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In Architecture and Disjunction (Mit Press, 1994) Bernard Tschumi propone una nuova triade in sostituzione di quella vitruviana. Spazio, evento e movimento, secondo l'architetto svizzero costituirebbero oggi chiavi di interpretazione molto più adatte di una firmitas ormai superata sia nel suo significato di solidità che in quello di aspirazione all'eternità, di una utilitas difficilmente discernibile nel continuo cambiamento di usi e obiettivi, di una venustas inafferrabile e ampiamente emarginata dallo stesso campo di riflessione artistica. [26nov2003]
             
 
       
 
Bernard Tschumi, Architecture and Disjunction. 1994
       
             
La componente temporale, dinamica della proposta di Tschumi non si distacca solo dalla concezione più tradizionale del progetto architettonico, ma si differenzia sostanzialmente anche dall'approccio del movimento moderno o almeno dalla sua vulgata più diffusa. Certo, la riflessione scientifica, filosofica, artistica e architettonica nei primi vent'anni del secolo scorso presentava aspetti più che progressivi -come testimonia Sanford Kwinter in Architectures of Time. Toward a Theory of the Event in Modernist Culture (Mit Press, 2001) dedicato ai complessi rimandi rintracciabili nelle teorie di Einstein e gli scritti e le opere di Boccioni e Sant'Elia, o in Bergson e Kafka- ma gran parte delle proposte moderniste in architettura e urbanistica tendeva a fondarsi sulla costruzione di nessi statici e deterministici tra funzione e forma e, in definitiva, alla produzione di oggetti tout-court.
             
 
 
 
Sanford Kwinter, Architectures of Time. Toward a Theory of the Event in Modernist Culture, 2001
 
             
La nozione di evento, con il suo carattere mutevole e aleatorio, mette in crisi ogni idea di forma espressa attraverso assetti definitivi, ponendo in rilievo quello che accade e soprattutto quello che può accadere in un qualsiasi spazio, anche al di là delle previsioni. È evidente, in questo sforzo di trasformazione della disciplina, non solo il tentativo di mantenersi in contatto con una realtà in costante e accelerata mutazione evolutiva (cfr. Paul Virilio, A Landscape of Events, Mit Press, 2000), ma anche di ampliare la capacità dell'architetto di rispondere a situazioni che sfuggono alle sue capacità di comprensione e intervento. Si tratta di un approccio che rispetto al sistema di sicurezze che regge la pratica del progetto architettonico risulta tanto destabilizzante quanto aperto a nuovi sviluppi, dove alla intenzione di suddividere e confinare si sostituisce la ricerca e l'amplificazione del possibile, dell'inaspettato (cfr. Bernard Tschumi, Event Cities, Mit Press, 1994, e Event Cities 2, Mit Press, 2000).
             
 
 
 
Paul Virilio, A Landscape of Events, 2000
Bernard Tschumi, Event Cities, 1994
Bernard Tschumi, Event Cities 2, 2000
[Agnoletto]
 
             
Luogo fondamentale di sperimentazione di questo approccio è stato senz'altro il concorso per il parco della Villette (1982), dove la densità del programma funzionale provoca la risposta innovativa di almeno due proposte: quella, poi realizzata, dello stesso Tschumi e quella ancora più radicale di Rem Koolhaas/OMA. Le strategie di stratificazione di elementi generici (la griglia per Tschumi, le fasce e la distribuzione "matematica" delle funzioni puntuali per Koolhaas) esprimono l'intenzione di evitare che la specificità degli assetti morfologici impedisca il libero dispiegarsi delle situazioni, mentre le fasce di OMA, aumentando le linee di frizione tra parti funzionali differenti, si propongono come vere e proprie "macchine produttrici di eventi". Questi ultimi, nella soluzione realizzata, trovano una loro rappresentazione architettonica nel casuale sovrapporsi e incontrarsi dei diversi layers programmatici (punti-folies, linee-percorsi, zone-superfici).

