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Progress beyond the state of the art.
Intervista a Patrik Schumacher

Alessandra Belia
All'apertura dell'anno accademico 2003-2004 l'Architectural Association di Londra traccia il fronte di ricerca per l'anno corrente. L'agenda programmatica dei vari corsi, dalla Foundation School ai master di specializzazione, raccoglie i frutti di un anno di studio. Paolo Cascone introduce i diversi itinerari di sperimentazione della scuola. Tra i temi ricorrenti: Iperarticolazione ed Emergenza di Filippo Innocenti; Form finding di Marco Vanucci. Per approfondire la metodologia didattica, Manuela Gatto, corresponsabile del corso di Intermediate Unit 3, descrive il programma del nuovo anno accademico: Inter-active Fluid Space. Chiude il servizio un'intervista di Alessandra Belia a Patrik Schumacher, condirettore del Master in Design Research DRL, sul ruolo della scuola nell'avanguardia dell'architettura contemporanea e sugli orizzonti aperti dall'applicazione della robotica alla progettazione dell'architettura "responsive". [Filippo Innocenti, SPIN+]



[in english]

La mostra AAproject review, svoltasi all'Architectural Association School of Architecture di Londra, è il punto di partenza per intraprendere un viaggio nel nuovo dibattito architettonico, alla conoscenza di nuovi campi di ricerca, dove una nuova architettura potrà presto prender forma. Nuovi territori dove arte, architettura, tecnologia, scienza si fondono e insieme sperimentano nuove strade di ricerca.

Patrick Schumacher, partner di Zaha Hadid e professore al AADRL post-graduate course, racconta questi nuovi domini dell'architettura che si propongono come una difficile sfida per il mondo dell'architettura del domani, spiegandoci il suo punto di vista e i diversi approcci dei suoi studenti.

ALESSANDRA BELIA: "AAProject Review" è il nome della mostra organizzata dall'Architectural Association di Londra. Questa mostra rappresenta un vero evento culturale e attrae visitatori da tutto il mondo. È il momento in cui l'AA school apre le sue porte ad una comunità più ampia, stimolando percezioni e ravvivando il dibattito sul ruolo dell'architetto e sull'architettura, oggi e nel futuro, in campo nazionale e globale. Qual è la sua opinione sulla mostra come manifestazione del pensiero corrente e dell'attuale produzione?

PATRICK SCHUMACHER: Penso che la mostra "Project Review", organizzata dall'AA, non sia rivolta ad un pubblico generico o a un turismo culturale. È un evento interno alla disciplina o alla professione ed è, curiosamente, un evento che ha particolare importanza per il dibattito interno alla scuola. È quasi uno specchio, creato dalla scuola, affinché le differenti units -che, durante l'anno lavorano autonomamente e senza avere molti contatti- possano valutare le proprie produzioni.


Project Review exhibition. DRL exhibition room.

Ma, come è ovvio, il mondo architettonico e le diverse scuole di Londra costituiscono la parte principale degli spettatori. E se si può parlare di turismo culturale deve trattarsi di neo-studenti di architettura e giovani architetti, che giungono a Londra dall'estero per vedere la mostra. Soprattutto gli ex studenti vogliono osservare i lavori di nuova generazione e desiderano rimanere in contatto ed esser aggiornati sulle nuove ricerche che circolano nella scuola. Infatti, la ricerca nella scuola evolve molto velocemente, ed è quindi necessario venire ogni anno per esser sempre al passo con la rapidità dello sviluppo.

È importante comprendere che alcuni dibattiti interni alla disciplina architettonica e alla professione non hanno molto significato per un pubblico generico. Perché il pubblico generico dovrebbe confrontarsi con processi di design, concetti astratti o esperimenti non finiti? Questi problemi riguardano soltanto la comunità degli architetti.

L'Architectural Association di Londra è una scuola dove nascono nuove idee e dove esse vengono esplorate in modo sperimentale. La mostra "Project Review" sottolinea questa vitalità. Possiamo considerare questa produzione come una "nuova architettura di avant-garde"? Come potrebbe descrivere e definire l'attuale concetto di progresso in architettura?

