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Coffee Break

Tempo prima dimensione dello spazio

Antonino Saggio
 
   


Marcel Duchamp, Le Grand Verre, 1915-23. Installazione al Philadelphia Museum of art.



 
   

L'umanità è capace con sorprendente abilità di assimilare un progresso tecnologico che annulli distanze e che cambi anche radicalmente abitudini e comportamenti: un esempio è la differenza tra il "chi è" e il "dove sei" legato alla nascita dei cellulari, o il fatto di parlare e vedersi ovunque, o l'ibridarsi continuamente con l'artificio o il combinarsi biologicamente in maniera impensabile sino a qualche anno fa per procreare, clonare eccetera. Pur se questi cambiamenti hanno un tempo molto rapido di penetrazione, permane una forma mentis basata sull'insegnamento scolastico degli assoluti del sistema cartesiano, newtoniano e, per gli architetti, mongiano. Interrogarsi sulle conseguenze delle innovazioni tecnologiche e sul significato di altre ipotesi scientifiche è però necessario anche se scuote alcune delle consuetudini del fare architettura. In questo intervento in particolare vorrei sfidare la struttura mentale che vede nello spazio e nel tempo delle quantità oggettive. Gli architetti pensano di plasmare una cosa che "è", non pensano di poter creare essi stessi il tempo e lo spazio. È una questione rilevante in particolare se si connette questa indagine al più generalizzato cambiamento da un paradigma meccanico (e oggettivo) e uno informatico e soprattutto soggettivo. L'intervento illustra una serie di concetti, fornisce argomentazioni, suggerisce sperimentazioni e soprattutto formula alcune definizioni.

La prima condizione da cui conviene partire è quella che sostiene che proprio IL TEMPO È LA PRIMA DIMENSIONE DELLO SPAZIO [1]. Il tempo non è affatto una quarta dimensione dello spazio ("perché tutto si muove, tutto è relativo" come spesso orecchiando un poco di relatività viene detto) ma è proprio il tempo l'unico modo di descrivere uno spazio. (Per convincersene basta porsi in una condizione artificiosamente limitata: una stanza buia oppure uno spazio a una sola dimensione, come spiego in nota) (1). Vale la pena sottolineare che dalla prima formulazione deriva direttamente una seconda che sostiene che [2] "LO SPAZIO È UN INTERVALLO PERCORRIBILE" (e che quindi la sua minima dimensione è quella di una linea), e una terza che riguarda una definizione più ampia dell'abituale di punto: [3] "PUNTO È CIÒ CHE NON HA SPAZIO, NÉ TEMPO" (che ha implicazioni anche in astrofisica). (2)

Ora chiediamoci come questa idea del tempo come fattore decisivo per la comprensione e l'esistenza dello spazio può condurci a formulare alcune idee di un certo interesse per il nostro campo. Il centro di una seconda sperimentazione, anch'essa discussa in nota (3), è che il tempo non solo è la prima dimensione dello spazio, ma che è anche lo strumento fondamentale per comprendere mondi a meno dimensioni della nostra e allo stesso per immaginare logicamente mondi a più dimensioni.
In particolare bisogna dire che [4] OGNI SISTEMA DI RIFERIMENTO INFERIORE È CONTENUTO DA UNO SUPERIORE, [5] DA UN SISTEMA INFERIORE SI HA PROIEZIONE DI UNO DI LIVELLO SUPERIORE e soprattutto [6] OGNI SISTEMA DI RIFERIMENTO È VALIDO AL SUO INTERNO E HA UNO SPAZIO E UN TEMPO AUTONOMO.
Queste formulazioni comportano un punto decisivo: nei diversi sistemi di riferimento a uno, due o tre dimensioni i tempi sono "diversi": è questo un punto centrale che scuote appunto quell'idea di oggettività del tempo (e di conseguenza dello spazio) che è un dato tranquillizzante e comune del nostro lavoro.

