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Parole Chiave

Collisione



Nel capitolo "La città in collisione e la politica del bricolage", Colin Rowe (Collage City, The MIT Press, 1981, con Fred Koetter) affronta l'utopia del controllo progettuale totalizzante che quasi tutti i protagonisti del moderno hanno visto infrangersi contro la complessità dei fenomeni di formazione, trasformazione e uso delle strutture urbane. Complessità cresciuta in modo esponenziale nella città della democrazia, dove la costruzione dello spazio è sottoposta all'azione combinata e spesso conflittuale di numerosi gruppi di potere. Se questa conflittualità ha prodotto alcuni luoghi fondamentali del moderno (ad esempio Central Park, nato come sogno arcadico e diventato poi icona metropolitana grazie alla lotta tra "disurbanisti" unitariani e speculatori edilizi), nella maggior parte dei casi determina situazioni contraddittorie, irrisolte e spesso pericolose. Il rapporto tra città e automobile ne è uno degli esempi più evidenti. Descritto da Marshall Berman a partire dalla sua esperienza personale nel Bronx sventrato dalle autostrade di Robert Moses (All that Is Solid Melts into Air, Simon & Schuster, 1982), lo scontro tra modernità dei rapporti sociali e modernizzazione tecnologica si è oggi ulteriormente approfondito. L'intricata interdipendenza tra strutture urbane, infrastrutture e mobilità, che emerge nel recente volume a cura di Jonathan Bell, Carchitecture. When the Car and the City Collide (Birkhaüser, 2001), non dà alternative all'"abitare il conflitto" o, come direbbe Rowe, affrontarlo con attitudine da bricoleur, facendo con quello che si ha a disposizione. Non a caso molte delle più efficaci proposte contemporanee mostrano approcci inclusivi, dove stratificazioni, ibridazioni, frizioni cercano di accogliere le differenze e di svilupparne le potenzialità generative. [14jun2004]
             
 
 
 
 
Colin Rowe, Fred Koetter, Collage City, 1981
Marshall Berman, All That Is Solid Melts into Air: The Experience of Modernity, 1982
 
Jonathan Bell, Carchitecture. When the Car and the City Collide, 2001
 
             
Nel passaggio dall'analisi al progetto sembra quindi che il termine "collisione" tenda in qualche misura a perdersi. Il suo potere descrittivo difficilmente oltrepassa il livello dell'evocazione metaforica per farsi strumento operativo di trasformazione (vedi, ad esempio, The Virtual Dimension. Architecture, Representation, and Crash Culture, a cura di John Beckmann, Princeton Architectural Press, 1998). Del resto, se non mancano le collisioni tra forme, ideologie, tempi, velocità..., è poco plausibile che la sostanziale staticità degli edifici e la lentezza dei processi di realizzazione possa risolversi in confronti effettivi con le violente interazioni dinamiche associate all'incidentalità di uno scontro e ai suoi effetti spesso catastrofici. Ciò non di meno, vi è chi affronta le minacciose e destabilizzanti conseguenze della contemporaneità ricorrendo spesso, similmente ad altri campi artistici, all'allegoria o all'analogia morfologica. Un recente numero di "Lotus" dedicato a Informale e nuove strutture (n. 104, 2000) presenta, a commento di un articolo di Luis Fernández-Galiano, Terremoto e terapia, una serie di intriganti affinità tra immagini di vari cataclismi e progetti contemporanei, dove l'ampio ricorrere alla metafora dello scontro violento viene ironicamente interpretata come una sorta di esorcismo verso l'instabilità attuale. Gli eventi sismici accostati ad Eisenman, le lamiere piegate da un incendio a Miralles, un paradossale disastro ferroviario a un progetto di viadotto di Zaha Hadid mostrano tutti un atteggiamento ampiamente condiviso con il maggiore "catastrofista" contemporaneo, Daniel Libeskind, che, dopo il museo ebraico di Berlino e l'Imperial War Museum North di Manchester (vedi Deyan Sudjic, L'architettura del conflitto, in "Domus", n. 851, 2002), sta progettando la ricostruzione del World Trade Center pescando a piene mani nella retorica simbolista (la maggiore altezza del complesso equivale in piedi, 1776, alla data della dichiarazione di indipendenza americana...). Tuttavia, per quanto formalmente tormentate, le composizioni di Libeskind e compagni rimangono, appunto, tali: quando i conflitti si "compongono" cessano di esistere. E il parlare di "collisioni" attraverso operazioni incardinate a controlli progettuali ferreamente deterministici non fa che disinnescare, in definitiva, quella ambigua e inquietante commistione fra moralismo e fascinazione estetica ben presente nelle serigrafie di Warhol (il quale, oltre a riprodurre barattoli di minestra o star del cinema, ingrandiva foto di macchine incidentate), in Crash (il romanzo di J.G. Ballard, edito da Farrar, Straus and Giroux, 1973, il cui protagonista raggiungeva l'eccitazione sessuale solo tra l'accartocciarsi di lamiere e carne di scontri automobilistici), o nel cinema di Quentin Tarantino ("la violenza è divertente").
             
