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Stefano Marini. Sindaco di Quarrata

 

Quest'anno all'Istituto Universitario di Architettura di Venezia sono stati invitati due nuovi docenti: Stefano Boeri, Architetto Urbanista, instancabile agitatore culturale, nella Facoltà di Architettura e Hans Ulrich Obrist, esplosivo curatore e critico di fama internazionale, chiamato ad insegnare nella nuova Facoltà di Design e Arti. Insieme con Avanguardie Permanenti, progetto relazionale tra architettura, arte e città, laboratorio di ricerca e di eventi, hanno dato vita ad una serie di seminari multidisciplinari che indagano il tema dell'UTOPIA. Ai seminari hanno partecipato studiosi di fama internazionale e studenti. Nei seminari si è tentato di analizzare l'attuale significato dell'Utopia e i modi con i quali essa si definisce e si trasforma. Tale riflessione, fino ad oggi ha coinvolto Yona Friedman, Lorenzo Romito, Paolo Soleri, Piero Zanini, Gyulia Kosice, Bart Lootsma, Armin Linke, Agnes B, Luca Molinari, Benedetta Tagliabue, Andrew Benjamin e Brett Steel, Francesco Jodice, Giovanni la Varra, artway of thinking, Grazia Toderi, Angela Vettese, Molly Nesbit, Anna Barbara, e Stefano Marini. L'Utopia per Tommaso Moro è un modello di città, un paradigma ideale. Utopo è il suo governante. L'intervento di Stefano Marini sindaco di Quarrata ci ha offerto la possibilità di riflettere su una possibile nozione contemporanea di Utopia. Utopia non come un modello assoluto di paradiso che non esiste sulla terra, con le sue inevitabili illusioni e disillusioni, ma piuttosto la nozione di Utopia come una necessaria alternativa, credibilmente migliore e storicamente possibile. Il testo qui presente è la trascrizione dell'intervento di Stefano Marini al seminario sull'Utopia. [Alessandro Petti]




Seminario sull'UTOPIA 7 Dicembre 2002 ore 15.00
IUAV, Venezia

Stefano Marini. Sindaco di Quarrata

Come mai si conosce Fiesole e non Quarrata? 
Perché Fiesole ha 3000 anni di storia raccontata, spesso messa per immagini. 
Ci sono le mura etrusche, l'anfiteatro romano, c'è la storia, c'è il peso della cultura, di un'idea, di una ricerca; a Quarrata no, Quarrata non ha niente di tutto questo. E allora partiamo da questa storia assente, una storia che fra l'altro ci preserva da tanti mali, per esempio da noi non c'è il palio, non ci sono sagre del coriandolo contro vento, la fruttella storica o cose del genere.

Per prima cosa consentitemi di fare una citazione.
Io ho letto solo due libri, però sono libri per me importanti.
Parto da Sofocle. "La città -diceva- non è fatta di pietre e sassi, la città è fatta di gente, cuore, pensiero, desideri, è una comunità. E' la comunità che crea poi la città, che crea gli edifici".
Gli edifici infatti non sono come funghi ceppatelli che vengono su così, sono il frutto di una cultura appunto e di un'idea, della ricerca della felicità, dell'utopia, del luogo dove è meglio vivere. La risposta ad un bisogno impellente, la risposta migliore a delle sollecitazioni che nel bene e nel male sono molto forti.

 [06feb2002]

Quarrata non è una città, si tratta piuttosto un'escrescenza tumorale-architettonica sviluppatasi attorno a una fabbrica. Immaginatevi questa grande fabbrica, attorno alla quale si sviluppa e nasce la città tutto attorno.
Un processo violento ma non disordinato, un processo che segue un rigoroso ordine speculativo. La speculazione è il primo punto e intorno a quel criterio assolutamente rigorosissimo nasce la città: si parte dalle potenzialità che ha la città, dalla necessità di avere un alloggio a poco prezzo, un bisogno espresso dalla comunità locale. Un processo fatto costruendosi (in molti casi da soli) la piccola abitazione nel tempo libero, dopo cena, il sabato e la domenica. 