Eseguiamo per capire meglio questo esperimento, ne ho una particolarmente orgogliosa paternità. Prendiamo un foglio di carta e tracciamo una retta tra A e B e chiamiamo questa retta "T". Ora immaginiamo di essere in un mondo solo a due dimensioni, non esiste altro, non è possibile conoscere altro che il mondo a due dimensioni del foglio. Immaginiamo di essere una specie di verme piatto e di poter conoscere e praticare solo la dimensione del piano. Come abbiamo detto "T" è conosciuto come intervallo temporale, ed è quindi contemporaneamente uno spazio possibile che ha tra l'altro la caratteristica di essere il più efficiente possibile per unire tra A e B.
Ora cominciamo a curvare il foglio, prima leggermente, poi in maniera più marcata. Come è noto la lunghezza T, anche se curva, non varia. Il modo di andare da A a B rimane sempre segnato dalla stessa linea (anche se è diventata una linea curva). Ora continuiamo a curvare il foglio fin "quasi a" far toccare i punti A e B. Di nuovo essendo confinato alle due dimensioni quella linea "continua" curva è il modo più breve di collegare A e B. Ma ecco il grande passaggio: immaginiamo di saltare fuori da quel mondo a due dimensioni e di guardare al foglio incurvato da un mondo a tre dimensioni. Vedremo subito, guardandolo da fuori, che la maniera più breve di andare da A e B non è lungo la retta curva T, ma tracciando una nuova retta "t" che collega i punti A e B nello spazio e che si muove appunto in un altro SISTEMA DI RIFERIMENTO (quello dello spazio a tre dimensioni xyz) rispetto a quello a due del foglio.
Vedendo il tutto da un'altra dimensione, non solo si risolve diversamente il problema, MA QUELLO CHE È EVIDENTE È CHE SONO PROPRIO I TEMPI ad essere diversi (t è molto più corto di T). Ed essendo i tempi diversi, lo sono anche gli spazi (diciamo almeno la logica dello spazi) diversi visto che t è diversa da T ed è un nuovo modo, più efficiente, di unire A e B. Ecco dunque dimostrato che non vi è affatto uno spazio e un tempo assoluto ma che ciascun sistema è spazio temporalmente autonomo e dipendente dal sistema di riferimento usato.
Questa diversità dello spazio e del tempo nei sistemi di riferimento diversi è provata qui in assenza di moto reciproco, caratteristica che distingue questa dimostrazione da quella della relatività ristretta di Einstein.

Ho come desktop un'immagine di Benoit Sokal con una balena che salta fuori dalla superficie acquatica. Questa immagine può essere associata al ragionamento su "come fare" a percepire un'altra dimensione quando se ne è, in qualche modo costretti, in una inferiore. Nel caso specifico come fa un pesce costretto "unicamente" dentro all'acqua a "percepire" a comprendere cosa c'è fuori da quel liquido e a descrivere a immaginare realmente le coste e i golfi e le spiagge. Naturalmente, l'abbiamo capito, lo può fare con un salto fuori dalla propria dimensione. La figura del salto è fondamentale per percepire un'altra dimensione e per comprendere e per vedere allo stesso tempo la propria. Ma il portato del salto non è solo percettivo, non è solo un allargamento anche se incredibile della visione e della ragione, è soprattutto l'inizio della comprensione delle regole di altri sistemi di riferimento, di altri spazi, di altri tempi e soprattutto e qui rimettiamo in gioco l'architettura, di altri sistemi di valori. In questo territorio arduo, in questa atmosfera con poco ossigeno, ci stiamo lentamente muovendo: è quella della ricerca della conoscenza estetica. Ve n'è a sufficienza credo, per fare il movimento su quattro dimensioni.



QUATTRO DIMENSIONI. Naturalmente la quarta dimensione (abbiamo fatto questo percorso per renderlo chiaro) non è affatto il tempo, ma è una quarta dimensione geometrica che estende la geometria xyz nella progressione che abbiamo descritto.
Possiamo naturalmente pensare a creare uno spazio a quattro con un processo analogico di traslazione teorizzato già nell'Ottocento dal matematico B. Riemann. Se lo spazio a tre dimensioni da cui partiamo è uno spazio cubico, traslando un cubo avremmo uno spazio idealmente racchiuso in un ipercubo che termina e comincia con un cubo e che avrà sedici vertici invece degli otto del cubo di partenza.

Lo spazio così definito avrà secondo il nostro ragionamento una serie di caratteristiche comuni agli altri:
[1] IL TEMPO È LA PRIMA DIMENSIONE DELLO SPAZIO
[2] LO SPAZIO È UN INTERVALLO PERCORRIBILE
[3] PUNTO È CIÒ CHE NON HA SPAZIO, NÉ TEMPO
[4] OGNI SISTEMA DI RIFERIMENTO INFERIORE È CONTENUTO DA UNO SUPERIORE
[5] DA UN SISTEMA INFERIORE SI HA PROIEZIONE DI UNO DI LIVELLO SUPERIORE
[6] OGNI SISTEMA DI RIFERIMENTO È VALIDO AL SUO INTERNO E HA UNO SPAZIO E UN TEMPO AUTONOMO.

