instabilità e sembrano l'esito di una sperimentazione che ha come scopo solo se stessa. Alludono alla fluidità. Il loro genoma è frattale, in ogni suo momento perfetto e instabile, riconoscibile e altro da sé. Hanno un'anima algoritmica. Nessuna memoria, nessuna nostalgia, nessun attaccamento al passato, nessun tentativo di farsi giustificare dalla storia (come era accaduto per il Postmoderno). Nessuna decostruzione. Non c'è alcuna metafisica da smontare per cercare il bandolo della matassa. Nessun antropomorfismo (come sarebbe possibile se il soggetto non è all'apice di una qualche gerarchia ?). La frase "a misura d'uomo" diviene finalmente ciò che è sempre stata, un'arrogante idiozia. Nessun fitomorfismo o zoomorfismo. Ogni morfologia è autoreferenziale ogni mimesi è implausibile (sarebbe impresentabile, perché solo nostalgica, là dove il mondo non è più la somma delle sue cose o dei suoi fatti, ma esso stesso sistema in-formativo che rende ogni parte del tutto e il tutto stesso contemporaneamente uguale e diverso, uno e infinita varietà. Non c'è nulla da imitare). Gli architetti operano tutti direttamente al computer in simbiosi uomo macchina, sono informatici, cibernetici, bitici. Il loro soft è il loro tempo e il loro spazio. La loro memoria è senza tempo, sempre disponibile e diffusa nell'immane spazio della rete. Il loro sapere non è diverso da ciò che viene prodotto da questa simbiosi, non c'è più l'antica differenza tra teoria e prassi. Nella simbiosi avviene anche la frantumazione delle ontologie regionali che hanno caratterizzato l'organizzazione dei saperi e delle tecniche nell'età moderna e in quella contemporanea.

Gli architetti che qui presentiamo sono Chu, Novak, Kolatan/McDonald, Nox, UN studio, Perrella. Vengono prevalentemente dalla ricerca universitaria. Chu, ad esempio, dal Southern California Institute of Architecture, Novak è fondatore del Laboratory For Immersive Virtual Environments and the Advanced Design Research Program alla Università del Texas, Perrella lavora alla Columbia University, e così di seguito. Questo è un dato sul quale riflettere. Alcune università evidentemente hanno aperto la ricerca su settori ad alto tasso tecnologico, accettando le inevitabili sfide e liberandosi dai lacci che impone la simulazione della committenza o dai vincoli ai quali obbliga il sistema dei concorsi. Operano, cioè, su condizioni di libertà e di virtualità in una totale interazione uomo macchina, meglio sarebbe dire uomo nootecnica (Cfr. Roberto Masiero, Estetica dell'Architettura, Bologna, 1999).

Rispetto alla critica architettonica, oltre alle questioni poste nelle pagine precedenti, va detto che il fenomeno che stiamo cercando di individuare non va inquadrato né all'interno del Postmoderno né all'interno del Decostruttivismo. E' sufficiente confrontare un disegno di Chu con un progetto di Venturi per il Postmoderno o uno di Tschumi, per il Decostruttivismo. Il primo voleva ( uso il passato in quanto lo considero fenomeno consumato) liberarsi dagli imperativi etici e formali del Movimento Moderno e voleva trasformare l'intera storia dell'architettura in merce "svendibile". Il secondo ha (uso il presente in quanto è fenomeno ancora significativamente in atto) pretese più complesse. Intende utilizzare la prassi progettuale, compositiva, costruttiva (non solo nell'architettura, ovviamente) per provare a criticare le certezze della metafisica che si annida potente all'interno del pensiero occidentale. Vuole, avendo ereditato dallo strutturalismo l'ipotesi (o la certezza) che la parola è la cosa, provare parole, grammatiche e sintassi altre, smontando quelle esistenti; vuole superare attraverso questo lavoro sul linguaggio (uno scavo verso gli elementi primi del concettuale-linguistico) ogni vincolo verso la temporalità stessa e verso le sue espressioni: gli stili.