Il risultato è una città che non ha un centro, dopodiché, a un certo punto, la fabbrica fallisce e ci rimane questo campo di un paio d'ettari, attorno al quale la città continua a crescere, a svilupparsi fisicamente ed economicamente. 
Una crescita peraltro impressionante: a oggi si parla di 3000, 4000 salotti che ogni settimana partono da Quarrata per arrivare in tutto il mondo.
Con una frattura verso la propria origine gli operai vendono i mobili antichi per comprare quelli di formica, sono gli anni '60, il sogno era quello, il benessere era liberarsi del vecchio per comprare il nuovo. Tagliate le radici e cresciuta la città ora cosa si fa? Ecco il punto. 

Io credo che il sindaco debba fare l'amministratore di una comunità, cercando di interpretare le aspirazioni, i desideri, anche quelli non raccontati.

Se io faccio un'assemblea o incontro dei cittadini, so già quello che mi chiedono: illuminazione, l'asfaltatura delle strade. Una volta che le strade sono asfaltate allora è il momento dei rallentatori perché le macchine vanno troppo forte, e poi via via gas, luce, la copertura delle fosse, e via dicendo.
Nessuno chiede per esempio un teatro, o nessuno chiede una scuola, della scuola se ne parla solo quando un ragazzino si fa male e allora le mamme dicono: "non è a norma!". Però nessuno esprime mai il bisogno di una scuola migliore o di un teatro. Allora bisogna cercare di interpretare i bisogni che anche non vengono espressi, che escono da un contesto così ordinario.

Quando io sono arrivato a Quarrata, nel 1985 c'erano due cinema che facevano film a luci rosse, non c'era nient'altro che quello, un centro inesistente. Allora, su che cosa si lavora?
Adesso a Quarrata c'è un teatro con la stagione teatrale dove passano i migliori, adesso si comincia ad avere un centro.
Io mi sono accorto che il teatro ha dato un'anima a questa città, ma gliel'ha data veramente, perchè è diventato un vero e proprio luogo d'incontro.
Lo stesso dicasi per il nuovo centro. Nel 1989, con un'operazione considerata da molti sciagurata, il Comune acquistò tutta la fabbrica, quei due ettari. Da lì in poi si è incominciato a costruire un programma di riqualificazione con i giovani architetti, attraverso un programma europeo che si chiama Europan. Questo processo ci ha portato una contaminazione positiva perchè abbiamo conosciuto i Cliostraat di Torino, i gruppi finlandesi, un gruppo inglese, ecc.
È stato quell'acquisto, l'acquisto di quel centro, di quella vecchia fabbrica che ha permesso che io sia qui adesso a parlare a voi, perché altrimenti io adesso non sarei qui.

Il Comune decise di acquistare quell'area, si sono messe in moto contaminazioni positive attraverso persone che arrivavano da lontano, ci si sono aperti orizzonti nuovi rispetto a quanto stava succedendo nel mondo e tutto questo è stato importante per la città.

Un'altra cosa va ricordata. In Italia, quando si costruisce un centro è cosa facile: si prendono dei panettoni brutti, un cartello di divieto di transito, non si fanno passare le macchine e c'è una città disegnata, magari 400 anni fa, nella forma definitiva che ti permette di passeggiare, girare e prendere quello che c'è.
Ben altro lavoro è pensare a un centro inteso non solo nella dimensione delle strade, o nell'altezza degli edifici, ma anche e soprattutto nelle funzioni che devono andare in questo centro.
Cosa si privilegia dentro il centro? Il grande centro commerciale che sicuramente fa venire tanta gente, è la cosa più giusta? Oppure quali altre funzioni ci andiamo a mettere? Cosa vogliamo che sia questo centro? Solo questo pensiero, questo pensare, il mettersi a riflettere su come immaginiamo questa città, già da questo incominciamo il percorso per avvicinarci all'utopia.

In quel centro c'è andata la biblioteca, il centro multimediale, il museo, il polo tecnologico, le aule per la didattica, i master e svariate altre funzioni.
Senza dimenticare le abitazioni.Le abitazioni fanno comodo; perché fanno comodo? Non è solo perchè il centro deve rimanere vivo, perché deve esserci gente, il motivo è legato al sogno di una città nuova, una città ideale.
Pensate al quadro che c'è a Urbino "La città ideale" del XV secolo, anonimo; a Lorenzetti e altri che sicuramente conoscete.
Ecco. La nostra città non è un affresco. Alla fine bisogna pagare il conto, questa operazione alla fine va pagata. Non è che il municipio di Quarrata, 25.000 abitanti, abbia più soldi di Prato o di Firenze.
Piuttosto, si tratta di un desiderio che deve essere fatto funzionare.
Come?