Ma per cercare di capire veramente che cosa è uno spazio a quattro dimensioni dobbiamo aggiungere ora una settima formulazione:
[7] IN OGNI SISTEMA DI LIVELLO SUPERIORE COESISTONO INFINTI SISTEMI DI RIFERIMENTO DI LIVELLO INFERIORE.

Ora, domandiamoci, questo spazio a quattro dimensioni come è fatto? Che cosa succede al suo interno? Naturalmente funzionano tutti i punti descritti anche se ampliati di una caratteristica fondamentale che è condensata proprio nella settima formulazione: dentro uno spazio a quattro dimensioni coesistono più sistemi di riferimento a tre! Così se in uno spazio a tre dimensioni coesistono infintiti piani, nello spazio a quattro coesistono infiniti cubi! Ciascuno può avere orientamento diverso di assi, e naturalmente non è detto che siano cubici, ma possono essere ovali spiraliformi, sferici (dato che la conformazione cubica o meglio ipercubica è solo scelta per semplicità). Ciascuno di questi sistemi di riferimento (tra l'altro non necessariamente con assi tra loro perpendicolari) può descrivere mondi diversi dal punto di vista di spazio e di tempo come abbiamo visto anche nei casi precedenti. Inoltre i diversi mondi possono muoversi velocissimamente l'uno sull'altro generando i fenomeni, solo apparentemente paradossali, della relatività einsteniana.

Se la caratteristica intrinseca di uno spazio a quattro dimensioni è quella della compresenza di interi mondi a tre dimensioni, poniamoci allora una domanda abbastanza cruciale e con questa domanda termino. Quale è la navigabilità prevalente di uno spazio a quattro dimensioni? In quella lineare la navigabilità è solo quella del binario, in quella a due è evidentemente piatta, in quella a tre è anche verticale ma la navigabilità del mondo a quattro dimensioni è esattamente quella del salto! Se in un mondo a due posso cambiare continuamente linea e in quella a tre posso cambiare continuamente piano in quella a quattro posso cambiare continuamente volume, posso cambiare sistema di riferimento tridimensionale. La navigabilità di base di un mondo a quattro è quella che permette di saltare da un mondo a tre dimensioni a un altro mondo a tre e questo "salto" non è (come abbiamo capito) solo spaziale, è spazio temporale.
La navigabilità delle quattro dimensioni è quella del salto.
Fermiamoci un momento.



[PROTESI TECNOLOGICHE]. Ora bisogna aggiungere un elemento che riguarda il corpo della percezione. O meglio il soggetto della visione.
Abbiamo stabilito in questo percorso che i passaggi da un sistema spazio-temporale ad un altro non sono assoluti, ma che ciascuno ha il proprio sistema interno, con sue leggi proprie che possono essere infrante solo da un livello superiore. Ora tutto questo è in qualche modo dipendente "anche" dal corpo che percepisce. Abbiamo, nei vari casi, immaginato di essere un insetto che può camminare unicamente lungo un filo, oppure un verme piatto che può conoscere solo lo spazio a due dimensioni oppure un essere umano che ha capacità di moto e di percezione su tre dimensioni. Ne deriva che lo spazio a tre dimensioni non è legato oggettivamente ad un'essenza delle cose, ma bensì ad una caratteristica "fisica" degli uomini e degli animali che è quella di percepire e di muoversi su tre dimensioni.

Sembra così di essere arrivati ad un limite "oggettivo" che è quello che l'uomo è per sua natura un sistema a tre dimensioni e non a quattro. Lasciamo stare altre argomentazioni sul tempo, e ragioniamo solo pragmaticamente. L'uomo come sappiamo benissimo ha la possibilità di costruire "protesi" tecnologiche (e biologiche) che in diverso modo lavorano per estendere i suoi limiti oggettivi. Sotto quest'ottica possiamo vedere lo sviluppo della tecnologia anche nella sua componente cognitiva . Il grande tema infatti non è solo quella di fornire continuamente nuove protesi tecnologiche, ma è quella di sollevare crisi, di porsi domande sulla natura percettiva, cognitiva e infine, che è la domanda più ardua, estetica che queste protesi tecnologiche possono permettere.