Fino a quando l'architettura non avrà specifici istituti di ricerca, finanziati da appositi fondi per la ricerca, la funzione di ricerca e innovazione continuerà ad esser svolta dalle istituzioni accademiche e dai settori più all'avanguardia della professione. Il settore industriale privato è composto da grandi società, che possono permettersi di istituire dipartimenti per la ricerca e lo sviluppo. La medicina ha il supporto di istituti di ricerca, che ricevono finanziamenti pubblici e svolgono la loro attività all'interno del sistema universitario. Nel mondo dell'architettura la ricerca non riceve, invece, né finanziamenti pubblici né finanziamenti privati.

Le scuole come l'AA –e, in particolare, i corsi universitari e post-universitari– giocano un ruolo fondamentale nel processo di ricerca e innovazione. E sia il lavoro che la risorse umane si nutrono direttamente nel settore di avanguardia della professione. Questo fenomeno riguarda poche scuole di alto profilo nel mondo dell'architettura, e l'AA school è certamente in prima fila nel dibattito internazionale che riguarda l'architettura d'avanguardia. Tale ricerca è svolta sia dai professori che dagli studenti.


Project: Pneu_WAVE: mass mobilization and inflatable environments by MassiveATTRACT. Cell structure of LHR_X airport.

I professori dell'AA, collaborando con gli studenti, guidano il loro lavoro dentro questa ricerca. Il lavoro di design non è visto come un esercizio, che consente di ottenere una specifica competenza. Il lavoro, mediante la sperimentazione, ha proprio per oggetto il progresso oltre lo stato dell'arte: vengono così aperte nuove strade, non offerti prodotti finiti.

In che modo la varietà di metodi e di approcci che vengono proposti dall'Architectural Association, consentono di immaginare e di creare una nuova e migliore alternativa a ciò che già esiste?

In primo luogo, è opportuno ripetere che tutto gira intorno alla ricerca di alternative a ciò che già esiste. Sarebbe però ingenuo credere che tali alternative siano subito migliori delle soluzioni già esistenti e testate. Le alternative in questo contesto sono passi nel buio verso nuove direzioni, che non offrono soluzioni migliori, ma possibilità e opportunità per ulteriori ricerche. Questo lavoro è rivolto in avanti verso migliori soluzioni.

La sua domanda ha anche riguardo alla varietà di metodi e approcci, che operano nella scuola. Alcune volte, la scuola si compiace di offrire una vasta scala di approcci. Ciò può sembrare un vantaggio, ma penso che possa anche diventare un problema se le diverse units non focalizzano su una soluzione condivisa da tutti. Un obiettivo comune rende possibile che una competizione produttiva si sostituisca al conflitto ideologico. Fa sì che le units parlino fra loro ed abbiano molto da imparare le une dalle altre. Penso inoltre che la scuola si auto-organizzi, nel senso che essa sviluppa, al suo interno, dei movimenti coerenti, che riducono temporaneamente le diversità e creano gruppi di units che lavorano intorno allo stesso problema. Ciò nasce come una dinamica di gruppo all'interno del corpo-studenti, forse indipendentemente dalla molteplicità dei professori.

Penso che ciò sia molto importante. Facendo un paragone tra l'AA school e la Columbia University, suo principale concorrente, direi che la Columbia è stata più coerente. È vero che l'AA offre maggiore diversità, ma attualmente vi sono movimenti tra le due scuole, che fanno nascere strade di ricerca nelle quali professori e studenti sentono di partecipare allo stesso processo di ricerca.

Che impressione dovrebbe percepire il visitatore vivendo questa esperienza estetica della mostra? È più arte o architettura? Suggerisce una visione utopica o radicale della società? Oppure un nuovo modo di descrivere differenti concetti dello spazio architettonico... o un modo futuristico di vivere?

