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AA "Project Review"

Paolo Cascone
All'apertura dell'anno accademico 2003-2004 l'Architectural Association di Londra traccia il fronte di ricerca per l'anno corrente. L'agenda programmatica dei vari corsi, dalla Foundation School ai master di specializzazione, raccoglie i frutti di un anno di studio. Paolo Cascone introduce i diversi itinerari di sperimentazione della scuola. Tra i temi ricorrenti: Iperarticolazione ed Emergenza di Filippo Innocenti; Form finding di Marco Vanucci. Per approfondire la metodologia didattica, Manuela Gatto, corresponsabile del corso di Intermediate Unit 3, descrive il programma del nuovo anno accademico: Inter-active Fluid Space. Chiude il servizio un'intervista di Alessandra Belia a Patrik Schumacher, condirettore del Master in Design Research DRL, sul ruolo della scuola nell'avanguardia dell'architettura contemporanea e sugli orizzonti aperti dall'applicazione della robotica alla progettazione dell'architettura "responsive". [Filippo Innocenti, SPIN+]



Bedford Square, nel cuore di Londra. Superfici sinuose e scultore effimere rendono ancor più surreale l'atmosfera di quest'angolo di città quasi fuori dal tempo.
Distratti business men, giovani homeless ed altri strani personaggi... si aggirano, straniti, davanti al numero 36. Siamo all'Architectural Association dove, durante il mese di luglio, si è svolta la "Project Review Exhibition 02/03".



Come ogni anno la AA, storica scuola di architettura, nonché fucina internazionale di talenti, apre le porte per esporre il "risultato" di un intenso anno di lavoro dei suoi studenti. I migliori progetti, prototipi, modelli, video installazioni... vengono messi in mostra e esposti allo sguardo incuriosito di giornalisti del settore, critici, architetti e semplici passanti. È difficile immaginare, per chi si aggira per la prima volta tra le "4 mura" quasi "domestiche" di questo edificio georgiano, che questo è stato e continua ad essere un importante "laboratorio" per le avanguardie dell'architettura contemporanea.

Peter Cook, Rem Koolhaas, Zaha Hadid, Alejandro Zaera Polo e Farshid Moussavi (Foreign Office) sono solo alcuni dei personaggi che in momenti diversi, da studenti o da professori, in questa scuola si sono formati e hanno formato generazioni di designer attraverso un approccio progettuale del tutto sperimentale. Solo chi ha la possibilità di conoscere meglio la AA riesce a comprendere come questo clima culturale, apparentemente "ovattato", da bottega di artigiano, realmente multietnico abbia contribuito in modo determinante a generare pensieri così radicali nel fare architettura.

Questo stesso clima fa da sfondo ai lavori degli studenti delle Diploma Unit e dei Master Programs che costituiscono la mostra. Sin dai progetti del First Year si intuiscono una serie di temi, che se pur affrontati in modi e con tecniche differenti, rispecchiano l'identità della scuola.



TRANSITIONAL OBJECTS/SPACE OF BECOMING. Nel First Year emergono i lavori della Unit 1 il cui "master" è Shin Egashira. I "suoi" ragazzi si cimentano sin da subito nello studio della relazione tra lo spazio ed il corpo/movimento indagando su nuove relazioni tra ergonomia e tettonica. Il disegno è finalizzato alla realizzazione di un modello fisico scala 1/1 ("unico strumento di verifica") predisposto a cambiare la sua configurazione spaziale a seconda delle esigenze... legno, ferro e ceramica sono i materiali usati.



L'obiettivo è progettare/realizzare "transitional objects" spazi in divenire in grado di evolversi nel tempo. "Urban rooms" per attraversare lo spazio che esiste tra "l'immaginario ed il reale".



IN_FORMATION BASED DESIGN. Mark Hamel è il volto nuovo della Intermediate School e da quest'anno anche della Graduate School (Environmental Design program). La sua Unit 4 al primo anno di vita è stata in grado di rispondere in modo convincente alla richiesta ambiziosa di elaborare un "processo generativo" per il design. In questo caso ciò che dà "forma" al processo progettuale è la relazione tra lo sviluppo di "architectural actions" (piegare, bucare, scavare etc...) ed il "set" di parametri (ambiente, materiali, geometria) a cui le "actions" sono chiamate a rispondere. E che aiutano a "valutare" le "performances" dell'oggetto architettonico.
L'idea è di elaborare un "design process", importante almeno quanto il suo risultato finale, che fornisca gli strumenti/modalità per controllare il rapporto di causa-effetto nel fare architettura e per valutare le "performances" dei singoli manufatti.



Molto interessante il lavoro in gruppo con il Ma in Environmental Design di "self-construction" per il padiglione di una scuola in Ghana.

