Tony
Fretton intraprende un approfondito scambio epistolare
con Elena Carlini e Pietro Valle per parlare del proprio lavoro. Il
progettista londinese racconta il suo interesse per l'ambiguità come
strumento di ricerca per un'architettura aperta a molteplici interpretazioni
da parte dei suoi utenti. Nel saggio che segue, i due architetti triestini,
sviluppano i complessi temi della ricerca di Fretton e il suo originale
contributo al dibattito architettonico. |
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[in english] | Tony
Fretton, cinquantenne architetto londinese formatosi all'Architectural
Association, ha completato negli ultimi quindici anni una serie di strutture
che appaiono particolarmente interessanti per la ricerca d'interazione
pubblica degli spazi, per l'uso non-dichiarato di riferimenti
architettonici e per un'elaborazione concettuale affine ad alcune esperienze
dell'arte contemporanea. Le realizzazioni di Fretton —residenze, gallerie
d'arte e centri per comunità religiose alternative— sono adattamenti
di edifici esistenti o inserimenti di nuovi spazi in contesti contemporanei
particolarmente stratificati. Esse colpiscono a prima vista per la loro
presenza ordinaria e quasi ‘invisibile' la quale, a uno sguardo più
attento, rivela sottili variazioni spaziali tese a promuovere la relazione
tra ambienti diversi e un uso di essi non prefissato. Gli edifici di
Fretton non enunciano credi o manifesti teorici, impiegano forme spurie
non riconducibili a paradigmi conosciuti e, anzi, rileggono indirettamente
elementi del sito. Non avendo nulla da dire apertamente, gli
spazi di Fretton provocano degli interrogativi sul loro significato
ed uso. Questa ambiguità non è casuale ma costituisce una deliberata
strategia per promuovere un uso immaginativo degli spazi da parte dei
loro occupanti ed un'architettura che sia socialmente responsabile senza
imporre ideologie. |
[03jul2003] | ||
Quay Centre for the Arts. Pianta. |
Fretton
impiega diverse modalità spaziali per promuovere la sua calcolata
ambiguità. La sua ricerca non punta su proposte formalmente innovative
o su singoli spazi caratterizzati ma sulla moltiplicazione delle
relazioni e delle soglie tra ambienti diversi. In molti progetti,
Fretton dissemina canali visivi e percorsi tra interni ed esterni attraverso
aperture che orientano lo spazio in maniera non omogenea a seconda di
come lo si percorre. Gli ambienti della Lisson Gallery 2 a Londra si
proiettano sulla strada e parallelamente la riflettono, offrono aperture
continue ma si adattano anche ai livelli del complesso scolastico antistante
il quale diviene partecipe degli spazi della galleria. La vetrina diviene
così dispositivo che crea molteplici orientamenti invertendo
i ruoli tra spazio espositivo e condizione urbana. Nel progetto per
l'Hotel ProForma a Ørestad in Danimarca, il piano terra è altresì trattato
come spazio pubblico con transizioni deboli tra vari ambienti
in modo da farli sentire parte della piazza antistante. Questa è estesa
orizzontalmente ma anche sdoppiata in altezza con una pensilina-terrazza
che raggiunge il terreno piegandosi sull'angolo. Nel progetto di concorso
per Il Laban Dance Center a Deptford, gli spazi principali si affacciano
su una corte segnata da grandi aperture. Essa penetra nell'edificio
divenendo contemporaneamente strada interna e stanza esterna dove
si incrociano tutti gli sguardi e i percorsi. |
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Holton Lee, Faith House. Portico. Foto di Hélène Binet. |
Holton Lee, Faith House. Esterno. Foto di Hélène Binet. Un'altra strategia impiegata da Fretton per segnare le relazioni tra le differenze è un apparente specializzazione degli spazi. Come nella tradizione della casa inglese Arts and Crafts, gli interni sono composti da stanze di diverso carattere poste contiguamente e legate da molteplici aperture. A questo tema, Fretton aggiunge un elemento di ascendenza più antica proveniente da una rilettura delle residenze medievali e elisabettiane: la mancanza di spazi di distribuzione quali corridoi e disimpegni. Nei suoi interni ci si muove attraverso le stanze ed ognuna di esse serve contemporaneamente come elemento di circolazione e d'uso. La differenziazione degli ambienti, un tempo impiegata per segnare uno zoning di usi diversi, caratterizza solamente gli spazi ma è negata dagli attraversamenti e da un'indeterminatezza funzionale che permette di utilizzare questi ambienti in più modi. Un interno di Fretton può essere letto contemporaneamente come un unico ambiente articolato in diversi sottospazi o come una sommatoria di mondi adiacenti che provocano un senso di continua scoperta quando ci si muove tra essi. C'è sicuramente un'analogia urbana in questi interni: il muoversi negli ambienti ricorda una derive attraverso strade e edifici diversi. |