Mi sembra che la domanda sia volta a conoscere se poniamo maggiore attenzione alla forma spaziale o al contenuto sociale.

In definitiva, dobbiamo preoccuparci di entrambe le cose. L'innovazione è innovazione della forma architettonica, della forma spaziale o organizzazione spaziale, della logica di connessioni, etc., ma ciò ha un senso solo se il processo di vita assume questa nuova forma e se tale forma è per esso necessaria. La ricerca è sempre duplice: da un lato, essa ha per oggetto lo sviluppo degli spatial vocabularies; e, dall'altro, le social tendencies o institutional patterns. Pertanto, normalmente si ha una scissione tra units che si concentrano sulla ricerca sociale, e altri gruppi che lavorano su forme spaziali complesse e, forse, quelli che si pongono domande sulla struttura e sulla produzione. Può apparire un errore che si creino, in tal modo, due culture di ricerca separate, ma, alla fine, questa temporanea separazione e divisione di compiti si rivela necessaria. È comunque altrettanto necessario che le due aree di ricerca finiscano per collaborare e fondersi. Deve inoltre sottolinearsi che gli studenti non si limitano ad esporre disegni o astratte rappresentazioni di idee, ma offrono una sorta di simulazione sperimentale, una sorta di immersive space che prende il luogo dell'edificio da progettare. Lo spazio espositivo non mostra soltanto rappresentazioni architettoniche ma diventa esso stesso un spazio progettato che esplora molteplici concetti spaziali.

I suoi studenti hanno investigato il concetto di "responsive environment", cercando di dare un contributo originale a questo campo nuovo e complesso. Ma quale è il reale significato del concetto di "responsive environment" nel dibattito architettonico? E quale è il suo approccio a tale concetto?

"Responsive Environment" è il titolo della nostra attuale agenda di ricerca. È una sfida affascinante, poiché è un campo del design totalmente nuovo, e, forse, non è neppure necessario assumere che l'architettura sarà in grado di far proprio questo nuovo settore come un territorio suo proprio. Il "Responsive Environment" potrà forse diventare un settore autonomo, e consentire la collaborazione tra industrial design e interaction design, che in questo momento è soltanto una disciplina che fa parte del campo del web-design, che talvolta ancora collabora fuori dal campo del graphic design. Fuori dalla sfera dell'interaction design potrebbe nascere un gruppo di persone che lavorano sia nel mondo reale sia nel mondo virtuale.

In ogni caso, penso che l'architettura sia, forse, la disciplina del design più adatta a portare avanti la ricerca in questo territorio inesplorato. Possiamo prevedere che gran parte degli spazi architettonici diventeranno responsive e saranno animati mediante capacità cinetiche intelligenti. Ciascuno spazio avrà una serie di sensori, grazie ai quali gli occupational patterns potranno esser registrati nello spazio e restituiti alle strutture reattive intelligenti. Ciò può funzionare in una moltitudine di gamme e livelli. Penso che stia emergendo una nuova era nell'architettura –o tra l'architettura e altre discipline– che nel futuro avrà sicuramente una gran mercato. Questo sarà il prossimo grande passo nello sviluppo tecnologico.


Project: Pneu_WAVE: mass mobilization and inflatable environments by MassiveATTRACT. Cell structure of LHR_X airport.

L'AADRL è un gruppo di design isolato, che, già da qualche anno, lotta da solo per portare avanti questa sfida. Fino ad ora, soltanto gli artisti, o gli ingegneri, specializzati in robotica, vicini al mondo dell'arte, hanno lavorato in questo particolare contesto. Così, nel mondo dell'arte esistono lavori, installazioni, ambienti, che ricercano l'interattività. Questo è solo un altro esempio, che dimostra come il mondo dell'arte sia l'area più aperta e indeterminata della ricerca sociale e tecnologica. È qui che vengono scoperti e sperimentati i nuovi fenomeni. Ed è qui che è possibile investire senza alcun fine pratico e criterio di performance. Il fatto che l'architettura si cimenti in questo settore dello sviluppo indica che siamo già un passo oltre la pura sperimentazione o la pura magia delle potenzialità e degli effetti della tecnologia. Il coinvolgimento dell'architettura dimostra che stiamo cercando di portare queste possibilità aperte e infinite al livello successivo, prendendo in considerazione condizioni che operano in ambienti istituzionali e scenari con significato sociale.