 
 
 
John Beckmann, The Virtual Dimension: Architecture, Representation, and Crash Culture, 1998
"Lotus" 104, 2000, Informale e nuove strutture
"Domus" 851, 2002
 
             
 
       
 

J.G. Ballard, Crash, 1973

       
             
D'altra parte, tra gli scopi primari dell'architettura vi è la protezione, in senso lato, di individui e organizzazioni sociali, tanto che si potrebbe facilmente seguire l'evoluzione del progetto architettonico attraverso le soluzioni che nel tempo hanno cercato di evitare i conflitti, di fronteggiarli o, quanto meno, di alleviarne le conseguenze. Una evoluzione che in ambito militare (sempre il più avanzato ed estremo per investimenti, scala dei problemi, prestazioni richieste, innovazioni tecnologiche e, soprattutto, per la drammatica verifica dei risultati) trova espressioni di particolare necessità ed evidenza. Ai tempi di Francesco di Giorgio Martini, la conoscenza delle arti della guerra costituiva parte principale del corredo disciplinare. I suoi Trattati di architettura, ingegneria e arte militare (1482 ca., Il Polifilo, 1967) si aprono significativamente con il capitolo dedicato alle "Fortezze". E questo valeva per l'architetto senese così come per Leonardo o, più tardi, per Michelangelo, Buontalenti, Baldassarre Peruzzi e persino Albrecht Dürer. L'introduzione delle armi da fuoco e il loro continuo potenziamento imprime, da questo momento in avanti, una parallela evoluzione delle strutture difensive e delle stesse forme urbane, fino al loro dissolvimento sotto la minaccia della guerra aerea (vedi: Amelio Fara, La città da guerra, Einaudi, 1993; La città e le mura, a cura di Cesare De Seta e Jacques Le Goff, Laterza, 1989; Ian Hogg, Storia delle fortificazioni, Istituto geografico De Agostini, 1982). L'interdipendenza tra ottica e balistica, che determina la conformazione dei bastioni rinascimentali e la vasta interposizione di vuoti tra mura e città (Amelio Fara, Bernardo Buontalenti. L'architettura, la guerra e l'elemento geometrico, Sagep, 1988), trova la sua ultima espressione nell'invenzione del mimetismo, le cui tecniche grafiche sono paradossalmente affidate, nella Francia della prima guerra mondiale, ai pittori cubisti (vedi Architecture and cubism, a cura di Eve Blau e Nancy J. Troy, Centre canadien d'architecture-MIT Press, 1997). Un tema, questo della mimetizzazione, la cui efficacia strategica si evidenzia tanto in ambito bellico (fino agli aerei invisibili ai radar), quanto in quello architettonico, come strategia estrema di inserimento ambientale (vedi i progetti del gruppo francese R&Sie... e la voce Camouflage, in The Metapolis dictionary of advanced architecture, Actar, 2003).
             
 
 
 
Francesco di Giorgio Martini, Trattati di architettura, ingegneria e arte militare, 1482 ca
Amelio Fara, La città da guerra, 1993
Cesare De Seta e Jacques Le Goff (a cura di), La città e le mura, 1989
 
             
 
 
 

Ian Hogg, Storia delle fortificazioni, 1982

Amelio Fara, Bernardo Buontalenti. L'architettura, la guerra e l'elemento geometrico, 1988

Eve Blau, Nancy J. Troy (editors), Architecture and cubism, 1997

 
             
 
       
 

Gausa, Guallart, Müller, Soriano, Porras, Morales, The Metapolis Dictionary of Advanced Architecture. City, Technology and Society in the Information Age, 2003
[Mastrigli]

       
             
