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Playgrounds

INTRODUZIONE
In funzione di quello che cercate, scegliete una contrada, una città dalla popolazione più o meno densa, una strada più o meno animata. Costruite una casa. Ammobiliatela. Tirate fuori il meglio dalla sua decorazione e dai suoi dintorni. Scegliete la stagione e l'ora. Riunite le persone più adatte, i dischi e gli alcolici più appropriati. L'illuminazione e la conversazione dovranno essere evidentemente adatti alla circostanza, come il clima o i vostri ricordi.
Se non ci sono errori nei vostri calcoli, la risposta dovrebbe soddisfarvi. (Comunicare i risultati alla redazione)
Le jeu psychogéographique de la semaine
(Potlatch n. 1)



 
Siamo alla ricerca di una nuova architettura, fuori dall'ambito disciplinare, dal mercato delle immagini e dai giochi di specchi.
Siamo alla ricerca di architetture che rifiutano modelli e linguaggi precostituiti per plasmarsi sulla complessità ed impermanenza del reale; architetture che diventando playgrounds traducono le regole del grande gioco di società cui appartengono in limiti, confini ed interfacce che si aprono all'azione perturbante e desiderante dell'individuo, costruendo un terreno fertile dove liberare un play complesso di trasformazione dello spazio costruito. Architetture processuali, costruite attraverso dinamiche collaborative e partecipative, piuttosto che dalla sintesi progettuale, e capaci di inserirsi in nuovi equilibri sociali ed ambientali; architetture interattive, per trasformare lo spazio vissuto in un sistema mobile capace di rispondere agli stimoli del suo abitante; o ancora, quando la massa inerte propria del costruito è l'unico e semplice elemento a disposizione, architetture informali, capaci di produrre spazi indefiniti aperti all'esplorazione e alla riappropriazione creativa, allentando (1) i vincoli che tengono insieme forma e funzione.


Queste architetture performative segnano un confine netto con la disciplina così come è stata praticata, fatte salve alcune e fondamentali esperienze delle avanguardie (2), poiché tendono a rovesciare le dinamiche con cui si costruisce e si pensa l'architettura stessa: forme che si definiscono non in base ad un astratto disciplinare, né ad una scontata conformità alle dinamiche produttive dello spazio abitato, ma che nascono ogni volta da una interpretazione del reale, che traggono dalla sua molteplicità e mobilità la propria ragion d'essere; spazi e strategie che trasformano l'architettura in dispositivi di relazione capaci di liberare dalle catene topologiche che immobilizzano cose e uomini, e di sottrarre all'ordine stabilito dalla società porzioni di spazio, aprire un interstizio (3), un vuoto progettuale che "può comprendersi con l'aiuto del concetto di "buco positivo", forgiato dalla fisica moderna" dove "materializzare la libertà, è innanzitutto sottrarre ad un pianeta addomesticato alcune particelle della sua superficie." (4)

Ciascuna di queste architetture/playground è il paradosso di un progetto che si fa terrain vague, per andare oltre quelle contraddizioni irriducibili tra mobile e statico, tra fluido e solido, tra chiuso ed aperto, tra limitato ed illimitato, tra finito ed indefinito, tra ortogonale ed obliquo, tra materiale ed immateriale, tra attore e autore, tra etico ed estetico, che si riproducono ogni volta che si cristallizzano in una forma spaziale desideri e necessità degli individui.
All'orizzonte di questo errare inseguendo le contaminazioni tra architettura e gioco, tra spazio e relazioni, appare una nuova utopia che potremmo dire rovesciata in quanto non ha alcun modello da tradurre e tradire nella realtà, ma che al contrario parte dalla realtà stessa per proporre dispositivi aperti, indefiniti, temporanei, molecolari, evolutivi.

La rubrica playgrounds è parte di questa ricerca, la prosecuzione erratica attraverso passato, presente e futuro prossimo di un percorso iniziato con un libro di cui vi parleremo a breve su queste pagine. Una ricerca che si sta sviluppando militante nell'esperienza progettuale dell'autore di queste righe (5) e che vuole allargare un terreno comune (6) di confronto su progetti, realizzazioni, installazioni, eventi e quant'altro si proponga di restituire all'individuo il potere di giocare con lo spazio vissuto.

Alberto Iacovoni, ma0
alberto.iacovoni@ma0.it
NOTE:

1. Il concetto di looseness -allentamento- dello spazio viene elaborato da Alison e Peter Smithson quando, con la formazione del Team X, si costruisce una critica alla rigidità dei principi funzionalisti e si apre il progetto alla complessità delle relazioni sociali, per favorire "l'incontro per caso e la presenza di passaggio".
2. Prima fra tutte, ovviamente, l'esperienza situazionista.
3. "Questo termine interstizio fu utilizzato da Karl Marx per qualificare delle comunità di scambio sfuggenti al quadro economico dell'economia capitalista, in quanto sottratti alle leggi del profitto: troc, ventes à pertes, produzioni autarchiche, etc. L'interstizio è uno spazio delle relazioni umane che, inserendosi più o meno armoniosamente e apertamente nel sistema globale, suggerisce altre possibilità di scambio che quelle che sono in vigore nel sistema." Nicolas Bourriaud, Esthétique relationelle, Les presses du réel, Paris 2000, p. 16.
4. Internazionale Situazionista n. 1, Nautilus, Torino 1994.
5. Con ma0/emmeazero studio d'architettura, vedi ad esempio quello che era stato presentato come playground 01 su www.architettura. it/architetture/20040130.
6. Vedi a proposito di terreno comune www.commonground.it.

La sezione Playgrounds
è curata da
Alberto Iacovoni


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