Assistiamo, per esempio, allo sviluppo di sistemi interattivi, sia nei complessi residenziali che negli ambienti di lavoro, ponendo attenzione alle tendenze innovative nell'attuale organizzazione di impresa. Al momento, stiamo studiando gli aeroporti: un settore che accoglie molteplici servizi, che potranno migliorare grazie a nuove capacità comportamentali di ciò che li circonda.

La ricerca svolta dal AADRL prova ad indagare il modo in cui uno spazio si evolve, piuttosto che progettare uno spazio, per creare e studiare un nuovo tipo di ambiente e una immersive architecture. Attraverso l'uso di moderni software, siamo in grado di creare, controllare e modellare un nuovo concetto di spazio, dove la dinamica del flusso delle persone e la loro stessa autonoma riorganizzazione sono riflesse nelle risposte registrate di uno spazio che si adatta cineticamente. Si ha questa nuova capacità di creare spazî strettamente legati a chi usa gli spazî medesimi, generando così complessi sistemi comportamentali. Che cosa ne pensa?

Penso che al Design Research Lab stiamo cercando di sviluppare queste nuove capacità; capacità che sono già state esplorate nell'arte. Stiamo anche cercando di importare idee dalla robotica e dalla bio-mimetica. Stiamo scoprendo un nuovo paradigma tecnologico al fine di avere una nuova opportunità di progettare lo spazio sociale come uno spazio vivente e interattivo, su scala urbana, o su scala rapportata ad un edificio,oppure progettando su piccola scala. Il compito è molto ambizioso. La difficoltà è che questo compito richiede tutta una serie di discipline avanzate e di notevoli capacità tecnologiche. Come scuola, la competenza tecnica necessaria non può esser fornita da consulenti specializzati. Dobbiamo, infatti, costruire la nostra base di ricerca grazie ai risultati dei nostri team di studenti.


Project: Pneu_WAVE: mass mobilization and inflatable environments by MassiveATTRACT. Interior view showing inflatable environment of LHR_X airport.

Vengono organizzati gruppi di ricerca che portano avanti diversi tipi di specializzazioni. C'è bisogno di form-maker e c'è bisogno di sviluppare strutture, c'è bisogno di sviluppare meccanismi cinetici e c'è inoltre bisogno di studenti che abbiano capacità analitiche e che alla fine qualcuno acquisisca conoscenze di base sull'uso di software. Inoltre, c'è bisogno anche alcuni gruppi di studenti che abbiano una immaginazione rivolta al miglioramento sociale e che possano osservare, analizzare e simulare il comportamento collettivo delle persone. Tutto questo comporta una certa definizione del concetto di behavioral patterns che conduce alla progettazione di agenti che siano in grado di auto-organizzarzi nella vita come pattern. Questi comportamenti simulati possono allora essere confrontati con pattern conosciuti, che ritroviamo in spazi pubblici e che sono, probabilmente, video registrati dagli studenti. I pattern generati dal movimento in spazi pubblici devono essere analizzati, e la loro logica sociale deve esser capita e ricostruita attraverso agenti programmati.

Noi lo consideriamo come il dominio sui-generis del design. È proprio questa la parte del paradigma dilatato dell'architettura che noi stiamo promuovendo. Non stiamo soltanto progettando un involucro vuoto ma stiamo anche immaginando un tipo di coreografia di use-pattern che nascono con l'interazione delle nostre strutture. Questo è certamente un nuovo e entusiasmante punto di partenza per l'architettura. C'è sempre stato il desiderio di raggiungere questo traguardo. La massima ambizione dell'architettura è sempre stata quella di progettare il tessuto sociale attraverso la progettazione del suo contenitore. Oggi c'è la possibilità di simulare il comportamento sociale all'interno del suo ambiente progettato.