Il lavoro svolto dalla collana la Rivoluzione informatica in architettura e alcuni dei miei saggi (per esempio Nuove Soggettivà o Informazione materia prima dell'architettura su Op. Cit., 112 e 118 e su ARCH'IT) cercano di capire come queste protesi tecnologiche possano servire per estendere le dimensioni della nuova spazialità architettonica. Naturalmente non possiamo aprire per intero e ancora queste argomentazioni, ma possiamo ricordare molto succintamente tre punti.
Il primo riguarda il nesso fondamentale tra le interconnessioni dinamiche tipiche del mondo dell'informatica, la nozione di modello nell'accezione scientifica e il significato profondo di interattività che porta la mutabilità fisica dell'architettura al variare sia delle situazioni esterne ma anche dei desideri degli utenti. Questa concatenazione porta ad una ricerca estetica rivolta ad un'architettura come creatrice di metafore aperte, riprogrammabili, riconfigurabili.

Il secondo punto riguarda la presenza di Internet. Internet è una delle protesi più rivoluzionarie create dall'uomo. Accoppiata a sistemi di interfaccia a finestre, a sistemi di navigazione in tempo reale, a sistemi di raffigurazione a distanza con sistemi ologrammatici sensibili e interattivi (è un breve passo che si sta per compiere) il grande mondo di Internet è un incredibile densificatore e moltiplicatore di spazi e di tempi. Possiamo avere finestre contemporaneamente aperte su mondi lontanissimi uno dall'altro e possiamo letteralmente saltare da uno all'altro: viverci, sperimentare spazi in accelerazione o in movimento, rappresentare ed essere rappresentati e tutto in tempo reale e in un continuo passare nei vari mondi. Internet è uno strumento necessario all'architettura in questa fase di ricerca non solo per i suoi aspetti pragmatici, ma per quelli cognitivi. Acquisendone coscienza, si capirà come attraverso Internet e l'interattività si metterà in azione una formulazione che abbiamo lasciato un poco in ombra: [5] DA UN SISTEMA INFERIORE SI HA PROIEZIONE DI UNO DI LIVELLO SUPERIORE.

Formulazione che vuol dire che è possibile, pur essendo fisicamente inseriti in dei limiti spazio temporali tridimensionali, avere idee di uno spazio a quattro. E usarlo, immaginarlo, un poco capirlo e progettarlo, plasmarlo questo spazio a quattro dimensioni. No?
Nel grande trapasso da oggetto e soggetto che investe tutte le sfere dell'arte, della scienza, del pensiero attraverso questa discussione abbiamo sottolineato che neanche il tempo, neanche lo spazio sono più oggettivi, ma sono soggettivi. La nostra dimensione, la nostra volontà, il nostro tempo, la nostra comprensione creativa della tecnologia li plasmano. Il nostro tempo è la prima dimensione del nostro spazio.

Antonino Saggio

[25nov2004]

NOTE:

1. Cominciamo ponendoci in una situazione limite: quella di uno spazio ad una sola dimensione. Immaginiamo così di vivere costretti lungo un binario, immersi in una dimensione esclusivamente lineare, senza averne mai sperimentate e neanche immaginate altre. Facciamo a noi stessi una domanda chiave: qual è il modo di conoscere, di descrivere, di rappresentare questo mondo solo lineare? Evidentemente la vista non c'è di aiuto perché tutto apparirà schiacciato su un unico punto. La risposta deve risiedere in un altro ordine di esperienze: il modo di conoscere questo spazio lineare può avvenire solo percorrendolo. Posso infatti calcolare il tempo da un punto ad un altro del binario ed è proprio questo "intervallo" ciò che permette di descrivere questa condizione spaziale!. Il tempo diventa così la prima dimensione conoscitiva e descrittiva dello spazio. E la linea la minima entità spaziale. Sto usando, in questo esperimento, il famoso artificio di Edwin A. Abbott nel romanzo Flatland: a Romance of Many Dimensions pubblicato alla fine dell'Ottocento in Inghilterra (Seeley & Co., Londra, 1884); l'edizione italiana è di Adelphi, Milano, 1966. Michele Emmer ha redatto un film nel 1994 (cfr. http://www.mat.uniroma1.it/people/emmer), oltre a discutere più volte del volume.
Ho ricordato lo scrittore Edwin Abbott, ma vorrei rendere chiaro che la definizione del tempo come prima dimensione dello spazio, non solo non deriva dallo scrittore inglese, ma l'ho escogitata proprio per cercare di risolvere quello che appare un artificio letterario usato da Abbott.
Flatlandia è uno spazio a due dimensioni (un piano cartesiano) in cui vive il quadrato, protagonista base del libro. In questo spazio vivono altre figure geometriche che si muovono tutte come vermi piatti e che non conoscono altro mondo che il piano a due dimensioni. Ora una figura, poniamo il quadrato, potrebbe avere cognizione di tutte le altre figure -triangoli, cerchi, poligoni- non per il fatto che essi hanno lati luminosi e colorati appunto come sostiene Abbott, ma bensì "circumnavigandole", percorrendone il perimetro e quindi facendo entrare il tempo come prima dimensione dello spazio!

