|
|
L'umanità
è capace con sorprendente abilità di assimilare un progresso
tecnologico che annulli distanze e che cambi anche radicalmente abitudini
e comportamenti: un esempio è la differenza tra il "chi
è" e il "dove sei" legato alla nascita dei cellulari,
o il fatto di parlare e vedersi ovunque, o l'ibridarsi continuamente
con l'artificio o il combinarsi biologicamente in maniera impensabile
sino a qualche anno fa per procreare, clonare eccetera. Pur se questi
cambiamenti hanno un tempo molto rapido di penetrazione, permane una
forma mentis basata sull'insegnamento scolastico degli assoluti
del sistema cartesiano, newtoniano e, per gli architetti, mongiano.
Interrogarsi sulle conseguenze delle innovazioni tecnologiche e sul
significato di altre ipotesi scientifiche è però necessario
anche se scuote alcune delle consuetudini del fare architettura. In
questo intervento in particolare vorrei sfidare la struttura mentale
che vede nello spazio e nel tempo delle quantità oggettive.
Gli architetti pensano di plasmare una cosa che "è",
non pensano di poter creare essi stessi il tempo e lo spazio. È
una questione rilevante in particolare se si connette questa indagine
al più generalizzato cambiamento da un paradigma meccanico
(e oggettivo) e uno informatico e soprattutto soggettivo.
L'intervento illustra una serie di concetti, fornisce argomentazioni,
suggerisce sperimentazioni e soprattutto formula alcune definizioni.
La prima condizione da cui conviene partire è quella che sostiene
che proprio IL TEMPO È LA PRIMA DIMENSIONE DELLO SPAZIO [1].
Il tempo non è affatto una quarta dimensione dello spazio ("perché
tutto si muove, tutto è relativo" come spesso orecchiando
un poco di relatività viene detto) ma è proprio il tempo
l'unico modo di descrivere uno spazio. (Per convincersene basta porsi
in una condizione artificiosamente limitata: una stanza buia oppure
uno spazio a una sola dimensione, come spiego in nota) (1).
Vale la pena sottolineare che dalla prima formulazione deriva direttamente
una seconda che sostiene che [2] "LO SPAZIO È UN INTERVALLO
PERCORRIBILE" (e che quindi la sua minima dimensione è
quella di una linea), e una terza che riguarda una definizione più
ampia dell'abituale di punto: [3] "PUNTO È CIÒ
CHE NON HA SPAZIO, NÉ TEMPO" (che ha implicazioni anche
in astrofisica). (2)
Ora chiediamoci come questa idea del tempo come fattore decisivo per
la comprensione e l'esistenza dello spazio può condurci a formulare
alcune idee di un certo interesse per il nostro campo. Il centro di
una seconda sperimentazione, anch'essa discussa in nota (3),
è che il tempo non solo è la prima dimensione dello
spazio, ma che è anche lo strumento fondamentale per comprendere
mondi a meno dimensioni della nostra e allo stesso per immaginare
logicamente mondi a più dimensioni.
In particolare bisogna dire che [4] OGNI SISTEMA DI RIFERIMENTO INFERIORE
È CONTENUTO DA UNO SUPERIORE, [5] DA UN SISTEMA INFERIORE SI
HA PROIEZIONE DI UNO DI LIVELLO SUPERIORE e soprattutto [6] OGNI SISTEMA
DI RIFERIMENTO È VALIDO AL SUO INTERNO E HA UNO SPAZIO E UN
TEMPO AUTONOMO.
Queste formulazioni comportano un punto decisivo: nei diversi sistemi
di riferimento a uno, due o tre dimensioni i tempi sono "diversi":
è questo un punto centrale che scuote appunto quell'idea di
oggettività del tempo (e di conseguenza dello spazio) che è
un dato tranquillizzante e comune del nostro lavoro.