La Transarchitettura non è patetica, non ha alcuna pretesa rifondativa e non ha alcun passato da negare, non è quindi Avanguardia; non è critica dell'esistente in quanto i problemi che si pone sono problemi eminentemente gnoseologico-epistemologici; non cerca l'espressione o la rappresentazione di ideologie o valori soggettivi o collettivi. Sta nei flussi o nelle reti, senza resistere o cercare delle motivazioni, e quindi procede senza produrre gerarchie e quando le trova, semplicemente, come accade per qualsiasi segnale venga emesso in rete, cambia percorso. Non elabora rancori. Perché abbiamo voluto presentare attraverso una piccola mostra queste esperienze di ricerca progettuale? Perché, al di là della nostra disponibilità estetica nei loro confronti, esse sono un sintomo potentemente significativo rispetto al nostro 
tempo e alle sue pulsioni. Il fatto che esse siano rappresentative di questo nostro tempo non significa che esse debbano essere ritenute grandi architetture o, come si usa dire, capolavori. Sintomi di che? Di certo del modo in cui la storia dell'architettura in particolare quella del Novecento è stata metabolizzata, o di come essa ha seminato i suoi virus, le sue pro-vocazioni o le sue speranze.

Anche se il fenomeno che stiamo analizzando si distacca dal Postmoderno e dal Decostruttivismo è comunque in debito rispetto a ciò che lo precede; dipende anch'esso da quel molto che il Novecento ha concimato e che qui trova la propria (la nostra) attualità. E' sintomo rispetto al modo in cui ci relazioniamo allo spazio e al modo in cui viene pensata la geometria, cioè la misurabilità dello spazio; è sintomo di come queste relazioni modificano le stesse modalità percettive e cognitive e le modalità dell'epistemologia e quindi della scienza; è sintomo del modo in cui pensiamo alla forma, alle forme e alla stessa creatività, è sintomo rispetto a ciò che sta accadendo della scienza e della tecnica.

Proviamo allora a interpretare in parte questa sintomatologia. Usiamo ciò che ci compete, la storia e la critica dell'architettura. Uno dei fenomeni da valutare è la progressiva ingegnerizzazione dell'architettura, che ha come tappa iniziale la costruzione del primo ponte in ghisa, a Coalbrookdale del 1779, con l'individuazione dei parametri di resistenza dei materiali (il cantiere della Chiesa di St. Genevieve a Parigi su progetto di Soufflot) che prelude alla definizione della scienza delle costruzioni e quindi alla "calcolabilità" delle strutture e degli elementi dell'architettura e dell'ingegneria.

Da questo momento si ha lo sviluppo dei sistemi reticolari che tendono a separare la struttura dal tamponamento, la sostanza dalla forma, e che portano verso una standardizzazione libera da ogni vincolo funzionale pronta a risolvere qualsiasi problema costruttivo. Sarà però nel Novecento che tutto questo subirà una potente accelerazione diventando non tanto o solo risposta tecnologica a problemi antichi, ma creazione di vere e proprie realtà "altre", modi d'essere, di pensare e di immaginare, aperti al possibile e sempre più liberi dalla "necessità". E' indicativo che la progettazione di strutture reticolari smontabili e di costruzioni tetraedriche per il volo mediante cervi volanti, venga elaborata tra fine Ottocento e primi anni del Novecento dallo stesso presunto inventore del telefono, Alexander Graham Bell. Ci sarà pure un legame tra ingegneria e in-formazione?

Negli stessi anni si sviluppano le tecnologie per il "più leggero" dell'aria, aeroplani e dirigibili: si sviluppa l'aerodinamica e insieme la strutturistica. Diventa sempre più evidente ciò che si era mostrato come problema con la comparsa all'inizio dell'Ottocento del treno: è possibile creare forme che non hanno riferimenti in natura, che non hanno un modello antropomorfico, zoomorfico o fitomorfico.

E' superfluo ricordare che nel frattempo si stava elaborando una fisica dello spazio curvo (Einstein) e dell'indeterminazione (Heisemberg), e che sul fronte degli studi della morfologia del vivente stava per uscire un formidabile libro Crescita e forma di D'Arcy W.Thompson dedicato alla comprensione della morfogenesi e della filogenesi. La forma non appare più come un dato ma come un processo, come l'esito di progressive metamorfosi regolate da leggi geometrico-topologiche e matematiche. Come era accaduto per la geometria proiettiva che aveva mostrato, sin dai suoi albori all'inizio del '600 con Desargues e poi in forma scientificamente compiuta a fine '700 con Monge, che le leggi che trasformano una figura in un'altra possono essere dedotte dalle proprietà della figura originaria, sviluppando così in forma scientifica il concetto di trasformazione, anche per la biologia si introducono sistemi di analisi e previsione morfo e filo genetiche.