Holton Lee, Faith House. Pianta. |
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Questo
senso di continua traslazione (fisica e immaginativa) è rinforzato anche
dal fatto che non vi è mai una gerarchia di punti di partenza o arrivo
definitivi. La contiguità degli ambienti può essere organizzata secondo
una sequenza lineare come nel Quay Arts Centre nell'Isola di Wight,
con un concatenamento di spazi verticali come nella casa a Groningen
o con una matrice multidirezionale come nel Centre for Visual Arts a
Sway o nella Faith House nel centro religioso di Holton Lee. La chiave
per creare relazioni tra questi spazi discontinui è l'uso della sezione
e della luce, articolata con sofisticate variazioni zenitali e aperture
di diverse dimensioni. Come un interno di John Soane, Sway è composto
da stanze adiacenti ognuna con un soffitto e un lucernario diverso:
l'interno diviene così un paesaggio articolato che, per quanto
non aperto sull'esterno, permette di riconoscere luoghi diversi attraverso
i cambi d'altezza e di intensità luminosa. La casa a Chelsea invece
racchiude in un involucro unitario spazi di altezza diversa collegati
da più rampe di scale e ha affinità con alcuni schemi del raumplan
Loosiano dove la complessità è implosa in un contenitore indifferenziato.
La planimetria della Faith House a Holton Lee accomuna degli ambienti
centrifughi ognuno orientato su un diverso esterno. |
Holton Lee, Faith House. Quiet Room. Foto di Hélène Binet. |
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Holy Island, Arran. Pianta e sezioni di uno dei centri di meditazione. |
Holy Island, Arran. Modello di uno dei centri di meditazione. Foto di Tony Fretton. L'apparente funzionalità e il linguaggio astratto usati da Fretton sono contraddetti dagli accostamenti spaziali descritti, i quali negano i dettami solitamente accomunati con il linguaggio razionalista classico quali sequenze, proporzioni e divisione tra spazi serventi e serviti. Fretton rilegge una tradizione empirica di origine profondamente inglese abituata ad accostare le differenze senza schemi generali di inquadramento. Una sensibilità paesaggistica di origine informale-pittoresca lo supporta sia nell'articolare gli interni sia nel disseminare oggetti sparsi nei progetti posti in contesti rurali come Holton Lee, il suddetto Centre for Visual Arts a Sway e il centro religioso Buddista Holy Island nell'isola di Arran. Sequenze temporali esperite camminando lungo percorsi non lineari, vedute a distanza e sottili assonanze materiali con le architetture rurali legano edifici preesistenti e nuove strutture. I vari laboratori per artisti, centri di meditazione e aule comunitarie proposti da Fretton vogliono apparire anche come delle strutture archetipiche nella natura ma sono anche conscie di essere delle rappresentazioni: a metà strada tra insediamenti di fondazione e follies, esse ricordano che il paesaggio informale è anche profondamente inventato e si basa sull'artificio di costruzioni narrative. Così il portico della Faith House a Holton Lee costruisce in legno un'astrazione di un tempio greco e racchiude una miniatura di Stonehenge fatta con tronchi d'albero. I due centri di meditazione a Holy Island dilatano linearmente una corte con cellette di tipo monastico i cui bracci si deformano mollemente seguendo il declivio dove è posto l'edificio. |
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Casa a Chelsea, Londra. Esterno. Foto di Hélène Binet. Casa a Chelsea, London. Salone principale. Foto di Hélène Binet. |
Da
questi esempi si intuisce come Fretton sia interessato a una lettura
proiettiva degli edifici e del contesto. Il progetto interiorizza
diversi stimoli dall'ambiente senza menzionarli direttamente e sembra
piuttosto interessato a quei processi di trasformazione per cui frammenti
spuri di linguaggi architettonici sono adattati a fini diversi. Nella
sua ricerca di partecipazione immaginativa degli occupanti agli ambienti,
Fretton non impone modelli assoluti ma allusioni ambigue da appropriare.
