Olimpiadi
provinciali? I risultati del concorso per il primo Villaggio Olimpico
a Torino Matteo Robiglio |
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Il
presente intervento è apparso in origine su Il Giornale dell'Architettura,
n. 2, pubblicato nel novembre 2002. |
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Il
concorso per la realizzazione del Villaggio Olimpico nell'area degli
ex Mercati Generali di Torino si è concluso con la scelta del
progetto del gruppo coordinato da Benedetto Camerana (Torino), con un
folto gruppo di professionisti torinesi (Derossi Associati, Giorgio
Rosental, Inarco) e importanti partners internazionali (Hugh Dutton,
Otto Steidle, AIA Architectes, Faber Maunsell Ltd). Si tratta della più importante trasformazione urbana prevista per le Olimpiadi del 2006. Il progetto affronta la trasformazione integrale dell'area tra la ferrovia e la via Giordano Bruno, di fronte a quello che fino a ieri era il retro del Lingotto, con il recupero delle architetture razionaliste del mercato di Umberto Cuzzi e nuove edificazioni per 100.000 metri quadrati e 117 milioni di euro: uno dei più grandi interventi residenziali del prossimo decennio in Europa. Il 2 giugno la Torino olimpica era stata accusata su "Il Sole 24 Ore" di poca internazionalità e trasparenza. L'indomani la vittoria di Arata Isozaki al concorso per il nuovo Stadio dell'hockey era sembrata la risposta più appropriata. I risultati di oggi riaprono l'interrogativo sull'efficacia nella costruzione dei bandi per i concorsi olimpici torinesi: il concorso ha rilievo e pubblicizzazione internazionale, ma i nove gruppi concorrenti sono tutti torinesi o comunque con predominanza torinese; alcuni grandi studi internazionali esaminato il bando e il calendario, decidono di non partecipare; la giuria è internazionale, ma i due membri stranieri, Luigi Snozzi e Gordon H. Chong non partecipano in realtà ai lavori della commissione (come era già accaduto al concorso per lo Stadio, con Oriol Bohigas). Non è stato così a Firenze per la TAV, o a Bolzano per Casanova, a dimostrazione che i concorsi, se costruiti opportunamente, possono essere davvero occasioni di confronto internazionale tra progetti e progettisti. Certo i tempi sono per Torino strettissimi, e non è peraltro un mistero che l'architettura italiana sia a disagio di fronte ad un'internalizzazione necessaria, ma problematica: che rischia di ridursi alla caccia del curriculum di un grande nome di facciata. Il concorso torinese offre l'occasione per aprire una discussione sulla gestione dei grandi progetti, sull'intreccio tra burocrazie, norme, e inerzie (se non peggio), e sulla stessa fiducia, forse eccessiva, che molta cultura architettonica italiana ha riposto nel concorso come strumento unico di rinnovamento di vecchi mercati professionali. Matteo Robiglio |
[27dec2002] | |||
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