Si ricordi che nell''800 erano comparse le geometrie non euclidee con le due versioni, quella algebrica e quella differenziale topologica. La prima che ricerca le proprietà geometriche che non siano soltanto invarianti per trasformazioni proiettive (come nelle geometrie precedenti), ma tipi di trasformazioni; la seconda che analizza il comportamento delle traiettorie percorse da punti in movimento, ad esempio sulla superficie di una sfera. Ambedue sono geometrie che si interessano delle trasformazioni. 

Dal punto di vista epistemologico la questione era stata chiarita da Klein nel programma di Erlangen del 1872 secondo il quale la geometria altro non è che lo studio delle proprietà invarianti rispetto a un gruppo di trasformazioni. Questa definizione contiene in sé anche la definizione classica, cioè la geometria è la scienza che studia le possibilità metriche degli insiemi, ma ne registra nel contempo la differenza in quanto le geometrie non euclidee (quelle dei nodi, dei tori, degli anelli, etc.) non presuppone che lo spazio abbia proprietà necessarie, esprimibili in assiomi, ma stabilisce che oggetto della geometria siano le proprietà che risultano invarianti attraverso gruppi di trasformazioni. In modo ingenuo possiamo dire che lo spazio stesso viene considerato come un "corpo in trasformazione" e la geometria assume il compito di trovare leggi metamorfiche.

Evidente che da queste "costruzioni" concettuali geometriche si passa immediatamente e inevitabilmente a delle cosmogonie corrispondenti. Ad esempio la teoria dei "buchi neri" della fisica delle origini e del compimento, può essere elaborata solo all'interno di una geometria topologica. Così anche per la teoria delle stringhe, capace di spiegare l'intero universo attraverso l'ipotesi che oltre agli elettroni e ai quark che compongono neutroni e protoni, ci sia un altro livello di struttura, un piccolo filamento di energia vibrante, i cui modi di vibrazione corrispondono a particelle diverse che operano su di un elemento che assomiglia a una membrana, come una superficie di tamburo, anch'essa sempre in vibrazione. Questi filamenti vengono "piegati", arrotolati, affermano gli studiosi della fisica, in una configurazione descrivibile attraverso una geometria dei nodi o dei nastri. Ma torniamo all'architettura, all'ingegneria e alle tecnologie.

Questa dimensione metamorfica, dinamica, plastica, amebica è registrata in forme diverse all'inizio del Novecento dall'Espressionismo e dal Futurismo, sia italiano che russo. Il primo vive lo spazio come tensione, cerca di trovare una fusione tra organico e inorganico, prova un adattamento con sotterranee "forze vitali", esprime il costruire come un generare: il secondo guarda allo spazio come movimento, come traiettoria, come nodo e tensione tra forze, come un'entità per propria natura predisposta alla tecnica.

La decostruzione della forma architettonica arriva anche dalla cultura del surrealismo. Il caso più significativo è la Endless House (1922-33) di Frederick Kiesler motivata da riferimenti "organici" all'inconscio profondo, al prenatale, all'alveo materno, all'onirico. Ingegneria e architettura provano a identificarsi (un difficile matrimonio) nella figura di Fuller che progetta nel 1927 la Dymaxion House pensata come un oggetto per un pubblico di massa prodotto grazie alla tecnologia delle auto e degli aerei. Fuller cerca di liberarsi dai vincoli dello stare a terra e il corpo architettonico viene reso funzionale soprattutto alle tecniche costruttive e ai materiali usati. C'è ottimismo e un ingenuo progressismo nel mondo di Fuller. Sono queste componenti che lo portano verso esperienze visionarie e utopiche. Una utopia mescolata con la tecnologia, quasi al limite della fanta-scienza.

