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Parole Chiave

Mobile



Il terzo termine della "triade di Tschumi", spazio, evento, movimento (Architecture and Disjunction, MIT Press, 1994), non costituisce di certo una novità all'interno della riflessione del moderno. Quando Sant'Elia scrive il manifesto dell'architettura futurista (1914) la mobilità meccanica costituiva un elemento acquisito della vita metropolitana, con il quale l'architettura non poteva più evitare il confronto. E in effetti, come rileva André Corboz in un articolo particolarmente acuto (Avete detto spazio?, in "Casabella", n. 597-598, 1993), uno dei caratteri specifici dei capolavori contemporanei è di presupporre una interazione dinamica con l'osservatore. Il classico di Giedion (Space, Time and Architecture, Harvard University Press, 1941) aveva già sottolineato questa componente (facendola risalire fino al barocco borrominiano) evidenziando inoltre la drammatica amplificazione di effetti dovuta alla mobilità veloce, sia quelli problematici sulla coesione dei tessuti urbani, che quelli più affascinanti della progettazione di grandi infrastrutture in "contrasto tecnico" tra artificio e natura. [18jan2004]
             
 
     
 
Bernard Tschumi, Architecture and Disjunction. 1994
Siegfried Giedion, Space, Time and Architecture: The Growth of a New Tradition. 1941
     
             
Da questo momento in avanti si moltiplicano i testi che individuano nella mobilità la condizione specifica dell'innovazione architettonica e urbana: dai fondamentali Learning from Las Vegas (Robert Venturi, Denise Scott-Brown e Steven Izenour, Mit Press, 1972) e Los Angeles. The Architecture of Four Ecologies (Reyner Banham, Penguin Press, 1971) ai recenti contributi italiani di Paolo Desideri (La città di latta, Costa & Nolan, 1995 e, con Massimo Ilardi, Attraversamenti, Costa & Nolan, 1997) la bibliografia sul tema non smette di assistere a continue nuove aggiunte (tra le quali segnalo anche il mio Grande e veloce, Officina, 2000). E, a testimoniare che il tema è ben lontano dall'aver esaurito la sua attualità, appare significativo che Ben van Berkel, uno dei più avanzati metabolizzatori di novità tecnologiche, insista nel considerarlo centrale: dopo aver pubblicato Mobile Forces (a cura di Kristin Feireiss, Ernst & Sohn, 1994) ha intitolato Move (con Caroline Bos, UN Studio & Goose Press, 1999) la raccolta di saggi e progetti che descrive la sua attività negli anni Novanta.
             
 
 
 
Robert Venturi, Denise Scott-Brown e Steven Izenour, Learning from Las Vegas, 1972
Reyner Banham, Los Angeles. The Architecture of Four Ecologies, 1971
Paolo Desideri, La città di latta, 1995
 
             
 
 
 
Paolo Desideri, Massimo Ilardi, Attraversamenti, 1997
Giovanni Corbellini, Grande e veloce, 2000
Ben van Berkel, Caroline Bos, Move, 1999
[Fici]
 
             
Una componente laterale, meno battuta per l'intrinseca radicalità ma altrettanto interessante, è quella che indaga la mobilità dell'architettura stessa. Anche in questo caso, non si tratta di una invenzione recente. Non mancano esempi negli anni trenta (l'asile flottante di Le Corbusier o la casa Girasole di Angelo Invernizzi, vicino a Verona, in grado di ruotare su se stessa per ottenere l'esposizione più vantaggiosa) e nel dopoguerra, soprattutto grazie alle ricerche di Bucky Fuller (cfr. il recente Buckminster Fuller: Anthology for a New Millennium, a cura di Thomas T.K. Zung, St. Martin's Press, 2002), ma, come al solito, sono gli anni Sessanta a presentare una più cospicua e variata produzione. Il contributo del design radicale, soprattutto da parte di Archigram con i progetti per Plug in City e Walking City (1964) e dei metabolisti giapponesi (ad esempio con la Capsule Tower di Kisho Kurokawa, 1972), per quanto proiettato verso scenari futuri, comincia a rispondere a una domanda reale. Negli Stati Uniti, alla fine del decennio, ben il 25% dei nuovi alloggi sono costituiti da mobile homes (cfr. Paul-Henri David, Maisons mobiles aux Etats-Unis, in "L'Architecture d'Aujourd'hui", n. 157, 1971) e, anche in Europa, si moltiplicano richieste e occasioni per una architettura mutevole e istantanea.
             