Ciò rappresenta un enorme progresso nelle nostre capacità progettuali; ed è consentito da software sofisticati come 3ds Max e Maya - potenziati da diversi plug-in. Questi programmi erano inizialmente rivolti all'industria cinematografica. Adesso questi strumenti di animazione ci permettono di progettare e generare scenari interattivi e che si autorganizzano.

Nel contesto della mostra il DRL ha presentato il suo lavoro di ricerca basato su diversi sensori che attivano tecnologie collegate ai computer e che simultaneamente reagiscono all'organizzazione spaziale dei visitatori. Allo stesso tempo, prototipi di robot mostrano forme di intelligenza artificiale e di ambienti cinetici sempre più avanzati. Inoltre, l'attuale ricerca è volta allo sviluppo di strumenti per progettare e simulare sistemi, che rispondono ad interazioni dinamiche coinvolgenti l'uso di tecniche come scripting, force-fields, inverse kinematics... etc. A suo parere, quali sono i nuovi domini che questa ricerca sta aprendo?

Il tipo di software di animazione che stiamo utilizzando non soltanto sta aprendo nuove possibilità tecniche, ma propone anche un nuovo modo di pensare. Stiamo modellando mondi artificiali con le loro peculiari leggi di "quasi-natura". È proprio come creare un piccolo universo nel quale qualunque oggetto o elemento può essere interattivamente posto in relazione con qualsiasi altro oggetto o elemento. All'interno di un mondo artificiale, proprietà e relazioni di elementi possono essere tradotte in funzioni, in reazioni a catena e in complesse reti di interazioni. È come scrivere le leggi di un universo artificiale.

Per cui si può creare un intero sistema di correlazioni lecite, e lasciarle agire attraverso scenari sempre in evoluzione. Questa è una nuova e affascinante partenza. Lo sviluppo delle funzioni dei software fa sì che i programmi per progettare questi nuovi mondi siano così facili da utilizzare, da rendere inutili i programmatori. Il designer può creare questi affascinanti mondi interattivi. Ci sono realtà che prima di tutto nascono nel computer, ma possono essere realizzate nel mondo reale dal momento che sensori, attuatori e chips diventano sempre più utilizzabili. E questa produzione di modelli responsive rappresenta un altro importante passo a cui stiamo lavorando – soprattutto nella forma di modelli in scala.

Stiamo progettando modelli che sono attivati da muscoli pneumatici e che sono attivati da una serie di sensori al fine di creare il primo tipo di prototipo di un responsive environment. Tre di questi modelli sono stati recentemente esposti alla mostra Latent Utopias, che ho curato personalmente per il festival delle arti tenutosi a Graz lo scorso anno. Gli studenti del AADRL vi hanno partecipato insieme a illustri architetti di avant-garde di fama internazionale. Alla mostra "Project Review"organizzata all'AA abbiamo mostrato gli stessi prototipi cinetici che hanno riscontrato un così largo successo. Questi modelli non rappresentano solo affascinanti gadget ma sono parte di un più vasto progetto che è analizzato con riguardo al suo significato sociale e alle sue implicazioni estetiche.

Lei ha detto: "Qualsiasi parametro di qualsiasi oggetto potrebbe essere dinamicamente relazionato con qualunque parametro di qualunque altro oggetto dentro il modello". Ciò significa che il designer ha la libertà e il potere di plasmare mondi artificiali, ognuno con la sua particolare "legge di natura". Questa potrebbe essere la chiave di lettura per capire questi nuovi "responsive environment"? Siamo arrivati a ciò che potremmo chiamare "stadio di mutazione"?

