Concorsi
di progettazione. Unica strada praticabile Renzo Piano (*) |
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Commento raccolto da Carlo Ratti l'11 Settembre 2002. |
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Io
credo nei concorsi. Credo che siano l'unica strada praticabile per le
grandi opere. Lo dico non soltanto in linea di principio, ma anche in
base alla mia esperienza personale: li ho provati sulla mia pelle. Il
Beaubourg di Parigi, il mio primo grande incarico, era stato un concorso
pubblico a cui parteciparono 681 progettisti. E così Potsdamer Platz
a Berlino, l'Auditorium di Roma, la nuova sede del New York Times a
New York, il Lingotto di Torino. È in questo modo che io sono nato e
cresciuto, coi concorsi. I concorsi danno delle opportunità ai giovani di talento. Sono un'occasione per esprimere passione e amore per la progettazione. Aprono un confronto, a volte possono rivoluzionare l'architettura di un intero Paese. Prendete la Francia. Lì, fino a vent'anni fa, l'architettura era relegata nelle accademie e scuole Beaux Arts. Poi è cambiato tutto, proprio perché è diventato obbligatorio fare concorsi. I committenti si sono organizzati, i comuni oggi sanno come procedere, la musica è cambiata. Perché uno degli effetti dei concorsi è anche quello di moralizzare la commitenza, che deve diventare molto più attenta. Per lanciare un concorso, infatti, è necessario sapere quel che si vuole, bisogna avere un programma o brief, come dicono gli inglesi. Non è facile. Proprio per questa ragione spesso in Italia non si fanno concorsi - al di là di motivi tattici o politici. Ci vuole un grande impegno per preparare il bando, e se lo si fa male ci si smaschera subito. I concorsi sono un'ottima idea, bisogna farli bene. Renzo Piano |
[10oct2002] | |||
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