Più pragmatico Wachsmann. La sua è una architettura infinita: "soltanto un'architettura che abbia, teoricamente, l'estensione stessa dello spazio, e con lo spazio si identifichi e confonda, non mira a imporsi allo spazio, ma lo definisce interamente nel proprio disegno" (K. Wachsmann, Una svolta nelle costruzioni, Milano 1959). Un'architettura che non è nello spazio, ma è lo spazio. Wachsmann tende a superare lo standard tipico dell'industrializzazione edilizia con la determinazione di elementi semplici, di moduli, tali da permettere il maggior numero possibile, e teoricamente un numero infinito, di combinazioni "Con questo elemento illimitatamente ripetibile, Wachsmann riesce a tricoter lo spazio, a tesserlo all'infinito, senza mai porre una distinzione tra lo spazio esterno e l'interno, tra lo spazio capiente e l'incluso". Dal modulo Wachsmann arriva all'elemento "atomico" di ogni architettura, da sempre momento cruciale di ogni architettura e da sempre risolto nell'unione di poche direzioni. Il progetto vero, quello essenziale sarà allora configurare un giunto capace di tenere assieme elementi che arrivano da qualunque direzione, radialmente. Lo spazio allora è il giunto stesso e l'architettura le infinite connessioni possibili. Come nella teoria dell'informazione anche nella pratica delle costruzioni si cerca ciò che è basico, elementare, per governare la complessità diffusa. E lo spazio non è più lo spazio euclideo o quello cartesiano così vincolati alle tre dimensioni altezza, larghezza, lunghezza, o in Cartesio, ai piani a,b,g

In Francia troviamo Robert Le Ricolais. "ideatore di un metodo di ricerca che riesce a creare un equilibrio straordinario tra rigore analitico e pensiero analogico. Parte dall'osservazione delle strutture organiche naturali, della materia organica e inorganica (biologia, geometria, topologia, cristallografia), dalla quale deduce il suo metodo di progettazione di strutture, articolato in analisi teorica e verifica sperimentale. Studia l'architettura dei radiolari, le strutture cristalline, molecolari. Scrive nel 1963 "Una nuova tendenza, probabilmente di origine astratta o matematica, propone di considerare la forma come una pura geometria di occupazione dello spazio, sostituendo in tal modo ad imprecise sensazioni sensoriali una nozione più valida di organizzazione e disposizione e, in casi particolari, di misura".

In Germania negli stessi anni sta sviluppando le sue ricerche Frei Otto. Il suo metodo di progettazione consiste nella sperimentazione di modelli che egli sottopone, in laboratorio, a tutti gli sforzi possibili, allo scopo di controllare la deformazione degli elementi costruttivi: la soluzione formale dell'architettura è determinata quindi, dall'assetto che il materiale assume durante le deformazioni elastiche. La sua filosofia progettuale è cercare il maggior risultato con il minimo sforzo. Il secondo dopoguerra è caratterizzato dalla nascita della Pop Art. Quella massa sociale che in Fuller è il potenziale utente delle sue Dymaxion House, diventa il vero soggetto politico delle democrazie dei paesi sviluppati. L'economia planetaria dipenderà dalla capacità di consumare ( e solo in parte di produrre) di questo soggetto. 

Uno dei momenti fondamentali di questa nascita (o di questo riconoscimento) è la formazione nel 1952 dell'Indipendent Group composto da artisti (R. Hamilton, E. Paolozzi), architetti (gli Smithson, J. Sterling), fotografi (N. Henderson), storici e critici (L. Allowey). Per l'Indipendent Group l'arte deve trovare il suo contenuto nel cinema, nella pubblicità, nei fumetti, nelle nuove tecnologie e nei molti aspetti della società del consumo. L'architettura si adatta alle nuove tecnologie, ai nuovi modi di produzione e nel contempo si fa "comunicazione", messaggio. Gli Smithson presentano, in una importante mostra organizzata dal movimento e intitolata This is Tomorrow, la casa ideale, rielaborazione ed estensione della logica del bagno monoblocco di Fuller e un disegno Exibition Plan for parallel of life and art dove lo spazio è oramai "decostruito". Dall'Indipendent Group emergerà il New Brutalism promosso da Banham contro il tradizionalismo di maniera, il realismo socialista, il pittoresco, il naturalismo populista e il genius loci.

La Pop Art troverà la propria legittimità o il territorio più fertile negli USA. Per l'architettura emergeranno figure come Kahn, Friedman, Katavolos, Soleri. Kahn, all'inizio della sua esperienza progettuale, rielabora il linguaggio di Fuller, con l'uso dei tetraedri nel soffitto della Yale Art Gallery a New Haven, e quello di Mies nella impostazione della pianta della stessa galleria. Va verso, questa è opinione comune, una sorta di rimonumentalizzazione dell'architettura che colloca la sua opera in antitesi ad ogni decostruttivismo o a ogni possibile transarchitettura. C'è però un progetto che si discosta da questa oramai consolidata interpretazione, la Torre città impostata su un telaio reticolare.