La ricerca attorno alle potenzialità degli eventi aleatori presenta un'ampia casistica, dal principio di indeterminazione di Heisenberg (1927: "è impossibile stabilire contemporaneamente posizione e velocità di una particella con una precisione superiore a un valore dato") alla fisica dei quanti (la cui componente probabilistica fece esclamare a Einstein il famoso "Dio non gioca a dadi"), passando per il surrealismo, dada, la poesia automatica, l'improvvisazione jazzistica, l'espressionismo astratto, la teoria del caos, fino alla patafisica di Jarry o all'Oulipo di Queneau, Perec e Calvino. Ma il movimento che, per evidenti aspetti generazionali e profonde implicazioni politiche e sociali, ha senz'altro avuto più influenza nel portare l'evento al centro della riflessione architettonica è stato senz'altro l'Internazionale situazionista. Fondata nel 1957 riunendo gruppi artistici e politico-filosofici (il movimento per una Bauhaus immaginista, nato dal gruppo Cobra, da un lato e Lettrist International dall'altro) e scioltasi nel '72, l'Internazionale situazionista ha svolto un ruolo di primo piano nella sinistra libertaria e, soprattutto, nei fatti rivoluzionari del 1968, estendendo la sua influenza anche su fenomeni più recenti come il punk o alcune tesi del pensiero postmoderno.

Città e architettura sono da subito teatro della riflessione e dell'azione situazionista (cfr. Theory of the dérive and other situationist writings on the city, a cura di Libero Andreotti e Xavier Costa, Actar, 1996; Bruno Fortier, "Arianna disoccupata", in Id., Amate città, Electa, 1995). La pratica della "deriva" (vagare casuale attraverso i quartieri in cerca di situazioni) è la base per la costruzione di mappe "psicogeografiche" dove all'oggettività della cartografia ufficiale si sostituisce un'analisi delle relazioni tra linguaggi, persone, narrazioni, eventi, potenzialità... L'opposizione radicale verso un'urbanistica ossessionata dall'incremento della mobilità meccanica e dalla separazione funzionale dello zoning, dove lo spazio per qualsiasi attività non programmata viene progressivamente eliminato, conduce alla proposta dell'"urbanismo unitario", utopia di una città priva di alienazione, animata giocosamente dai diversi desideri in competizione fra loro (cfr. Leonardo Lippolis, Urbanismo unitario. Antologia situazionista, Testo & Immagine, 2002).
             
 
 
 

Libero Andreotti (editor), Theory of the dérive and other situationist writings on the city, 1996

Bruno Fortier, Amate città, 1995

Leonardo Lippolis, Urbanismo unitario. Antologia situazionista, 2002
[Mastrigli]

 
             
Sull'ipotesi della fine del lavoro (tutte le mansioni ripetitive possono e devono essere espletate dalle macchine e ciò che resta è pensiero e azione creativa) si fonda il progetto di Constant Nieuwenhuys per una città ideale, New Babylon (1959), che si presenta come una enorme e ramificata infrastruttura sospesa sopra il territorio (vedi Mark Wigley, Constant's New Babylon, Phillip Galgiani, 1999; Francesco Careri, Constant. New Babylon, una città nomade, Testo & Immagine, 2001; e, soprattutto, Simon Sadler, The Situationist City, Mit Press, 1998). A differenza di precedenti come il Plan Obus, dove la libertà di costruire la propria casa su terreni artificialmente moltiplicati costituiva una sorta di intensificazione di meccanismi economici e sociali esistenti, New Babylon presuppone una totale liberazione dai vincoli residenziali della produzione e della famiglia. Il nomadismo che ne deriva, la disponibilità ad accogliere e stimolare il verificarsi di eventi imprevedibili e la libertà di ricreare in ogni momento l'ambiente adatto per le attività ludico-creative (vedi Libero Andreotti, Pratiche ludiche dell'urbanistica situazionista, in "Lotus", n. 108, 2001) è alla base di una configurazione a rete virtualmente infinita, priva di gerarchia e di riconoscibili costanti geometriche che rappresenta forse il primo esempio di "utopia aperta" nel vasto elenco di proposte di città ideali.
             
 
Mark Wigley, Constant's New Babylon, 1999
 
 

Francesco Careri, Constant. New Babylon, una città nomade, 2001
[Iacovoni]

Simon Sadler, The Situationist City, 1998
 
             

 

         
 
