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Intervista a Tony Fretton

Elena Carlini e Pietro Valle
Tony Fretton intraprende un approfondito scambio epistolare con Elena Carlini e Pietro Valle per parlare del proprio lavoro. Il progettista londinese racconta il suo interesse per l'ambiguità come strumento di ricerca per un'architettura aperta a molteplici interpretazioni da parte dei suoi utenti. Nel saggio che segue, i due architetti triestini, sviluppano i complessi temi della ricerca di Fretton e il suo originale contributo al dibattito architettonico.



[in english] ELENA CARLINI E PIETRO VALLE. Negli spazi collettivi di alcuni tuoi edifici e progetti (pensiamo alla Lisson Gallery 2, alla lobby dell'Hotel ProForma a Ørestad e alla corte al centro della proposta per il Laban Dance Center a Deptford) vi sono diverse soglie aperte e nessun confine definitivo. Questa disseminazione dei limiti (ottenuta con vedute e aperture multiple nonché con l'uso della riflessione) propone un'interazione a più dimensioni tra le persone. Che idea di spazio pubblico è all'opera qui?

[03jul2003]
TONY FRETTON. Preferirei parlare di luogo invece che di spazio.

Sono luoghi pubblici per i quali mi assumo una responsabilità come progettista e che creo da altri spazi che ho esperito. Questi possono essere spazi pubblici formalizzati, spazi naturali in cui la gente percepisce una relazione con il mondo animale, vegetale e con il cosmo, interni che comunicano chiari messaggi di riti sociali o semplicemente stanze di cui delle persone si sono appropriate.

Io lavoro su questo materiale senza portarlo a una conclusione unitaria, cercando di ottenere una calcolata ambiguità nella speranza che quello che faccio rimanga aperto a un'occupazione fisica e creativa da parte di altri.


Lisson Gallery 2, Londra. Veduta dalla strada. Foto di Chris Steele-Perkins.


Infatti, tutti gli edifici funzionano così. Quasi nessuno conosce il nome del progettista o le sue intenzioni e capisce solo le cose che trova in un luogo. Con oggetti altamente ambigui come Stonehenge, la mancanza di informazioni su intenzioni e uso, stimola un maggiore coinvolgimento immaginario.

Hai progettato molti spazi per l'arte contemporanea (le due Lisson Galleries a Londra, il Quay Arts Centre nell'Isola di Wight, Il Centre for Visual Arts a Sway, i progetti per una galleria a Hoxton e per gli Open Hand Studios a Reading). Tutti questi edifici mostrano una tensione tra ambienti caratterizzati e la neutralità del tradizionale 'cubo bianco' espositivo. Che idea degli spazi per l'arte hai sviluppato in questi successivi progetti?


Lisson Gallery 1, Londra. Galleria nel retro. Foto di Lorenzo Elbaz
.


Lisson Gallery 1, Londra. Assonometria
.
Diciamo che le gallerie hanno intenzionalmente assunto un proprio linguaggio della neutralità negli ultimi 35 anni e stanno sempre cercando in tutti i modi di cambiare. Ecco perché Saatchi recentemente ha messo tutta la sua arte inglese nell'ex-County Hall, un edificio beaux arts d'inizio '900.

Io creo sempre degli spazi espositivi in cui l'arte, e non l'architettura, è la parte più visibile. La bianca neutralità di cui parlate, la uso come una sorta di fantasma della vita reale.

Il tracciato del primo edificio che facemmo per Lisson nel 1986 era quello del sito e delle strade adiacenti. I visitatori entravano in galleria attraverso una porta di vetro serigrafato che riduceva ma non annullava la vista della strada. Le strade lasciavano spazio a un fantasma delle loro forme, il quale era anche la bianca neutralità dello spazio espositivo internazionale. Così la galleria aveva un senso come luogo mentre parallelamente fungeva da sfondo per l'arte.

Molti tuoi progetti presentano stanze contigue di diverso carattere e collegate da molteplici aperture che obliterano completamente la differenza tra spazi serventi e serviti. Ci si muove attraverso le stanze e questo può avvenire linearmente (nel Quay Arts Centre), secondo matrici multidirezionali (a Holton Lee e nel Centre for Visual Arts a Sway) o in verticale (le case a Chelsea e a Groningen). L'interno diventa un paesaggio complesso con opzioni spaziali adiacenti che articolano il carattere dell'edificio. Pensi che questa sia una lettura accettabile dei tuoi progetti? Se sì, ce ne puoi parlare?

Sì, io intendo creare spazi di diverso carattere legati a un proprio aspetto, uso e funzione sociale che si combinano poi in un'entità collettiva più ampia. Ci sono dei momenti in cui la situazione specifica e la scelta costruttiva portano a adottare lo spazio continuo del modernismo. Altre volte può essere invece la disposizione spaziale di un palazzo o di un ambiente domestico amplificato.

L'immagine che emerge da tutti questi spazi è che oggi, più che mai, noi esseri umani abbiamo bisogno di riconoscere la reciprocità mentre manteniamo la capacità di godere delle nostre differenze.

Io cerco la relazione tra una regola intelligente e ben costruita e lo spazio di libertà di espressione che essa consente.




Hotel ProForma, Ørestad. Vedute del plastico. Foto di David Grandorge.
Parlando di paesaggio, tu attui una lettura molto stratificata dei siti dove sono posti i tuoi progetti, siano essi edifici da ristrutturare, aree urbane o rurali. Sembra che tu risponda agli stimoli offerti da questi luoghi con forme apparentemente semplici che sono invece composte da spazi molto complessi. Quali sono le tue idee sulla relazione con il contesto? è possibile che siano influenzate da una nozione molto inglese di Landscape proveniente da una tradizione informale/pittoresca? Forse questa è una nostra impressione ma ci sembra di intuire un tipo di ordine e razionalità ben diversi da quelli cui siamo abituati in Italia...