Banham lo ha collocato nell'ambito delle megastrutture. Indubbiamente ha i suoi prodromi in Bell, in Fuller e nelle ricerche sulle strutture tetraedriche. E' il tentativo, poi abbandonato nelle poetiche di Kahn, di creare uno spazio generativo e di concedere alla struttura non la funzione di risolvere la forma, ma di renderla aperta e sempre possibile. Una via di fuga non risolta per l'architetto di Filadelfia, ma che ha comunque lasciato il segno nella ricerca architettonica successiva. Sembra essere il modello logico e figurativo che manipolerà, piegandolo verso terra, Eisenman con il suo progetto per il grattacielo di Berlino.

La proposta di una città spaziale di Yona Friedman nasce da considerazioni eminentemente politiche, il diritto alla democrazia, alla personalità e alla singolarità che si trasforma nell'idea di una città il cui principio è quello dell'occupazione totale del territorio a diversi livelli con punti e zone isolate. La democrazia appare come deve apparire (per Friedman): artificializzazione dei rapporti sociali e tecnicizzazione del rapporto uomo ambiente. Katavolos propone una ricerca architettonica basata sulla chimica " ...le nuove scoperte hanno permesso la produzione sotto forma di polveri e di liquidi, di sostanze che sotto l'azione di agenti attivanti, acquistano, dilatandosi un ampio volume, poi si solidificano per catalisi. La scienza progredisce rapidamente verso una maggiore conoscenza della struttura molecolare di questi agenti chimici; allo stesso tempo siamo in grado di dominare le tecniche che permettono di riprodurre materiali il cui comportamento futuro sarà regolato quando saranno ancora allo stato sub-microscopico. In tal modo, con l'aiuto di limitate quantità di polvere, si potranno ottenere, per dilatazione, oggetti predeterminati (sfere, tubi, tori...).

La sua città marina si comporrà di grandi cerchi "formati di prodotti oleosi che costituiscono i contenitori in cui si versano le materie plastiche formanti, inizialmente, una rete di nastri e dischi, che, dilatandosi, diventano tòri e sfere; su questi elementi vengono praticati molti fori. Le pareti sono doppie e le finestre contengono, nel loro spessore, agenti chimici che regolano la temperatura degli ambienti e assicurano la pulizia della parte vetrata; la struttura del soffitto è quella dei cristalli; i pavimenti si formano come i coralli; le superfici si ornano di immagini che disegnano, nella loro massa, le linee di tensione, che, imponderabili si sviluppano sopra di noi". 

Con l'architettura chimica chiunque diverrebbe l'architetto di se stesso. "Basterebbe lanciare più in alto possibile proiezioni di liquido che si indurirebbero al contatto dell'aria formando delle volte". "Strutture esplosive" conclude Katavolos "frutti di una architettura istantanea di trasformazione" (L. Vinca Masini, Arte Contemporanea, Firenze, 1993). Soleri elabora dimensioni macro, integra natura e artificio, dimensione rurale e industria, tecnologia e neo-teologia, archeo age, new age, e post age, barbarie e sviluppo, in una ibridazione paradossale e trans-utopica.

Ritornando in Europa, in Italia troviamo un caso isolato di "neo-avanguardia architettonica", con il Padiglione Breda alla Fiera di Milano del 1952, stupefacente incrocio tra le esperienze informali dell'immediato secondo dopoguerra italiano, la cultura espressionista e futurista anteguerra. 
Nello stesso tempo, sempre in Europa, con una inquietudine dovuta alle incertezze politico identitarie prodotte dall'esito della seconda guerra mondiale, sulla scia del gruppo Cobra che operava contro ogni razionalismo geometrico, ogni funzionalismo architettonico, ogni realismo socialista e ogni psicologismo freudiano, nasce l'Internazionale situazionista e il Bauhaus immaginista come movimenti di ricerca nei campi del mondo delle immagini e del fantastico.

