line.gif (145 byte)

Extended Play

Su Gianluca Milesi
(ed altre questioni della blob architecture)


di Cesare Birignani
L'analisi del lavoro di Gianluca Milesi, e più in generale delle ricerche accomunate frettolosamente sotto l'etichetta di blob architecture, pone una serie di interrogativi di carattere metodologico. Le novità portate dalla cosiddetta rivoluzione digitale sono tante e tali da mettere in discussione gli strumenti critici a nostra disposizione.

Motivo di questo scritto è suggerire alcune chiavi di lettura dell'architettura di Milesi e, più in generale, chiarire qualche nodo nell'interpretazione dell'architettura digitale: da un lato, la questione centrale che dovrebbe informare ogni critica dell'architettura (il giudizio sulla validità formale e spaziale di un'opera) viene evitata; dall'altro una serie di malintesi ed antichi errori sembra inquinare la ricerca teorica dietro queste architetture.

[11feb2001]

Mono-thematic Buildings/Cellophane Building. Torre/successione verticale di piani; la struttura deformata (verticalmente) è rivestita da una pelle a fogli di cellophane rinforzato e stampato; la flessibilità multidirezionale del rivestimento permette la realizzazione di superfici complesse. Computer model e viste dell'interno: collegamenti verticali.


1. Il primo, e forse più pernicioso dei malintesi, che percorre molta della letteratura critica sulla rivoluzione digitale, ripete e rafforza un pregiudizio che credevo superato. Nella prima metà del ventesimo secolo, ma ancor prima durante buona parte del diciannovesimo, critici e storici dell'arte e dell'architettura hanno fondato i loro giudizi su opere ed artisti su un'idea d'origine hegeliana: Hegel contrappose alla classica categoria dell'imitazione della natura quella della rappresentazione di un'idea: l'artista rappresenta qualcosa che va oltre la sua propria individualità, un'idea che lo trascende e che in qualche modo appartiene ad una sfera a lui superiore. L'artista con la sua opera rappresenta lo zeitgeist, lo spirito del tempo, una coscienza collettiva che si esprime in tutti i campi disciplinari dell'attività umana.



Si pensi a Pevsner che, nel suo An Outline of European Architecture, scrive: "È lo spirito di un'epoca che pervade la vita sociale, la religione e l'arte di un periodo"
(1). Oppure Walter Gropius che, in un articolo del 1923, scrive: "L'attitudine di un periodo si cristallizza nei suoi edifici, poiché in questi le risorse spirituali e materiali del tempo trovano la loro simultanea espressione" (2).



Partendo da questi presupposti in molti argomentarono che l'artista che manchi a questo compito, che non operi secondo quelli che sono i dettami dello zeitgeist (intesi come termini di paragone per misurare ortodossia e deviazione), viene meno al suo compito, ed è considerato sorpassato o reazionario.





David Watkin ha già scritto di questa sindrome, a proposito del dibattito ottocentesco su quale sarebbe stata l'architettura moralmente più giusta (3). In quasi tutti i testi di analisi e critica dell'architetura digitale, questo è l'argomento che prevale su tutti. Anche se spesso non dichiarata, la giustezza dell'architettura digitale rispetto a più tradizionali approcci all'architettura è data come dogma. O meglio: il registrare in architettura i cambiamenti culturali avvenuti in altri campi disciplinari, o l'includere nel lavoro di ricerca argomenti extra-architettonici (si pensi alle letture deleuziane di Lynn o alle speculazioni matematiche di Cache) è di per sé prova della bontà dei risultati, condizione sufficiente a dare statuto di avanguardisticità, a scapito di più concrete indagini sui valori propriamente architettonici delle ricerche. L'aver abbracciato con tempestività il più avanzato spirito del tempo basta per dare il sigillo di avanguardia.

Il successo -perlomeno editoriale- di Lynn, Van Berkel & Bos, Nox, ecc. ha inevitabilmente contribuito a creare una moda. C'è oltretutto una relativa facilità nella blob architecture: la rapida diffusione nell'uso del personal computer permette a chiunque di creare col computer di casa una forma complessa. Il nodo centrale della questione è che ad oggi non esistono standard di giudizio: nessuno ha ancora formulato parametri efficaci sui quali giudicare questo tipo di forme, col risultato che tutti i blob -almeno in linea di principio- si equivalgono e sono altrettanto nuovi e interessanti. Su cosa valutare dunque un blob, o meglio l'immagine digitale di un blob?


Mono-thematic Buildings/Coca-Cola Building. Dome interamente rivestito da bottiglie di coca-cola; la struttura (interna) a sezione circolare segue profili irregolari successivi; studio di micro-modulazione. Rivestimento di bottiglie: sequenza concettuale. Computer model: viste. Geometria a wireframe del volume.