 
 
 
Thomas T.K. Zung (editor), Buckminster Fuller: Anthology for a New Millennium, 2002
Peter Cook (editor), Archigram, 2000
 
             
La disponibilità di nuove tecnologie, come le materie plastiche, stimola le ricerche attorno ai gusci in resine rinforzate (vedi la maison Boulle di Jean Maneval, 1964-68) mentre la valenza quasi immateriale dei gonfiabili affascina i giovani francesi del gruppo Utopie (cfr. The Inflatable Moment. Pneumatics and Protest in '68, a cura di Marc Dessauce, Princeton Architectural Press, 1999) e trova poi varie forme di applicazione, dal design industriale (famosissima la poltrona Blow, di De Pas, D'Urbino e Lomazzi, 1967) a strutture anche molto vaste, come il primo centro di distribuzione Bergamin realizzato da Gino Valle nei pressi di Portogruaro con un pallone pressostatico (cfr. anche Sean Topham, Blow-Up. Inflatable Art, Architecture, and Design, Prestel, 2002).
             
 
 
 

Marc Dessauce (editor), The Inflatable Moment: Pneumatics and Protest in '68, 1999

Sean Topham, Blow-Up: Inflatable Art, Architecture, and Design, 2002

 
             
La recente ripresa di interesse intorno ai temi dell'architettura mobile è testimoniata, oltre che dai due libri sull'inflatable appena citati, da diversi altri contributi, a cominciare dallo stesso Tschumi, autore insieme ad Hans Ibelings di Architecture In/of Motion (Distributed Art Publishers, 1997). Tra la fine del 2002 e l'inizio del 2003 si è poi tenuta al nuovo Vitra Design Museum di Berlino la mostra Living in Motion (catalogo a cura di Alexander Von Vegesack e Mathias Schwartz-Clauss) che ripercorre a vasto raggio le tematiche della flessibilità e della mobilità, dai maestri del moderno (Wright, Mies, Rietveld...) fino alle proposte dell'atelier van Lieshout, gruppo artistico olandese particolarmente attivo nel mescolare arte e vita. Analogo intento storico, ma più sistematicamente diretto a selezionare soluzioni per il progetto contemporaneo, emerge in Houses in Motion. The Genesis, History and Development of the Portable Building (Robert Kronenburg, John Wiley & Sons; 2a ed. 2002), mentre Mobile and Rapidly Assembled Structures III. Advances in Architecture (a cura di F. Escrig e C.A. Brebbia, Computational Mechanics, 2000) presenta un carattere più manualistico e tecnologico. Una interessante raccolta di progetti recenti è invece contenuta in Mobile. The Art of Portable Architecture (a cura di Jennifer Siegal, Princeton Architectural Press, 2002), con esempi che spaziano dalle ultime ricerche sui gonfiabili dello studio Festo fino alle complesse macchine sceniche itineranti per i grandi eventi musicali (Pink Floyd, Rolling Stones, U2...) disegnate dal Mark Fisher Studio.
             
 
 
 

Bernard Tschumi, Hans Ibelings, Architecture In/of Motion, 1997

Alexander Von Vegesack, Mathias Schwartz-Clauss (editors), Living in Motion: Design and Architecture for Flexible Dwelling, 2002

Robert Kronenburg, Houses in Motion. The Genesis, History and Development of the Portable Building, 2002

 
             
 
Jennifer Siegal, Mobile. The Art of Portable Architecture, 2002
 
 

F. Escrig e C.A. Brebbia (editors), Mobile and Rapidly Assembled Structures III. Advances in Architecture, 2002

 

 
             
Da tutti questi contributi emergono alcuni temi ricorrenti, primo fra tutti la leggerezza, requisito fondamentale di ogni prospettiva di mobilità. Alla Light architecture è dedicato l'omonimo articolo di Pierluigi Nicolin ("Lotus" n. 105, 2000, corredato da una serie di interessanti progetti di giovani architetti) che, attraverso la categoria dell'assemblaggio a secco, ripercorre all'indietro alcuni dei luoghi topici della leggerezza architettonica risalendo alle origini teoriche semperiane. Sempre nell'ambito della riduzione del peso è attesa la pubblicazione di Featherweights. Light, Mobile and Floating Architecture (Oliver Herwig, Prestel, 2003). Altra strategia largamente utilizzata per rendere possibili la trasportabilità riguarda la riduzione dimensionale, evidente nei gonfiabili o in vari tipi di strutture smontabili (tensostrutture, reticolari ecc.), più sofisticata in numerosi esempi di "edifici" mobili a geometria variabile, con elementi scorrevoli, apribili a libro, a soffietto ecc. (cfr. Per Mollerup, Collapsible. The Genius of Space-Saving Design, Chronicle Books, 2002).
             