Eseguiamo per capire meglio questo esperimento, ne ho una particolarmente
orgogliosa paternità. Prendiamo un foglio di carta e tracciamo
una retta tra A e B e chiamiamo questa retta "T". Ora immaginiamo
di essere in un mondo solo a due dimensioni, non esiste altro, non
è possibile conoscere altro che il mondo a due dimensioni del
foglio. Immaginiamo di essere una specie di verme piatto e di poter
conoscere e praticare solo la dimensione del piano. Come abbiamo detto
"T" è conosciuto come intervallo temporale, ed è
quindi contemporaneamente uno spazio possibile che ha tra l'altro
la caratteristica di essere il più efficiente possibile per
unire tra A e B.
Ora cominciamo a curvare il foglio, prima leggermente, poi in maniera
più marcata. Come è noto la lunghezza T, anche se curva,
non varia. Il modo di andare da A a B rimane sempre segnato dalla
stessa linea (anche se è diventata una linea curva). Ora continuiamo
a curvare il foglio fin "quasi a" far toccare i punti A
e B. Di nuovo essendo confinato alle due dimensioni quella linea "continua"
curva è il modo più breve di collegare A e B. Ma ecco
il grande passaggio: immaginiamo di saltare fuori da quel mondo a
due dimensioni e di guardare al foglio incurvato da un mondo a tre
dimensioni. Vedremo subito, guardandolo da fuori, che la maniera più
breve di andare da A e B non è lungo la retta curva T, ma tracciando
una nuova retta "t" che collega i punti A e B nello spazio
e che si muove appunto in un altro SISTEMA DI RIFERIMENTO (quello
dello spazio a tre dimensioni xyz) rispetto a quello a due del foglio.
Vedendo il tutto da un'altra dimensione, non solo si risolve diversamente
il problema, MA QUELLO CHE È EVIDENTE È CHE SONO PROPRIO
I TEMPI ad essere diversi (t è molto più corto di T).
Ed essendo i tempi diversi, lo sono anche gli spazi (diciamo almeno
la logica dello spazi) diversi visto che t è diversa da T ed
è un nuovo modo, più efficiente, di unire A e B. Ecco
dunque dimostrato che non vi è affatto uno spazio e un tempo
assoluto ma che ciascun sistema è spazio temporalmente autonomo
e dipendente dal sistema di riferimento usato.
Questa diversità dello spazio e del tempo nei sistemi di riferimento
diversi è provata qui in assenza di moto reciproco, caratteristica
che distingue questa dimostrazione da quella della relatività
ristretta di Einstein.
Ho come desktop un'immagine di Benoit Sokal con una balena che salta
fuori dalla superficie acquatica. Questa immagine può essere
associata al ragionamento su "come fare" a percepire un'altra
dimensione quando se ne è, in qualche modo costretti, in una
inferiore. Nel caso specifico come fa un pesce costretto "unicamente"
dentro all'acqua a "percepire" a comprendere cosa c'è
fuori da quel liquido e a descrivere a immaginare realmente le coste
e i golfi e le spiagge. Naturalmente, l'abbiamo capito, lo può
fare con un salto fuori dalla propria dimensione. La figura del salto
è fondamentale per percepire un'altra dimensione e per comprendere
e per vedere allo stesso tempo la propria. Ma il portato del salto
non è solo percettivo, non è solo un allargamento anche
se incredibile della visione e della ragione, è soprattutto
l'inizio della comprensione delle regole di altri sistemi di riferimento,
di altri spazi, di altri tempi e soprattutto e qui rimettiamo in gioco
l'architettura, di altri sistemi di valori. In questo territorio arduo,
in questa atmosfera con poco ossigeno, ci stiamo lentamente muovendo:
è quella della ricerca della conoscenza estetica. Ve n'è
a sufficienza credo, per fare il movimento su quattro dimensioni.
QUATTRO DIMENSIONI. Naturalmente la quarta dimensione (abbiamo fatto
questo percorso per renderlo chiaro) non è affatto il tempo,
ma è una quarta dimensione geometrica che estende la geometria
xyz nella progressione che abbiamo descritto.
Possiamo naturalmente pensare a creare uno spazio a quattro con un
processo analogico di traslazione teorizzato già nell'Ottocento
dal matematico B. Riemann. Se lo spazio a tre dimensioni da cui partiamo
è uno spazio cubico, traslando un cubo avremmo uno spazio idealmente
racchiuso in un ipercubo che termina e comincia con un cubo e che
avrà sedici vertici invece degli otto del cubo di partenza.