Gli standard modernisti sono ahimè inservibili. Termini chiave come funzione e struttura, che hanno informato buona parte del discorso critico sull'architettura moderna, suonano sordi se messi in relazione con le più recenti ricerche digitali; e lo stesso vale per parametri più generici come ritmo, proporzione (bellezza). 

Nessuno dei canoni che fino ad oggi hanno guidato il discorso critico sembra offrire chiavi di lettura efficaci per queste architetture. L'unico parametro che -almeno negli scritti dei teorici della rivoluzione digitale- sembra giustificare l'intero movimento è la sua novità, la prontezza e la coerenza teorica nell'aver abbracciato e trasposto in architettura concetti formulati in altri campi disciplnari.



Franco Purini, a proposito di Eisenman, scrive: "La letteratura critica su Peter Eisenman è troppo eisenmaniana. Essa si limita a verificare se le intenzioni espresse dall'architetto newyorkese siano state da lui chiaramente trasferite nei progetti alla ricerca di una mitizzata coerenza personale (...) Tale modello vasariano lascia quasi del tutto inevasa una lettura in sé delle opere, poche volte interrogate nei loro reali valori architettonici" (4).



Il punto dolente dell'intera discussione viene immancabilmente scansato. Da anni sembra che un tabù corra fra le pagine dei critici d'architettura: il giudizio di valore, il commento sulle qualità formali e spaziali dell'architettura è bandito dal discorso, e sostituito da considerazioni extra-architettoniche, da argomenti portati per giustificare la correttezza d'un processo, la giustezza d'una data architettura. Perché la critica d'architettura non diventi pura esegesi (o -peggio- tautologia) credo occorra fare qualche passo indietro, e tornare ad esaminare la radice estetico-formale di queste architetture
(5).

2. Fra le novità più interessanti nell'uso del computer nella progettazione architettonica, una prevale su tutte (e Milesi sembra averne colto l'importanza): il lavoro di creazione della forma è già, d'acchito, in tre dimensioni. I programmi di modellazione tridimensionale rendono per la prima volta possibile creare forme direttamente nello spazio, aggirando le costrizioni dell'astrazione bidimensionale. Il processo di creazione della forma in Milesi ha una sequenza ben definita: un'idea all'inizio abbastanza vaga di forma viene disegnata ed in certo senso sezionata. Milesi definisce poi, in fasi intermedie di rappresentazione bidimensionale, una serie di curve che poi, estruse e connesse fra loro, generano la forma.


Mono-thematic Buildings/Tapparella Building. Edificio lineare costituito da una sequenza ininterrotta (su tutti i lati) di tapparelle regolarmente in commercio; esempio elementare di mutazione ottenuta attraverso una serie di movimenti meccanici. Computer model: profili e variazione volumetriche.


Tale processo, comune a tutti i progetti di Milesi, nell'apparente semplicità ha potenzialità virtualmente illimitate. L'artificio dell'estrusione (e del morphing) permette di modellare forme estremamente complesse. Non solo la forma è creata da subito in tre dimensioni. Molti programmi di CAD rendono possibile modellare una forma, stretcharla, piegarla, farle subire compressioni e deformazioni, micro-modulazioni. Non che prima tutto ciò non fosse possibile: la novità d'oggi è l'immediatezza e (relativa) facilità dell'intero processo -modellare una curva in FormZ è estremamente più veloce ed economico che usando tecniche più tradizionali come i modelli di studio.



È questa straordinaria libertà compositiva offerta dalla modellazione tridimensionale la ragione principale per cui Milesi ha scelto di esprimersi col mezzo digitale: è il rifiuto della "nudità poliedrica"
(6) in favore d'una plasticità carnale, sensuosa. Il lavoro di Milesi è ancorato saldamente nella ricerca formale. La sua è una ricerca geometrico-formale prima ancora che spaziale, scultorea direi. Questa la prima fondamentale considerazione nel leggere i suoi progetti. In Milesi non c'è nessun concettualismo, né tentativo di giustificare le proprie scelte con considerazioni extra-architettoniche.



Milesi ha abbracciato la tecnica digitale perché la sola che gli permettesse di evitare costrizioni di ortogonalità e liberamente plasmare forme e volumi. È una scelta -se vogliamo- tecnica prima che teorica, strumentale. Il cambiamento nel modo di rappresentazione dell'architettura (dall'analogico al digitale) coincide in Milesi in un radicale cambiamento nel modo di concepire l'architettura stessa. Il computer diventa l'artificio, il trucco per esplorare le potenzialità finora sconosciute di alcune curve. È una linea di ricerca, quella di Milesi, potenzialmente illimitata.