Nello sfondo la figura di Guy Debord che analizza la società come società della spettacolarizzazione delle merci, si pone contro tutto ciò che è "estetico", e propone la creatività ininterrotta di nuove forme. Costant nel 1957 progetta l'Accampamento degli zingari pensato come una architettura mobile e una città chiamata New Babylon pensata sul concetto di "deriva". Questo termine indicava comportamento sperimentale legato alle condizioni della società urbana, tecnica di passaggio improvviso attraverso atmosfere ambientali diverse e attraverso percorsi (così erano chiamati) psico-geografici.

Negli anni '60 in Inghilterra l'esperienza dell'Indipendent Group viene rielaborata dagli Archigram. La progettazione prende forma sugli aspetti percettivi, dinamici sensoriali dell'esperienza. Occorrerà: "... assumere l'ambiguità, la flessibilità, l'obsolescenza programmata, il caos come elementi qualificanti". L'architettura si fa oggetto di semplice consumo, diviene effimera e paradossalmente utopica. Una utopia, come per Fuller, possibile, ma proprio per questo rinviata.
 
Nel frattempo nell'Europa continentale si scatenano movimenti radicali. La critica socio-politica si mescola alla riflessione estetica, il privato si fa pubblico, il mercato si fa totale, predomina definitivamente il valore di scambio sul valore d'uso. L'architettura viene coinvolta da questa radicalità, anzi per molti aspetti la alimenta. Non è un caso che i movimenti del '68 nascano prevalentemente attorno alle facoltà di architettura.

L'Austria, proprio a causa della sua marginalità geopolitica, del suo difficile vincolo con l'Est, vive con preveggenza e con grande tensione, questa radicalità esponendosi con la violenza del Wiener Aktionismus, e con le provocazioni architettoniche di Hollein. In Hollein l'architettura diviene elementare, sensuale, primitiva, brutale, terribile, potente, dominante, come materializzazione della stessa spiritualità. Non ha alcuno scopo ed è atto di totale dominio sullo spazio. Queste convinzioni si mescolano ad una irridente critica dei luoghi comuni o delle convenzioni che vengono provocatoriamente decostruite.

La cultura radicale in Austria, nel settore architettura tra il 1958 e il 1980 si esprime tre le altre, attraverso figure come Fritz Wotruba, Lauridis Ortner che fonderà gli Haus-Rucker-Co, i Coop Himmelblau, i Zünd up, Raimund Abraham e Günther Domenig. Ciò che emerge è un approccio libero e positivo nei confronti dell'immaginario tecnologico, una poetica concettuale della decostruzione degli oggetti architettonici-megastrutturali, il recupero di emozionalità metafisica e archetipica, la liberazione dai vincoli determinati dai sistemi costruttivi a trilite e quindi la ricerca dei momenti di tensione piuttosto che quelli di equilibrio, il gusto per la paratassi. 

Parallelamente, e con intenzioni analoghe troviamo, in Italia i gruppi Superstudio, Archizoom, UFO, 9999, Zziggurat, Cavart, Global Tools, e le figure di Ugo La Pietra, Gaetano Pesce, Riccardo Dalisi, Alessandro Mendini, Franco Raggi, in Germania troviamo Daniel Libeskind e in Olanda Rem Koolhaas, questi ultimi fondamentali per la successiva elaborazione teoretica dell'architettura. Va rilevato che nel frattempo l'Inghilterra sembra aver consumato il patrimonio di decostruzione elaborato sin dall'immediato dopoguerra, mentre la Francia sembra più preoccupata sartianamente delle fenomenologie e delle sociologie del politico.

La cultura radicale assume ancora valenze diverse in America. Il rifiuto prima che politico è esistenziale. Si propone come per gli Ant Farm la creazione di una "comune" di architetti, designers, filosofi, filmakers che, basandosi sulla cultura hippy si organizzano democraticamente rifiutando ogni forma di leadership. Vivono e progettano mondi alternativi come la Truck-in University aperta e viaggiante formata da trucks, vagoni merci equipaggiati con camera oscura, video camera, tapes, macchine fotografiche, ciclostile, proiettori e con ogni strumento di comunicazione.