 
 
 

Oliver Herwig, Featherweights: Light, Mobile and Floating Architecture, 2003

Per Mollerup, Collapsible: The Genius of Space-Saving Design, 2002

 

 
             
Sempre legata alla trasportabilità è la standardizzazione delle misure, necessaria per uniformarsi alle norme dei codici della strada nel caso gli oggetti possano muoversi autonomamente o alle caratteristiche dei mezzi di trasporto nelle altre situazioni. Appare quasi naturale, in questo senso, la scelta operata da molti progettisti di utilizzare il container (normato per il trasporto sui più diversi vettori commerciali) come ready-made da modificare a seconda delle diverse esigenze. A Londra è stato realizzato un condominio a basso costo per giovani artisti e il successo dell'operazione ha fruttato a Nicholas Lacey and Partners l'incarico per il progetto di un centro commerciale e per l'ampliamento di una scuola. Lo studio LOT/EK, con base a New York ma formato dagli italiani Ada Tolla e Giuseppe Lignano, usa il container in numerosi progetti e realizzazioni come la Bohen Foundation e la manifestazione Art Basel Miami Beach (vedi LOT/EK. Urban Scan, Princeton Architectural Press, 2002, e H. Urbach, R. Kronenberg, A. Betsky, LOT/EK. Mobile Dwelling Unit, Distributed Art Publishers; 2003). Analoga ricerca viene portata avanti da Doug Jackson (progetto e-Hive per una comunità cablata), da Adam Kalkin, che ha realizzato, tra l'altro, una casa prototipo a Shelburne e una villa da 400 mq nel Maine, e da MVRDV, recentemente impegnati nel proporre una Container city fatta di 3500 elementi nel porto di Rotterdam come sede delle attività centrali della prima biennale di architettura olandese (2002). Tra i primi a proporre il container come oggetto di una ricerca architettonica va comunque ricordato Wes Jones (Instrumental form. Design for words, buildings, machines, Princeton Architectural Press, 1998) il quale, oltre a sfruttarne le caratteristiche nel progetto High Sierra cabins, ne individua una sorta di ascendenza americana nella consuetudine di utilizzare elementi della produzione di serie, portando a esempio l'Hot Rod, bolide autocostruito con il suo grosso motore cromato e i tubi di scarico bene in vista, in confronto alla sofisticazione estetica, simbolica e funzionale delle fuoriserie europee.
             
 
Ada Tolla, Giuseppe Lignano, LOT/EK: Urban Scan, 2002

Christopher Scoates (editor), LOT/EK: Mobile Dwelling Unit, 2003

 
 
Wes Jones (editor), Instrumental Form: Designs for Words, Buildings, Machines, 1998
 
             
Un approccio più contemporaneo, che in diversa misura riassume le varie strategie alla base della mobilità dell'architettura, è quello proposto da Shigeru Ban. Vedi Paper Tube Architecture from Rwanda to Kobe, Chikuma shobo Publishing Co., 1998, oppure Eugenia Bell (editor), Shigeru Ban, Princeton Architectural Press, 2001. La sua Paper Loghouse, progettata in seguito al terremoto di Kobe e utilizzata poi in altre situazioni di emergenza, affronta una delle più forti motivazioni funzionali per questo tipo di progetti attraverso l'elaborazione di una sorta di software che permette di realizzare rapidamente e a basso costo, a partire da materiali reperibili in loco come casse di birra, sacchi di sabbia, cartone ecc., delle unità abitative facilmente riciclabili una volta terminato il loro utilizzo.
             

 

         
 
Eugenia Bell (editor), Shigeru Ban, 2001
 
             
Sotto la spinta delle necessità, così come aderendo a stili di vita sempre più nomadici, anche l'architettura sembra dunque seguire il destino di portabilità di telefoni, computer e altre nostre protesi elettroniche. E lo fa senza scomporsi più di tanto, dimostrando la vitalità di un pensiero capace di staccarsi da terra.

Giovanni Corbellini
gcorbellini@units.it 
post scriptum

per una discussione ad ampio raggio sulle relazioni tra condizione della mobilità e residenza:
"Piano progetto città", n. 20-21, 2003, Casa new motion, a cura di Susanna Ferrini.

sulla concezione del movimento nell'architettura olandese recente:
Kari Jormakka, Flying Dutchman. Motion in Architecture, Birkhäuser, 2002.

sulle sperimentazione più recenti nell'ambito dell'abitazione:
Archilab's Futurehouses. Radical Experiments in Living Space, a cura di Marie-Ange Brayer e Béatrice Simonot, Thames and Hudson, 2002.

sulla mutabilità delle configurazioni spaziali abitative:
"Architectural Design", vol. 70, n. 4, 2000, The Transformable House, AD profile n. 146, a cura di Jonathan Bell, Sally Godwin.

dedicato ai gonfiabili e ad altre strategie di temporaneità/mobilità:
"Architectural Design", vol. 68, n. 9/10, 1998, Ephemeral/portable architecture, AD profile n. 135, a cura di Robert Kronenburg.

per un approccio al movimento più fenomenico che letterale:
Greg Lynn, Animate Form, Princeton Architectural Press, 1998.

ancora sull'inflatable vedi un vecchio numero di:
"Architectural Design", giugno 1968, Pneu World.

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