2. Questo utilizzo del tempo nella formulazione dello spazio che arriva ad ampliare il primo postulato di Euclide (per Euclide, si ricorderà, "il punto è ciò che non ha parti") adotta alcune componenti della definizione astrofisica di buco nero che ha massa infinita, curvatura infinita e non ha né tempo né spazio. Lo spazio e il tempo si generano insieme ("Il tempo ebbe inizio con il big-bang" sostiene Hawking, 1998, p. 64) e sono tra l'altro governati da una relazione nota (1 secondo = 300.000 chilometri e cioè la velocità della luce. Il noto astrofisico ricorda anche che Sant'Agostino alla domanda "che cosa faceva Dio prima di creare l'universo?" rispose "che il tempo era una proprietà creata da Dio, e che quindi prima dell'inizio dell'universo il tempo non esisteva" (Hawking 1998, p. 21).

3. Proviamo a chiederci: come faccio a percepire una figura a tre dimensioni se vivo in un mondo a due? Per rispondere facciamo un secondo esperimento. Immaginiamo di incastrare una sfera in un piano. Se conoscessi solo le due dimensioni del piano, percorrendo la sezione di incastro sul piano della sfera penserei naturalmente che la figura sia un cerchio. Ma facciamo intervenire sulla sfera il fattore tempo. E cioè facciamola muovere in giù in maniera che la sezione d'incastro sul piano diventi progressivamente più grande. In questo caso circumnavigando la sezione di incastro una seconda volta scoprirei che il cerchio è diventato più grande e facendo una terza volta il giro troverei che il periplo è diventato triplo. Naturalmente questo sarebbe un fenomeno "quasi" inspiegabile nel mondo a due dimensioni. Si potrebbero fare congetture su l'evento e escogitare ipotesi balzane. Ma è anche possibile ipotizzare logicamente una sorta di progressione: visto che nel mondo a due dimensioni si ha coscienza di mondi a una sola dimensione (e cioè le linee) sarebbe possibile immaginare che la progressione possa muoversi anche verso l'alto. E, cioè, che dopo un mondo a due dimensioni ne possa esistere uno a tre! Uno scienziato geniale potrebbe ipotizzare che, esistendo uno spazio a tre dimensioni, esistano anche figure a tre dimensioni, e quindi che le circonferenze continuamente cangianti sul piano siano effettivamente sezioni d'incastro dovute al movimento di una sfera in uno spazio a tre! Sarebbero una serie di scoperte terrificanti, quasi impossibili da spiegare a chi conosce solo il mondo a due dimensioni, ma che sarebbero di un'evidenza lapalissiana se si potesse saltare dal mondo a due a quello a tre dimensioni e quindi vedere la scena della sfera incastrata sul piano da un altro punto di vista, anzi letteralmente "da un'altro sistema di riferimento". La ragione di questa lunga digressione è dimostrare che anche in questo caso è il fattore tempo la chiave (in questo caso il movimento della sfera è l'elemento che può far comprendere l'esistenza di mondi a più dimensioni rispetto a quelli effettivamente sperimentati), Mentre l'idea di analogia per pensare a mondi a più dimensioni ed il concetto di salto da una dimensione all'altra sono temi che derivano da Abbott, il fattore tempo è estraneo al ragionamento del lo scrittore inglese ed è quello che caratterizza tutta questa analisi.

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