"Lotus", 108, 2001
 
             
Con gli anni Sessanta la diffusione di approcci concettualmente paragonabili a quelli situazionisti si diffonde nel design radicale soprattutto inglese e italiano (tra gli altri Archigram e Cedric Price, nei quali prevale la componente tecnologica, Archizoom, Superstudio ecc.; cfr. Radicals. Architettura e design 1960-75, a cura di Gianni Pettena, Il Ventilabro-La Biennale di Venezia, 1996), dando luogo a una serie di proposte sempre più estreme che, nel volgere di poco più di un decennio, sembrano esaurirne le possibilità analitiche (cfr. The Activist Drawing. Retracing Situationist Architectures from Constant's New Babylon to Beyond, a cura di Catherine de Zegher e Mark Wigley, Mit Press, 1999, catalogo di una mostra specificamente orientata all'analisi dei disegni di Constant e del loro rapporto con esempi contemporanei e successivi). Ma la mostra del Beaubourg del 1988 riporta le tematiche situazioniste all'attenzione del dibattito culturale, coagulando in questi ultimi anni (come testimoniano le date di edizione dei testi qui citati) l'interesse di parte della critica architettonica e di alcuni progettisti. A differenza di Guy Debord e compagni, questi architetti delle nuove generazioni (soprattutto olandesi e spagnoli, in gran parte passati per lo studio di Rem Koolhaas) sembrano aver rinunciato a una rivoluzione oggi molto più lontana di quanto potesse sembrare quarant'anni fa, volgendo l'utopica radicalità situazionista a fini estremamente più pragmatici (cfr. New Babylonians: Contemporary Visions of a Situationist City, a cura di Iain Borden e Sandy McCreery, "Architectural Design Profile", n. 151, Wiley-Academy, 2001). Gli eventi programmati, consentiti, scatenati, rappresentati dai loro progetti aspirano a confrontarsi con situazioni dove una semplice, per quanto aggraziata, composizione architettonica risulterebbe impotente. I terreni vaghi dello sviluppo infrastrutturale, i luoghi della mobilità e del consumo, le installazioni pubbliche in pericolo di vandalismo, le aree di frizione sociale richiedono infatti sforzi di immaginazione che superano la mera sistemazione morfologica.
             
 
 
 
Gianni Pettena, Radicals. Architettura e design 1960-75, 1996
Catherine de Zegher, Mark Wigley (editors), The Activist Drawing. Retracing Situationist Architectures from Constant's New Babylon to Beyond, 1999
Iain Borden, Sandy McCreery (editors), "Architectural Design Profile", 151, 2001, New Babylonians: Contemporary Visions of a Situationist City
 
             
L'architettura che ne deriva, e soprattutto le motivazioni concettuali che la giustificano, raccolgono spesso l'accusa di cinismo sia da parte di chi vede tradita la centralità della disciplina architettonica come modo di trasformazione del mondo fisico, sia da chi non sopporta che la logica situazionista venga piegata a risolvere le contraddizioni di un modo di produzione contro il quale combatteva. E in effetti, tanto l'interesse accademico verso un'avanguardia assolutamente estranea alle gerarchie universitarie quanto l'efficienza pratica di un'analisi radicalmente ludica, dove i fatti della vita si incrociano a quelli dell'arte, costituiscono un intrigante paradosso. Resta comunque, al di là delle polemiche su chi sia più rivoluzionario o si stia vendendo al capitale, il tentativo autenticamente utopico, con i tempi che corrono, di ampliare il campo di analisi e applicazione del pensiero architettonico.

Giovanni Corbellini
gcorbellini@units.it
post scriptum

Pino Mincolelli segnala:
Edgar Morin e altri, Teorie dell'evento, Bompiani, 1974.

sui situazionisti:
Tom McDonough (a cura di), Guy Debord and the Situationist International, Mit Press, 2002.

e:
C. Maraghini Garrone, Constant, New Babylon. Paesaggi di una città immaginaria, in "Controspazio", n. 4, 1990.

sulle nuove configurazioni urbane:
La citta temporanea. Nuove configurazioni per il viaggio e l' evento, Electa, 1995. Mostra tenuta alla Triennale di Milano tra il 1995 e il 1996.

Per altri approfondimenti in ambito filosofico e sociale:
Tempo, evento e linguaggio, a cura di Mario Ruggenini e Luigi Perissinotto, Carocci, 2002.

Francois Zourabichvili, Deleuze. Una filosofia dell'evento, Ombre corte, 1998.

Events, a cura di Roberto Casati e Achille C. Varzi, Dartmouth, 1996.

Gennaro Sasso, Tempo, evento, divenire, Il mulino, 1996.

Franco Crespi, Evento e struttura. Per una teoria del mutamento sociale, Il mulino, 1993.

Jean François Lyotard, Peregrinazioni. Legge, forma, evento, Il mulino, 1992.

Fabrizio Fornari, Essere ed evento in Heidegger, Franco Angeli, 1991.

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