Lo spazio così definito avrà secondo il nostro ragionamento
una serie di caratteristiche comuni agli altri:
[1] IL TEMPO È LA PRIMA DIMENSIONE DELLO SPAZIO
[2] LO SPAZIO È UN INTERVALLO PERCORRIBILE
[3] PUNTO È CIÒ CHE NON HA SPAZIO, NÉ TEMPO
[4] OGNI SISTEMA DI RIFERIMENTO INFERIORE È CONTENUTO DA UNO
SUPERIORE
[5] DA UN SISTEMA INFERIORE SI HA PROIEZIONE DI UNO DI LIVELLO SUPERIORE
[6] OGNI SISTEMA DI RIFERIMENTO È VALIDO AL SUO INTERNO E HA
UNO SPAZIO E UN TEMPO AUTONOMO.
Ma per cercare di capire veramente che cosa è uno spazio a
quattro dimensioni dobbiamo aggiungere ora una settima formulazione:
[7] IN OGNI SISTEMA DI LIVELLO SUPERIORE COESISTONO INFINTI SISTEMI
DI RIFERIMENTO DI LIVELLO INFERIORE.
Ora, domandiamoci, questo spazio a quattro dimensioni come è
fatto? Che cosa succede al suo interno? Naturalmente funzionano tutti
i punti descritti anche se ampliati di una caratteristica fondamentale
che è condensata proprio nella settima formulazione: dentro
uno spazio a quattro dimensioni coesistono più sistemi di riferimento
a tre! Così se in uno spazio a tre dimensioni coesistono infintiti
piani, nello spazio a quattro coesistono infiniti cubi! Ciascuno può
avere orientamento diverso di assi, e naturalmente non è detto
che siano cubici, ma possono essere ovali spiraliformi, sferici (dato
che la conformazione cubica o meglio ipercubica è solo scelta
per semplicità). Ciascuno di questi sistemi di riferimento
(tra l'altro non necessariamente con assi tra loro perpendicolari)
può descrivere mondi diversi dal punto di vista di spazio e
di tempo come abbiamo visto anche nei casi precedenti. Inoltre i diversi
mondi possono muoversi velocissimamente l'uno sull'altro generando
i fenomeni, solo apparentemente paradossali, della relatività
einsteniana.
Se la caratteristica intrinseca di uno spazio a quattro dimensioni
è quella della compresenza di interi mondi a tre dimensioni,
poniamoci allora una domanda abbastanza cruciale e con questa domanda
termino. Quale è la navigabilità prevalente di uno spazio
a quattro dimensioni? In quella lineare la navigabilità è
solo quella del binario, in quella a due è evidentemente piatta,
in quella a tre è anche verticale ma la navigabilità
del mondo a quattro dimensioni è esattamente quella del salto!
Se in un mondo a due posso cambiare continuamente linea e in quella
a tre posso cambiare continuamente piano in quella a quattro posso
cambiare continuamente volume, posso cambiare sistema di riferimento
tridimensionale. La navigabilità di base di un mondo a quattro
è quella che permette di saltare da un mondo a tre dimensioni
a un altro mondo a tre e questo "salto" non è (come
abbiamo capito) solo spaziale, è spazio temporale.
La navigabilità delle quattro dimensioni è quella del
salto.
Fermiamoci un momento.
[PROTESI TECNOLOGICHE]. Ora bisogna aggiungere un elemento che riguarda
il corpo della percezione. O meglio il soggetto della visione.
Abbiamo stabilito in questo percorso che i passaggi da un sistema
spazio-temporale ad un altro non sono assoluti, ma che ciascuno ha
il proprio sistema interno, con sue leggi proprie che possono essere
infrante solo da un livello superiore. Ora tutto questo è in
qualche modo dipendente "anche" dal corpo che percepisce.