3. Le ricerche di Milesi, fino ad oggi volutamente limitate alla sola speculazione formale, iniziano a prendere una piega nuova. Due nuovi fattori entrano in gioco: l'interesse per l'effettiva realizzabilità (costruibilità) delle nuove forme, e l'integrazione di elementi grafici e materici a definire una reale consistenza delle superfici. La costruibilità dei blob è stata volutamente ignorata da Milesi per molto tempo. Nei primi suoi lavori (già pubblicati da ARCH'IT nel maggio del 2000) è evidente il quasi totale rifiuto della ossessione costruttiva comune a molti architetti: la possibilità di materializzare una forma complessa era fino ad oggi evitata, quasi fosse un ostacolo alla ricerca pura. Del resto, la preoccupazione tecnologica cosí scissa dal lavoro di progettazione non poteva che portare ad un vicolo cieco.

Con questa prima serie di Edifici Mono-tematici, Milesi comincia ad indagare le potenzialità di alcuni materiali e dell'uso di proiezioni ed elementi grafici per definire superfici. L'ambiguità di alcuni dei suoi primi progetti inizia a dissolversi, le superfici iniziano ad assumere attributi reali, materici. In uno dei progetti, un rivestimento in cellophane prova a sfruttare i valori di duttilità, trasparenza e lucentezza della plastica.

L'edificio videografico usa le proiezioni video come superfici per definire sequenze spaziali lungo percorsi lineari e per modulare opacità e luminusità degli spazi. Uno dei progetti esplora le possibilità aggregative della tapparella, usata come modulo per generare un volume sinuoso.

Certo, è impossibile leggere questi progetti come definitive soluzioni a problemi costruttivi. L'interrogativo sul come realizzare al vero una forma complessa è lontano dall'esser risolto, e l'ambiguità digitale di questi progetti è ancora la loro caratteristica principale.

Mono-thematic Buildings/Videographic Building. Edificio a percorsi lineari; le superfici sono soggette a mutamenti percettivi e temporali ottenute attarverso l'alternarsi di proiezioni video. Computer model: viste. Mutazione superficiale. Vista interna.





4. Dieci anni fa Fredric Jameson, a proposito della condizione postmoderna, scriveva: "Ancora non possediamo il bagaglio percettivo per comprendere questo nuovo iperspazio, in parte perché le nostre abitudini percettive si sono formate nel più vecchio spazio dell'alto modernismo" (7).



Nonostante l'abitudine ormai diffusa nel vedere immagini digitali (si pensi ai dinosauri disneyani, o al film The Matrix), gli spazi dell'architettura digitale sono ancora indecifrabili e per molti versi alieni al mondo che conosciamo. Al profondo cambiamento nei processi del fare architettura non sembra ancora rispondere un cambiamento nel nostro modo di percezione. I progetti di Milesi sono -se vogliamo- disarmanti.

Milesi, nel raccontarmi la genesi di questi lavori, spesso s'è soffermato su un termine che definisce il terreno delle sue ricerche: displacement. Displacement è spostamento di significato, gusto nell'inserire elementi estranei, che amplificano l'effetto di sopresa (e di gioco), indefinitezza dell'immagine, ricerca d'una condizione di ambiguità (sospensione) spaziale... È in tale area di incertezza che andrà ricercato il piacere estetico-formale delle architetture di Milesi

Cesare Birignani
birig@hotmail.com
 
NOTE

1. N. Pevsner, An Outline of European Architecture, Penguin Books, 1974, p. 224.
2. W. Gropius, The Idea and the Structure of the National Bauhaus, in Manifeste, 1905-1933, Diether Schmidt, Dresden 1964, p. 290, cit. in E. Gombrich, Hegel and Art History, in On the Methodology of Architectural History, Guest Ed. D. Porphyrios, "Architectural Design Profile", 1981, p. 9.
3. D. Watkin, Architettura e moralità: dal Gothic revival al movimento moderno, Jaca Books, Milano 1982.
4. F. Purini, Un classicismo perduto, in iper-spazio.
5. Questo argomento non è certo nuovo. Cfr. ad es. Herbert Read: "Art, even in its pre-historic or most primitive manifestations, is a discipline of the senses, a concentrated expression of social and individual consciousness, 'fine' in the sense that it is skillfull, selective and intense. These values are now discredited as 'aesthetic' or 'formal', and there is an implication that they are to be despised because they merely give pleasure. But to deny the aesthetic basis of art is merely masochistic: is to deprive oneself of the pleasure properly belonging to a formative activity" (Preface in The Grass Roots of Art - Lectures on the Social Aspects of Art in an Industrial Age, Meridian Books, Cleveland, 1946, 1961, p. 14).
6. Cfr. B. Cache, Classicità e modellazione esatta, relazione presentata al convegno La produzione dell'architettura digitale, Firenze, 10 dicembre 1999, in ARCH'IT.
7. F. Jameson, Postmodernism or, The Cultural Logic of Late Capitalism, Duke University Press, Durham 1991, 1999, p. 38.

Per qualsiasi comunicazione
 è possibile contattare la
redazione di ARCH'IT


laboratorio
informa
scaffale
servizi
in rete


archit.gif (990 byte)

iscriviti gratuitamente al bollettino ARCH'IT news







copyright © DADA Architetti Associati