Ma ulteriori incrementi nelle capacità logistiche e tecnologiche portano a un drammatico salto di scala. Se, tra le due guerre, Le Corbusier poteva magnificare anche sotto il profilo militare le doti della sua Ville Radieuse (Editions de L'Architecture d'Aujourd'hui, 1933), la quasi contemporanea introduzione dei bombardamenti a tappeto (nell'incendio di Dresda muoiono tra le 70.000 e le 150.000 persone, vedi Kurt Vonnegut, Slaughterhouse-five, Delacorte Press, 1969), dei missili balistici e, soprattutto, della bomba nucleare seppellisce letteralmente ogni possibile soluzione architettonica del rapporto tra difesa e città (cfr. il manuale per il fai da te di Arthur Robinson e Gary North, Fighting Chance. Ten Feet to Survival, Oregon Institute of Science & Medicine,1986, e l'ironico Quonset Huts on the River Styx. The Bomb Shelter Design Book, North Atlantic Books, 1988). Tuttavia, proprio l'enormità delle conseguenze di un conflitto nucleare ha "abbassato" l'intensità dei conflitti successivi, disseminandoli da un lato in una serie di crisi locali e congelandoli dall'altro nella guerra fredda fra grandi blocchi (Cold War Hot Houses. From Cockpit to Playboy, a cura di Ann Marie Brennan e Jeannie Kim, Princeton Architectural Press, 2004; Wayne D. Cocroft, Roger J.C. Thomas, Cold War. Building for Nuclear Confrontation 1946-89, a cura di P.S. Barnwell, English Heritage Publications, 2003; Tom Vanderbilt, Survival City, Princeton Architectural Press, 2002). Con la caduta del muro di Berlino, la cui paradossale e dinamica condizione di struttura carceraria di massa intorno a una enclave capitalistica è stata introiettata nel lavoro di Rem Koolhaas (vedi, Field Trip: A(A) Memoir. The Berlin Wall as Architecture, in Id., S,M,L,XL, 010, 1995 e, con Elia Zengelis, Exodus or the Voluntary Prisoners of Architecture, in "Casabella", n. 378, 1973), si chiude di fatto questa stagione e, con essa, quello che Eric J. Hobsbawm ha definito Il secolo breve (Age of the Extremes. The Short Twentieth Century 1914-1991, Penguin, 1994).
             
 

 

 
 
Le Corbusier, La Ville Radieuse, 1933
Kurt Vonnegut, Slaughterhouse-five, 1969

Arthur Robinson, Gary North, Fighting Chance. Ten Feet to Survival, 1986

 
             
 

 

 
 
Quonset Huts on the River Styx. The Bomb Shelter Design Book, 1988
Ann Marie Brennan, Jeannie Kim (editors), Cold War Hot Houses. From Cockpit to Playboy, 2004

Wayne D. Cocroft, Roger J.C. Thomas, P.S. Barnwell (editor), Cold War. Building for Nuclear Confrontation 1946-89, 2003

 
             
 
   
 

Rem Koolhaas, Bruce Mau, S,M,L,XL, 1995
[Damiani]

Eric J. Hobsbawm, Age of Extremes, 1995
   
             
Se il collasso economico e politico del blocco sovietico ha radicalmente mutato gli scenari internazionali, esso non ha di fatto diminuito la minaccia nucleare (ora frammentata in mille possibili detentori di materiali fissile e tecnologie di produzione; vedi anche Paul Shambroom, Face to Face with the Bomb. Nuclear Reality after the Cold War, Johns Hopkins University Press, 2003) né ridotto i conflitti locali. Anzi, questi ultimi hanno coinvolto direttamente il primo mondo (con la prima "guerra del petrolio" in Iraq) accendendosi anche nelle sue immediate vicinanze. Sono proprio le guerre della ex Jugoslavia e soprattutto il martirio di Sarajevo a suscitare una vasta impressione in Europa, proprio per la vicinanza delle condizioni di vita urbana e delle strutture spaziali che la ospitano. Lebbeus Woods, inviato di "A+U" a Sarajevo, testimonia degli adattamenti nella vita quotidiana (War and Architecture, n. 281, 1994) e affronta, in un secondo articolo (n. 287, 1994), le possibilità e le attitudini del progetto architettonico a estrarre dalla condizione bellica un approccio strategico e le varie tattiche atte a metterlo in pratica. La guerra alle porte di casa, le ondate migratorie provocate dai mille conflitti locali e dalla crescente disparità economica, gli scenari di scontro culturale dipinti, ad esempio, dallo storico conservatore Samuel P. Huntington (The Clash of Civilizations and the Remaking of World Order, Simon & Schuster, 1996), il continuo allarme su questi temi da parte dei media legati alla destra politica alimentano la diffusa sensazione di insicurezza e minaccia generale che sempre di più tende a conformare comportamenti e spazi pubblici e privati (vedi Architecture of Fear, a cura di Nan Ellin, Princeton Architectural Press, 1997). Una sensazione ben presto confermata da eventi straordinari.
             