In questo, egli è interessato ai processi che formano quel tessuto
invisibile di edifici anonimi in cui sono spesso inserite le sue
strutture: ecco quindi i complessi edilizi dove non risaltano singole
emergenze (come gli ex-edifici industriali in cui è inserito il Centre
for Visual Arts a Sway), le townhouses georgiane (la casa a Chelsea),
gli storefronts commerciali (Lisson 2) o i compositi insiemi
delle fattorie rurali (Sway e Holton Lee) dove è sempre possibile aggiungere
una nuova struttura senza alterare il disordine generale. |
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Il
fatto che questi edifici formino un anonimo vernacolo contemporaneo,
interessa a Fretton più come processo che come forma stabilita. Nelle
loro trasformazioni Fretton riconosce una memoria additiva e straniante
che non ha alcun interesse a fissare forme analogiche certe, ma si comporta
come un bricoleur che sposta i termini di riferimento sempre
un po' più in là. Questo interesse per la deformazione di frammenti
di linguaggio in situazioni 'reali' e per l'interazione pubblica negli
ambienti sono anche punti di legame della pratica di Fretton con alcune
esperienze del Concettuale e del Post-Minimalismo presenti in campo
artistico dagli anni '70 in poi (si pensi, per fare un solo esempio,
che la Lisson Gallery 2 è forse l'unico edificio contemporaneo che registra
e riutilizza in un'architettura pubblica i temi della trasparenza e
riflessione esplorati da Dan Graham nei suoi padiglioni in vetro). Grazie
all'esperienza nella progettazione di diversi centri d'arte contemporanea,
Fretton conosce bene queste sperimentazioni ed è capace di mutuarne
la capacità processuale senza fissare forme assolute. Al contrario di
molti colleghi che hanno assunto e tematizzato forme dal campo artistico
(si pensi alla moda del Neo-Minimalismo), Fretton è stato capace di
riconoscere la ricerca relazionale delle pratiche artistiche
come tema fondamentale e l'ha legata al suo interesse per lo spazio
pubblico e per la modificazione dei luoghi. |
Casa a Groningen. Veduta dalla strada. Foto di Christian Richters. Casa a Groningen. Pianta e sezione. |
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Nel
suo metodo operativo c'è anche una forma di resistenza al consumo immediato
di motivi, forme e idee che caratterizza molte posizioni considerate
sperimentali nella scena architettonica internazionale. Fretton ha capito
che, dietro la sfuggevolezza delle sue architetture si apre un territorio
inesplorato di possibilità latenti di reimmaginazione dell'ambiente
che rifiuta di essere racchiuso in una formula compiuta. La presenza
fantasma delle strade di cui egli parla descrivendo gli interni della
Lisson Gallery 1 è proprio questa ricchezza immaginativa che Fretton
tenta di mantenere aperta. In questa esplorazione, egli è forse uno
dei pochi architetti che ha riconosciuto la straordinaria ricerca teorica
del compianto Robin Evans sull'idea di proiezione in architettura. Nelle
sue analisi sull'uso della geometria in architettura, Evans evidenziò
come le proiezioni non siano un mero strumento di rappresentazione ma
diventino progetto aperto di indagine della realtà, veicolo di idee
e di relazioni tra cultura, spazio e materialità. In particolare, Evans
notò come, dietro a codici architettonici apparentemente chiusi, si
nasconda un surplus relazionale in cui le proiezioni fungono
da veicolo attivo portatore di significazione (1). Fretton riconosce
questa possibilità di relazioni aperte e cerca di porle agli utenti
dei suoi spazi senza dargli istruzioni d'uso prefissate. Le indagini di Evans e i progetti di Fretton si assumono la responsabilità di continuamente riproporre la complessità dell'architettura nonché la sua natura 'aperta' e proiettiva. Il loro lavoro sulla comunicazione aperta e sulle relazioni sociali che essa provoca è particolarmente significativo in un momento storico in cui l'architettura diviene sempre più consumo velocizzato di singole immagini a una dimensione. Mentre il mercato ha ormai appropriato i meccanismi comunicativi delle tendenze presunte sperimentali, la silenziosa costruzione di una radicalità senza avanguardia come quella proposta da Fretton può offrire una via per un'architettura aperta e responsabile. Elena Carlini, Pietro Valle carlinivalle@everyday.com |
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NOTA: |
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