Ora che ho lavorato nell'Europa continentale per un po', mi rendo conto che la cultura inglese è empirica mentre il pensiero europeo opera attraverso princìpi.

In termini generali, si può dire che le cose sono soddisfacenti per gli inglesi solo se funzionano nella vita reale. Questo ci porta a reagire alle situazioni in modo molto creativo. Tuttavia può condurre anche al conservatorismo e all'inedia.

La tradizione europea offre dei modelli d'ordine e di pianificazione che, secondo me, non sono disponibili in Inghilterra. Sto lavorando a questo problema non solo nei miei lavori ma anche nel programma educativo che conduco al Politecnico di Delft.

Siti urbani e rurali sembrano provocare diversi atteggiamenti nei tuoi progetti. Mentre in città adotti tipi conosciuti (come la tradizionale townhouse), in campagna proponi spesso dei veri e propri insediamenti composti da diverse strutture che dialogano a distanza. Qui la complessità e interiorizzata, là è esplosa: sono forse queste due facce dello stesso atteggiamento?

Beh, spesso c'è più spazio in campagna e così ho più libertà per non definire gli spazi attraverso le architetture ma per gestirli in modo che rimangano più anarchici e aperti a molteplici interpretazioni.

Questa è una cosa difficile da ottenere e spesso io stesso non ci riesco. Se tu attui dei cambiamenti minimi a un luogo, poi la gente li modifica e tutto va perso.


Hotel ProForma, Ørestad. Piano terreno
.

Laban Dance Center, Deptford. Assonometria del piano terra.


Il successo di un edificio richiede più intervento di quanto uno creda. La piscina di Alvaro Siza sulla spiaggia di Leça de Palmeira è incredibilmente efficace in questo. Le cose cambiano attorno ed essa, in qualche modo, riflette questi cambiamenti. Anche Dan Graham è un ottimo esempio. Ho visto i suoi padiglioni specchianti fotografati in diverse situazioni e li ho anche visitati a Londra e New York. Sono indubbiamente dei pezzi d'arte in sé ma sono anche altamente sociali e generosi verso il loro intorno, comunque esso si modifichi.


Centre for Visual Arts, Sway. Piano terra
.

Nei tuoi scritti e nelle tue conferenze, parli della responsabilità sociale dell'architetto, il quale deve rispondere realisticamente a specifiche richieste. Guardando il tuo modo di operare, sembra che tu articoli le richieste che ti vengono poste in modo complesso e non unitario. È questa una critica ai modi solitamente impiegati per affrontare un programma funzionale? Se è così, che ruolo gioca la responsabilità sociale qui?

Spero di avere affrontato questo aspetto a sufficienza nelle mie risposte precedenti.

Tuttavia, per dire qualcosa di più: la grande architettura ha sempre avuto a che fare con il permettere qualcosa alle persone e con il provvedere un certo tipo di certezza. La certezza che mi interessa è un tipo di certezza artistica, la quale non è per niente una certezza ma solo speranza e fiducia ben riposta.

Che ruolo giocano la materialità e la tettonica per te? Emergono all'inizio di un progetto o si sviluppano gradatamente?

Sono senza dubbio il risultato di altri interessi.

Studio questi aspetti in altri edifici e, come ufficio, siamo molto attenti e non amiamo rischiare con la costruzione.


Centre for Visual Arts, Sway. Schizzo
.

Tuttavia, ci vuole poco per capire che le decisioni costruttive sono culturalmente determinate e così le conversazioni che abbiamo su costi, appalti, forniture e consegne, non sono molto diverse dal tono della discussione in questa intervista.

A Holton Lee e Holy Island cerchi di definire una nuova comunità religiosa senza credo specifico con delle conseguenze spaziali molto interessanti. Come interagiscono 'comunità' e 'religione' qui?

Beh, il concorso per Holy Island riguardava una comunità Buddista Tibetana con un sistema di credenze e rituali molto forti.

La Faith House a Holton Lee è per una comunità che è genuinamente senza un credo specifico.

Tra poche settimane ci verrà affidato l'incarico per progettare una sala comunitaria Quacchera.

Siccome non sono un seguace di nessuno di questi percorsi spirituali, ho dovuto stabilire degli atteggiamenti con cui affrontare questi progetti.

Uno è un esistenzialismo istintivo, interessato in cosa significhi per un essere umano stare in relazione al mondo naturale.

Un altro è legato a un'attrazione spontanea verso il mito greco classico e il modo in cui esso è trattato da Eschilo. Qui, un artista è in contatto con un materiale molto forte e capisce il proprio ruolo ma anche la propria fragilità.

Un'ulteriore linea di ricerca passa attraverso Sigurd Lewerentz e, in particolare, il suo lavoro di paesaggista nel Cimitero del Bosco a Stoccolma. La disposizione degli alberi, delle colline e degli oggetti richiama un'era pagana antecedente alla Cristianità. Ma questa è un'invenzione narrativa come quando Louis Kahn dice che i suoi edifici risvegliano il nostro classicismo.

In contesti come questi non puoi essere ironico o distaccato, devi affrontare e percepire il valore di queste credenze, anche se non le condividi.

Centre for Visual Arts, Sway. Galleria 3. Foto di Lorenzo Elbaz.



Centre for Visual Arts, Sway. Galleria 1. Foto di Lorenzo Elbaz.



Centre for Visual Arts, Sway. Galleria 2. Foto di Lorenzo Elbaz.


> CARLINI E VALLE: CALCOLATA AMBIGUITÀ
> TONY FRETTON ARCHITECTS

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