Abbiamo, nei vari casi, immaginato di essere un insetto che può
camminare unicamente lungo un filo, oppure un verme piatto che può
conoscere solo lo spazio a due dimensioni oppure un essere umano che
ha capacità di moto e di percezione su tre dimensioni. Ne deriva
che lo spazio a tre dimensioni non è legato oggettivamente
ad un'essenza delle cose, ma bensì ad una caratteristica "fisica"
degli uomini e degli animali che è quella di percepire e di
muoversi su tre dimensioni.
Sembra così di essere arrivati ad un limite "oggettivo"
che è quello che l'uomo è per sua natura un sistema
a tre dimensioni e non a quattro. Lasciamo stare altre argomentazioni
sul tempo, e ragioniamo solo pragmaticamente. L'uomo come sappiamo
benissimo ha la possibilità di costruire "protesi"
tecnologiche (e biologiche) che in diverso modo lavorano per estendere
i suoi limiti oggettivi. Sotto quest'ottica possiamo vedere lo sviluppo
della tecnologia anche nella sua componente cognitiva . Il grande
tema infatti non è solo quella di fornire continuamente nuove
protesi tecnologiche, ma è quella di sollevare crisi, di porsi
domande sulla natura percettiva, cognitiva e infine, che è
la domanda più ardua, estetica che queste protesi tecnologiche
possono permettere.
Il lavoro svolto dalla collana la Rivoluzione informatica in architettura
e alcuni dei miei saggi (per esempio Nuove
Soggettivà o Informazione
materia prima dell'architettura su Op. Cit., 112 e 118
e su ARCH'IT) cercano di capire come queste protesi tecnologiche possano
servire per estendere le dimensioni della nuova spazialità
architettonica. Naturalmente non possiamo aprire per intero e ancora
queste argomentazioni, ma possiamo ricordare molto succintamente tre
punti.
Il primo riguarda il nesso fondamentale tra le interconnessioni dinamiche
tipiche del mondo dell'informatica, la nozione di modello nell'accezione
scientifica e il significato profondo di interattività che
porta la mutabilità fisica dell'architettura al variare sia
delle situazioni esterne ma anche dei desideri degli utenti. Questa
concatenazione porta ad una ricerca estetica rivolta ad un'architettura
come creatrice di metafore aperte, riprogrammabili, riconfigurabili.
Il secondo punto riguarda la presenza di Internet. Internet è
una delle protesi più rivoluzionarie create dall'uomo. Accoppiata
a sistemi di interfaccia a finestre, a sistemi di navigazione in tempo
reale, a sistemi di raffigurazione a distanza con sistemi ologrammatici
sensibili e interattivi (è un breve passo che si sta per compiere)
il grande mondo di Internet è un incredibile densificatore
e moltiplicatore di spazi e di tempi. Possiamo avere finestre contemporaneamente
aperte su mondi lontanissimi uno dall'altro e possiamo letteralmente
saltare da uno all'altro: viverci, sperimentare spazi in accelerazione
o in movimento, rappresentare ed essere rappresentati e tutto in tempo
reale e in un continuo passare nei vari mondi. Internet è uno
strumento necessario all'architettura in questa fase di ricerca non
solo per i suoi aspetti pragmatici, ma per quelli cognitivi. Acquisendone
coscienza, si capirà come attraverso Internet e l'interattività
si metterà in azione una formulazione che abbiamo lasciato
un poco in ombra: [5] DA UN SISTEMA INFERIORE SI HA PROIEZIONE DI
UNO DI LIVELLO SUPERIORE.
Formulazione che vuol dire che è possibile, pur essendo fisicamente
inseriti in dei limiti spazio temporali tridimensionali, avere idee
di uno spazio a quattro. E usarlo, immaginarlo, un poco capirlo e
progettarlo, plasmarlo questo spazio a quattro dimensioni. No?
Nel grande trapasso da oggetto e soggetto che investe tutte le sfere
dell'arte, della scienza, del pensiero attraverso questa discussione
abbiamo sottolineato che neanche il tempo, neanche lo spazio sono
più oggettivi, ma sono soggettivi. La nostra dimensione, la
nostra volontà, il nostro tempo, la nostra comprensione creativa
della tecnologia li plasmano. Il nostro tempo è la prima dimensione
del nostro spazio.
Antonino Saggio |
|
[25nov2004] |