Prima di tutto, penso che questo concetto sia molto importante. Gli oggetti e gli elementi che progettiamo sono sempre nodi di una rete dinamica costituita da elementi e relazioni; essi non si collocano autonomamente. Non si possono progettare uno dopo l'altro in isolamento. La progettazione di ogni oggetto impone di considerare l'impatto che esso ha sull'oggetto progettato precedentemente. I primi oggetti cambiano la loro identità in una catena di elementi interconnessi.

Per cui c'è una nuova complessità che deve essere compresa e approfondita in questo particolare lavoro di design. Non si possono più prendere in considerazione semplici nozioni ontologiche su come il mondo è costituito. Il mondo è fatto più di relazioni che di oggetti con stabili proprietà.

Si deve considerare il mondo come un sistema integrato e non come una collezione di oggetti ordinati secondo una classificazione o composti in una disposizione spaziale statica. All'interno di un network l'identità di qualunque oggetto o nodo dipende dalla globalità del tessuto di relazioni, che potrebbe entrare a far parte dentro sia direttamente che indirettamente. E tutto questo implica un processo continuo di trasformazione, che non può più esser racchiuso dentro una stabile categoria. Ci stiamo spostando dal concetto di tipologia a quello di topologia e di modelli parametrici. La cosa più importante è che l'oggetto può soltanto esser identificato dalla sua posizione all'interno del network di relazioni. E questa posizione non è principalmente una posizione spaziale. Infatti, gli oggetti diventano agenti nel network di collaborazione. Per cui la loro identità dipende dal loro ruolo sociale all'interno della società del sistema di componenti.

Gli utenti potrebbero
esser concettualizzati come un particolare sottogruppo del sistema dei componenti con un alto grado di autonomia. Gli agenti, inoltre, si sviluppano nel tempo. Possiamo così introdurre il concetto di funzione della memoria. Se tutto ciò sta diventando una sembianza generalizzata del nostro mondo artificiale, non si può più descrivere un oggetto senza riferirsi all'oggetto originario, alla propria posizione all'interno del suo ciclo di vita o traiettoria di sviluppo. Il processo di vita dell'oggetto potrebbe comportare un lasso di tempo fisso, oppure uno dipendente dalla storia dell'interazione con altri oggetti. Le possibilità sembrano infinite. Persino un'evoluzione artificiale potrebbe essere studiata.

Quando si parla del concetto di mutazione ci stiamo forse spostando verso una sfera ancor più complessa. Durante lo sviluppo di questo particolare sistema, si può, forse, distinguere un sistema ciclico, composto da una serie di eventi interconnessi oppure da reazioni a catena che si ritrovano sempre alla condizione iniziale. Un oggetto oscilla. Esso ha un semplice ciclo di vita. Ciò che stiamo iniziando ad analizzare –basandoci, naturalmente, sulla ricerca del computer all'interno degli algoritmi genetici e all'interno della programmazione genetica– è la possibilità che il responsive interaction lasci tracce. Vorremmo sviluppare un oggetto, mutare un oggetto, permettendo all'oggetto di evolversi e di raccogliere esperienze. Per cui tutto questo processo non è un ciclo di vita prefigurato, ma un tipo di sviluppo di vita di ogni elemento. Questo è un nuovo e affascinante modo di pensare, mediante il quale si cerca di progettare piccoli mondi dove sia gli oggetti, sia il sistema come globalità, si evolvono.

Questo non è un universo di tipo Newtoniano con sistemi ciclici e stabili, ma un universo di tipo Darwiniano, caratterizzato da processi di mutazione, selezione, riproduzione, sviluppo ed evoluzione. È una sfida affascinante da portare avanti, ma, oggi, c'è anche un modo necessario e pertinente di pensare l'architettura, dato dal fatto che il processo della vita sociale è in continuo cambiamento. E queste trasformazioni sono irreversibili piuttosto che cicliche. Per cui l'architettura potrebbe essere in grado di partecipare a questo meccanismo. Pertanto, la capacità di evoluzione e sviluppo diventa, fin dall'inizio, una design agenda consapevole.

Alessandra Belia
alessandrabelia@tiscali.it

[10feb2004]

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