 
 
 

Paul Shambroom, Face to Face with the Bomb. Nuclear Reality after the Cold War, 2003

"A+U", 281, 1994

"A+U", 281, 1994

 
             
 
     
 

Samuel P. Huntington, The Clash of Civilizations and the Remaking of World Order, 1996

Nan Ellin (editor), Architecture of Fear, 1997
     
             
Il ventunesimo secolo si apre infatti ancora nel segno della collisione violenta. Terroristi suicidi sospesi tra una religiosità medievale e la capacità di dominare la potenza tecnologica contemporanea, dirottano due aeroplani e si schiantano sulle Twin Towers a New York. Il crollo del World Trade Center accende tra gli architetti una immediata e piuttosto sterile discussione sulla possibilità/necessità dell'edificio alto (questione lucidamente inquadrata da Rem Koolhaas, intervistato da "Der Spiegel" nel 2001, Dopo NYC, in La metropoli dopo, a cura di Pippo Ciorra e Gabriele Mastrigli, Meltemi 2002) e la lotta per accaparrarsi il prestigioso incarico della ricostruzione. Ma gli scenari di globalizzazione economico-bellica post 11 settembre presentano conseguenze molto più vaste: Hrvoje Njiric (The 21st century, in "dani/days of oris-a", vol. 1, 2001) registra il restringersi degli spazi culturali sotto l'azione combinata e opposta di neocolonialismo e fondamentalismo, intravedendo tuttavia paradossali possibilità di sviluppo per le aree balcaniche, tramutate, nel giro di meno di un decennio, da aree di una feroce pulizia etnica a oasi "pacifiche" per lo sviluppo turistico. Una effettiva interrelazione tra turismo e guerra già evidenziata nelle sue bizzarre commistioni in un acuto lavoro di Ricardo Scofidio ed Elizabeth Diller dedicato principalmente alla memoria dello sbarco in Normandia (Visite aux armées. Tourisme de guerre, Frac Basse-Normandie, 1994).
             
 
 
 

Pippo Ciorra, Gabriele Mastrigli (a cura di), La metropoli dopo, 2002
[Giaconia]

"ORIS", 1, 2001, Njiric + Njiric arhitekti

Elizabeth Diller, Ricardo Scofidio, Back to the Front: Tourisms of War/English/French, 1994

 
             
 
       
 

Brendan McGetrick, &&& art directors (editors), OMA/AMO, Content, 2004
[Aureli, Mastrigli]

       
             
Fortemente ed esplicitamente influenzata dall'11 settembre, dal fatto in sé e dalle conseguenze che ne sono scaturite, è l'ultima fatica editoriale di Rem Koolhaas (OMA/AMO, Content, Taschen, 2004, a cura di Brendan McGetrick, &&& art directors). I primi contributi del volume (Bill Millard, Violence against Architecture, p. 38; Eyal Weizman, The Evil Architects Do, p. 60) affrontano direttamente il rapporto tra architettura e guerra, mettendo in luce il ruolo della decisione umana -e soprattutto architettonica- non solo nella costruzione ma anche nella demolizione (su questo tema vedi anche il recente n. 71 di "Area", 2004, nostalgicamente dedicato alla rimozione di edifici famosi), nell'uso bellico dello spazio, nell'individuazione degli obiettivi, nella pianificazione logistica ecc. A chiudere il libro -attraversato da una continua tensione verso oriente: "go east!"- il progetto per il grattacielo CCTV a Pechino. Racconta Koolhaas che ha dovuto scegliere se dedicarsi a questa commissione o accettare l'invito a progettare a Ground Zero. Il dolcetto della fortuna alla fine del pranzo cinese durante il quale doveva essere presa la decisione recitava: "Fenomenali, onnipresenti maestri fanno della memoria carne macinata". Koolhaas non lo dice da nessuna parte, ma credo che la forma ad anello dell'edificio CCTV sia fortemente influenzata dall'immagine degli aerei che si infrangono sugli orgogliosi parallelepipedi newyorkesi. Una forma aperta, accogliente: il buco con il grattacielo intorno...

Giovanni Corbellini
gcorbellini@units.it
edizioni italiane

Colin Rowe e Fred Koetter, Collage City, Il Saggiatore, Milano 1981.

Marshall Berman, L'esperienza della modernità, Il Mulino, Bologna 1985.

J.G. Ballard, Crash, Rizzoli, Milano 1990.

Kurt Vonnegut, Mattatoio n. 5, o la crociata dei bambini: danza obbligata con la morte, Mondadori, Milano 1970.

Eric J. Hobsbawm, Il secolo breve, Rcs, Milano 1997.

Samuel P. Huntington, Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, Garzanti, Milano 1997.

Hrvoje Njiric, Il ventunesimo secolo, in "Parametro", n. 244, 1993.

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