A questi vagoni si affianca una serie di "inflatable" per accogliere gli studenti e utilizzabili per ogni tipo d'uso. I SITE, sono invece i diretti eredi nel mondo della cultura architettonica americana dell'insegnamento di Duchamp con l'aggiunta di una creatività dissacrante e provocatoria. Affermano di non usare forme spazio, ma connessioni mentali, psicologiche. Nel loro DNA si annida la progressiva morte delle avanguardie verso una libera e ironica decostruzione dell'intero universo sensibile. Sempre negli Stati Uniti va citata l'attività, quasi Mail Art, degli Onyx, un gruppo di architetti autori di elaborati grafici e montaggi fotografici che venivano spediti per posta, e di audiovisivi che diffondevano il loro pensiero teorico sull'architettura. 

Le differenze estetiche e i diversi comportamenti o le diverse strategie dei movimenti radicali che percorrono in vario modo tutti i paesi occidentali seguendo le linee tracciate dai vari movimenti culturali, libertari e politici che porteranno al '68, andrebbero analizzate con maggiore cura, ma non è questa l'occasione. Sino a questo punto abbiamo cercato di individuare le "stringhe", i flussi, i concimi, che determinano l'emergere del fenomeno che stiamo cercando di comprendere, la Transarchitettura. Va detto però che molto è dovuto anche ai principali movimenti artistici del Novecento e alle loro molte pro-vocazioni. Innanzi tutto Duchamp: superamento della visione retinica e quindi del primato della vista. Lo spazio non è più solo il visibile, ma è mentale. Spaesamento e decontestualizzazione (quindi rimessa in gioco degli "ordini" storici o ambientali), tutto può essere "preso nel giro", "preso in giro"; uso dell'ironia come strumento di destabilizzazione concettuale.

Primato dell'artista rispetto all'opera. Il primato del pensare rispetto al fare. Il fare pensato come dominio senza vincoli precostituiti sulla tecnica (in questo Duchamp è anche architetto). La dinamica sacralizzazione desacralizzazione. L'uso del linguaggio e della parola come sistema di ridefinizione dell'oggetto e nel contempo come suo depotenziamento e nuova apertura dei sistemi di produzione del senso. Paratassi e gioco sintagmatico, depotenziamento di ogni possibile retorica e quindi di ogni possibile atto di convincimento; l'opera mette in crisi proprio in quanto il nome designa qualcosa di diverso dalla ipseità stessa dell'opera (tecnica, formale, simbolica). Lo spazio come trasparenza, senza opacità o resistenze. L'uso del caso, della indeterminazione del senso, dell'evento. La concettualizzazione dell'opera.

Questo, e altro ancora, diviene patrimonio anche del progetto di architettura. Con lo spazialismo e in particolare con Fontana abbiamo l'ipostatizzazione dello spazio, la sua rappresentazione concettualizzata, la sua materizzazione e nel contempo abbiamo l'apertura dell'arte programmata. Con il New Dada, in Particolare con Rauschemberg abbiamo la messa in relazione tra l'ordine tecnologico e l'ordine esistenziale e, si sa, al di là delle forme, l'architettura vive anche di quest'ordine. 

Con Klein il vuoto diviene elemento creativo, con Christo avviene la ritualizzazione dello spazio e dei corpi (architetture e altro) attraverso la liturgia del nascondere per mostrare. Con la Pop Art abbiamo la spersonalizzazione degli stili, la rivalutazione del Kitsch e dello straniamento. Si ricordi che Gehry, uno delle figure più significative dell'architettura attuale è profondamente legato a Oldenburg. L'arte informale ha permesso una diversa valutazione del gesto e della materia, mentre i movimenti radicali hanno mostrato la potenza rituale e spirituale dell'atto del costruire. Beuys ha mostrato a tutti come l'arte sia creare e cambiare le forme e come anche la "costruzione" di un pensiero sia scultura. L'arte programmata (in Italia ha avuto un momento di rielaborazione con il Gruppo Enne di Padova) ha le sue origini nel Bauhaus (in particolare nelle ricerche di Laszlo Moholy-Nagy) nei costruttivisti sovietici, nel De Stijl, nei Rotoreliefs di Duchamp e nei Mobiles di Calder. L'arte programmata opera tra scienza e caso per ottenere "campi di accadimenti". L'ingegnere si unisce all'artista (all'architetto?) con l'obiettivo di rinnovamento non solo delle forme, ma anche dei materiali e della fenomenologia stessa dell'arte. Movimento e luce definiscono spazi "potenziali" e percezioni non più solo prospettiche; le macchine assumono i connotati dell'opera d'arte.