È stato fatto un piano: una parte di terreno rimane di proprietà dell'amministrazione comunale e una parte di quel terreno è stato venduto ai privati, perchè i privati ci facessoro delle abitazioni secondo un disegno, un masterplan deciso assieme agli architetti.

Con un'asta è stato venduto il terreno in questione. I soldi che sono arrivati non sono solo serviti a ripagare realizzazione delle attività pubbliche, ma ci hanno permesso di cominciare un'altra storia: l'acquisto di una villa medicea, una villa importante, bellissima, molto grande (26.000mc., 5 case, 30 ettari di parco, altri 60 ettari di terreni), strappandola a una speculazione.

Se io invece di spendere 6miliardi per acquistare la villa avessi messo lampioni, a 3 milioni l'uno, capite voi quanti lampioni avrei potuto mettere e quanta gente sarebbe stata contenta. Però, c'è un sentire intimo che va al di là della richiesta del lampione, dell'asfaltatura; un desiderio del bello, del sogno e dell'utopia che non è cancellato in nessuno, che tutti bene o male hanno dentro.
La cosa importante è iniziare a parlare in maniera concreta di quel sogno e dirgli che cosa significa in maniera pratica avere quella villa e segnare insieme le funzioni di quella villa, come nel centro.

Quando c'è stata l'inaugurazione della biblioteca l'11 novembre, abbiamo inaugurato anche la civetta. Sì perché c'è anche un edificio tanto buffo fatto a forma di civetta, la casa della cultura.
Ecco, la gente è entrata dentro, ha visto i libri e ha visto che cosa tutto questo significava.
Allora, tutto l'irrigidimento si è sciolto in una tenerezza, che è stata anche commozione.
Il toccare in maniera concreta ci permette di apprezzare la bellezza, del resto, il sogno ha bisogno degli appigli sui quali salire.
Questo è quello che abbiamo tentato di fare a Quarrata e che continua ad essere fatto.

Io sono convinto che si possa parlare alla gente del sogno; io ho bisogno di credere in un sogno, ma non una cosa sola lontana, altrimenti il sogno diventa frustrazione, angoscia, disperazione perchè non si riesce a toccare.

La politica assomiglia ai surfisti che cercano di cavalcare l'onda dei consensi, pur di fare strada e di stare sopra.
Per il surfista è emozionante, ma per chi il surfista se lo porta sul groppone non è tanto bello, nessuno ha chiesto il parere dell'onda. Per questo motivo io sento il desiderio di entrarci, di essere dentro quest'onda, che si muove, riuscire a tirare fuori quel desiderio della comunità che vorrebbe che io rappresentassi la parte migliore. Se così non fosse, sarei allora l'uomo che toglie le panchine perchè non ci vadano gli immigrati, ma io non ho bisogno di quello, ho bisogno della ricchezza della contaminazione e del confronto. Anche se tutto questo è scomodo, perché non è vero che le cose belle vengano gratis: per queste cose bisogna lottare (qualcuno ha detto: "Il mondo non è attrezzato per la gioia, e la felicità va strappata a viva forza").

Noi eravamo partiti da un consiglio comunale in cui si discuteva di quanto alta dovesse essere la massicciata, adesso si discute se il programma teatrale ha avuto successo o meno, se il centro funziona o no.

Avevamo bisogno di sentirci davanti un orizzonte libero, abbiamo bisogno di sentirci davanti un orizzonte libero, non chiuso.

Stefano Marini
Istituto Universitario di Architettura Di Venezia

Facoltà di Design e Arti
Laboratorio di allestimento espositivo
Prof. Hans Ulrich Obrist

Facoltà di Architettura 
Laboratorio di progettazione urbanistica 
Prof. Stefano Boeri

Avanguardie Permanenti

(Si ringrazia per la trascrizione Elia De Tommasi e Giulia Brunetti)

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