La Diploma School è storicamente, ancora più della Graduate School, il trampolino di lancio per i giovani studenti/designer che escono dalla AA. Due anni di fatiche, "final jury" composte da architetti di fama internazionale... solo con talento e personalità si può andare avanti.



FORM_FINDING. A Michael Hensel, nonostante la sua giovane età un autorità alla AA, tocca la responsabilità di sostituire Ben Van Berkel alla guida della Unit 4, oltre che di coordinare il nuovo master in Emergent Technologies. Ai suoi studenti viene chiesto di affrontare ad una scala urbana (unit 4) o di "constructive component" (Em.Tech.) questioni connesse a contesti caratterizzati da "condizioni estreme".



Le tecniche di "mapping", che vengono sperimentate, visualizzano, analizzano, quantificano, le variabili "ambientali" che incidono sull' area di studio. Questo tipo di analisi ha come fine ultimo quello di stabilire il "brief"/programma dell'oggetto (più o meno) architettonico. Una volta ottenuto tale obbiettivo, la ricerca passa per una speculazione di tipo diagrammatico sulle possibili relazioni tra le attività che costituiscono il "brief" del progetto e l'ambiente circostante. Ciò che risulta più interessante da questo processo è la fase di design puro in cui la struttura nella sua logica costruttiva, nell'uso dei materiali (con un forte interesse alla biomimetica) e nella sua organizzazione spaziale risponde a diversi, possibili scenari generando forme complesse quanto attraenti.



[10feb2004]
VARIABLE SURFACES. Visitando il "ground floor" della AA per un momento si ha quasi la sensazione di trovarsi nell'atelier di un sarto. Una varietà di modelli rigorosamente di carta estremamente complessi nella loro semplicità sono parte integrante dello spazio allestito dagli studenti della Unit 5, per il primo anno guidata da George Liarpoulos (è appena stato pubblicato il suo "IJP The Book of Surfaces").
Qui la ricerca ruota attorno all'idea di controllare lo spazio attraverso un processo generativo di formare/de-formare "superfici variabili/parametriche" in relazione a variabili rigorosamente definite in ogni singolo progetto. Oltre che una buona dose di astrazione speculativa il corso si basa sull'utilizzo di tecniche di modellazione numerica e di "narrative data models".

La premessa al corso, del resto, coerentemente ammette: "Rifiutiamo gli aspetti riduttivi riguardo un attività puramente formale, di contro abbracciamo sinceramente l'etichetta del ‘formalismo'. Noi siamo formalisti."



IN-DETERMINACY. Ad un attento osservatore non può sfuggire il filo conduttore che lega i lavori della Unit 14 e quelli del master in Landscape Urbanism. Non a caso entrambi i corsi sono guidati da Ciro Najle, cresciuto alla scuola di Reiser & Umemoto (Columbia University), uno dei motori trainanti della ricerca nella AA. Najle ed i suoi lavorano instancabilmente ad un"design process", fondato sulla "teoria dei sistemi complessi" dove il concetto tradizionale di scala viene superato. In questo approccio ciò che conta è la corretta interpretazione delle dinamiche in atto, la loro "quantificazione" e la capacità del progetto di sapere interagire con esse modificarle col tempo... stabilirne delle altre.

Entrambi i corsi operano come "laboratori" il cui lavoro è finalizzato ad una "material research". "Material" viene inteso come una "non-figurativa serie di relazioni" a determinati livelli di scala attraverso determinati campi del produrre in un determinato tempo. Il design process quasi ingegneristico, il diagramma stesso diventa pianta, sezione o prospetto, ha il fine ultimo di realizzare prototipi, manufatti architettonici predisposti alla "proliferazione" e aventi in sé l'intelligenza necessaria per "attualizzarsi".



RESPONSIVE ENVIRONMENTS. Come il processo progettuale può definire nuovi parametri per un architettura "time-based" e in questo senso "flessibile"? Su questo tema si dividono le diverse anime della AA.

C'è chi, come Brett Steele e Patrik Schumacher del DRL (Design Research Lab) opera nelle convinzione che: "il software di oggi è il nuovo hardware architettonico". Le installazioni, molto attraenti, dei ragazzi del DRL simulano una spazialità architettonica virtuale, in cui la "artificial intelligence" di ciascun componente risponde alle sollecitazione esterne in funzione delle configurazioni di uso interno e viceversa.



La mostra "Project Review 2002/2003" rappresenta in modo chiaro il dibattito architettonico alla AA (...e non solo): come ottenere un architettura "environmentally responsive"/sensibile al contesto? Con la robotica pura o piuttosto con una nuova forma di organicismo post-decostruttivista? In quest'atmosfera, qui alla AA, "nuovi" designer crescono.

Paolo Cascone
pcascon@tin.it

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