L'ambiente in tutte le sue varianti, spazio, luogo, paesaggio, diventa opera, o cornice per l'opera, nella cultura dell'Happening, dell'Environment e della Land Art. Quest'ultima ha avuto un ruolo fondamentale nella revisione in atto delle categorie che operano nella progettazione architettonica andando oltre al museo (eredità di Duchamp), ricercando gli spazi inviolati per una nuova spiritualità del "costruire" o dell'"installare". La Land Art riconosce che è il progetto a "fare" il luogo, a connotarlo. Cerca , in alcuni casi i Non-Site, scoprendo i momenti di sfaldamento o destrutturazione presenti nel territorio. Operano topograficamente, meglio topologicamente. Altrettanto significativo è il ruolo dell'arte minimale nella riconcettualizzazione dello spazio come del progetto. Si pensi a Judd, questi si rivolge alla geometria come ad una esperienza concettuale, va alla ricerca di unità primordiali (atomiche) o monolitiche. Utilizza logiche standard per individuare strutture o sequenze seriali, usa i materiali manipolandoli e mostrando sempre l'artificialità di questa manipolazione.

Nel frattempo che è accaduto del nostro sapere e della nostra scienza? Le nostre teorie della fisica come della geometria, della sociologia come dell'economia, della matematica come della biologia sono rette da epistemologie instabili e fluide. Ciò che si vuole analizzare è la turbolenza e il caos. La nostra cultura, la cultura occidentale, è nata nel momento in cui ha cercato di riconoscere ciò che è regolare nel caos della natura, ciò che è sempre se stesso nella infinita varietà e molteplicità della natura. Così ha differenziato ciò che permane e ciò che diviene, idea e realtà (sarebbe più esatto scrivere nohma
e pragma). Ebbene, è come se la cultura attuale volesse ritornare al quel momento iniziale, di "formazione" del pensiero (sarebbe più giusto scrivere della metafisica) occidentale per rivedere (ripensare o rifare) quella relazione iniziale tra ordine e caos, tra il logos e l'apparire. Come se volesse ritrovare una identità che forse stava prima della separazione, prima della distinzione tra il nous  e  l'aisqhesis. In fondo anche la geometria ha fatto lo stesso viaggio, si è posta attraverso l'idealità assoluta delle geometrie platoniche ed euclidee che si volevano altro dalla natura (per Platone il dodecaedro non è la rappresentazione del mondo, ma il mondo stesso) alle geometrie frattali che cercano di dare conto della infinita variazione geometrica dei fenomeni, della loro instabilità geometrica; vogliono essere geometrie del caos e quindi dello stesso apparire della natura. Questa non è la fine di un viaggio, ma, come abbiamo cercato di dimostrare con Ernesto Francalanci nella mostra Mir, arte nello spazio, che, ricordiamolo, ha generato questa mostra Transarchitettura a S. Donà di Piave (nella globalizzazione non c'è più periferia), è l'inizio di un nuovo viaggio che per questo motivo rimette in discussione, inevitabilmente, le origini o l'idea stessa di origine. 

E la Transarchitettura? E' l'esito della volontà di appartenenza a questo tempo del trapasso o a questo nuovo inizio. L'architettura può avere questa ambizione o presunzione essendo diventata mondo nel totalmente artificiale. La domanda, però, diviene inevitabilmente questa: "E' sufficiente essere al centro del proprio tempo per essere grande architettura? E' solo l'appartenenza alla tecnica che rende l'architettura architettura? Io credo che la Transarchitettura sia fenomeno nobile, di cui avere grande rispetto e sul quale operare sia in sede analitica che in sede critica (è ciò che stiamo provando con questa mostra e questo quaderno); credo che rappresenti profondamente questo nostro tempo e che proprio per questo sia destinata a perdersi in esso, nella sua immancabile vanità; credo che l'opera dell'artista come dell'architetto (nella loro diversità) non stia nella rapprentazione di qualcosa (sia esso un sentimento, una persona, una classe, un tempo); credo che la grande architettura sia tale solo se comprendendo il proprio tempo lo trasforma in un altro da sè, in un senza tempo, a questo la Transarchitettura, per ora, non è ancora arrivata.

[21nov00]
Roberto Masiero









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