Superficie |
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Tra le questioni maggiormente dibattute e trasversali dell'architettura recente c'è senz'altro il tema della "superficie". Tentando una prima approssimazione al fenomeno, possiamo individuarne i forti collegamenti con quella che Carlos Martí Arís (Le variazioni dell'identità, Clup, 1990) chiama "la dimensione analitica, scomponibile" dell'architettura moderna. Sottoposti all'azione combinata della richiesta di prestazioni funzionali sempre più sofisticate e delle soluzioni in grado di soddisfarle, gli edifici assistono infatti a una evidente moltiplicazione dei loro elementi costitutivi. Dall'iniziale scissione tra struttura portante e partizioni spaziali si è infatti passati alla sovrapposizione negli involucri di molteplici strati, ciascuno dedicato a mediare il rapporto tra interno ed esterno in termini climatici, acustici, energetici, di resistenza all'usura ecc. L'attenzione rivolta dai progettisti alle pelli degli edifici (diventate nel frattempo una delle voci maggiormente incisive sui costi) è a questo riguardo particolarmente significativa e costituisce il punto di partenza di diverse recenti pubblicazioni sull'argomento, tra le quali, oltre a testi dichiaratamente manualistici (Eberhard Oesterle, Double-Skin Facades. Integrated Planning, Prestel, 2001; Michael Wigginton e Jude Harris, Intelligent Skins, Architectural Press, 2002; Alan J. Brookes, Chris Grech, Alan J. Brookes, The Building Envelope. Applications of New Technology Cladding, Butterworth Architecture, 1990) e a raccolte antologiche di esempi (In Detail Building Skins. Concepts, Layers, Materials, a cura di Christian Schittich, Birkhäuser, 2001; Facades, a cura di Pilar Chueca, Links Internacional, 2003), vanno segnalate anche le ricerche di Daniela Colafranceschi (Architettura in superficie. Materiali, figure e tecnologie delle nuove facciate urbane, Gangemi, 1995) e Sull'involucro in architettura (Librerie Dedalo, 1996), basato su una serie di interessanti interviste. |
[10aug2004] |
Carlos
Martí Arís, Le variazioni dell'identità. Il tipo in architettura,
1993
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Eberhard
Oesterle, Double-Skin Facades: Integrated Planning, 2001
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Michael
Wigginton, Jude Harris, Intelligent Skins, 2002
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Christian
Schittich (editor), In Detail: Building Skins: Concepts, Layers,
Materials, 2002
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Pilar
Chueca (editor), Facades, 2003
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Daniela
Colafranceschi, Architettura in superficie, 1995
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Daniela Colafranceschi, Sull'involucro in architettura, 1996 |
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La centralità attribuita da questi approcci all'aspetto tecnologico viene affrontata in termini maggiormente problematici da David Leatherbarrow e Mohsen Mostafavi (Surface Architecture, MIT Press, 2002), che rilevano nell'architettura contemporanea un diffuso conflitto fra produzione e rappresentazione. Secondo i due studiosi, la concezione delle finiture superficiali degli edifici oscillerebbe oggi tra la semplice espressione di metodiche di assemblaggio e una riproduzione "pittorica", più o meno tecnologicamente avanzata, di modi costruttivi tradizionali. Nel primo caso il "progetto della rappresentazione" rischierebbe di essere praticamente escluso, mentre nel secondo ne deriverebbe una versione nostalgica, rinunciataria rispetto alle nuove possibilità. Attraverso numerosi esempi (da Albert Kahn a Herzog & de Meuron, passando per Fabiani, De la Sota, Lewerentz…) il volume indaga i molteplici percorsi architettonici tracciati tra tecnica e storia.Tema svolto con maggiore attenzione verso il passato anche da altri saggi rivolti alla questione della facciata (ad esempio da Charles Burroughs, The Italian Renaissance Palace Façade. Structures of Authority, Surfaces of Sense, Cambridge University Press, 2002). |
David
Leatherbarrow, Mohsen Mostafavi, Surface Architecture, 2002
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Charles
Burroughs, The Italian Renaissance Palace Façade, 2002
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Ancora in una prospettiva storica si situano gli studi dedicati alla teoria del rivestimento di Gottfried Semper e alla linea di pensiero che dal grande architetto tedesco, attraverso Adolf Loos, si è poi sviluppata con esiti imprevedibili nel ventesimo secolo (vedi Joseph Rykvert, L'architettura è tutta nella superficie. Semper e il principio del rivestimento, in "Rassegna", Ri-vestimenti, n. 73, 1998; Giovanni Fanelli, Roberto Gargiani, Il principio del rivestimento, Laterza, 1994). Esiti imprevedibili soprattutto per il fatto che, a partire da una condivisa teoria dell'origine tessile dell'architettura, Loos approda a una netta scomunica della decorazione molto lontana dalla vena neorinascimentale del maestro di Amburgo. Prima con Il principio del rivestimento (1898), nel quale si enuncia la famosa "legge" secondo la quale i materiali possono essere trattati in ogni modo ma senza imitare altri materiali, poi con Ornamento e delitto (1908, entrambi contenuti in Parole nel vuoto, Adelphi, 1972) Loos contribuisce a fondare, pur con tutte le sue ambiguità, il puritanesimo espressivo del movimento moderno e dei suoi continuatori. |
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Ri-vestimenti,
"Rassegna",
73, 1998
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Giovanni
Fanelli, Roberto Gargiani, Il principio del rivestimento, 1994
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Adolf Loos, Parole nel vuoto, 1972 |
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L'ornamento, messo a margine dalle ricerche delle avanguardie storiche, viene riportato al centro del dibattito tra gli anni settanta e ottanta e sdoganato dall'azione critica degli esponenti del postmoderno (tra i primi e più attivi Charles Jencks, che con George Baird cura, nel 1969, Meaning in architecture, Barrie & Rockliff the Cresset Press), la cui influenza è ancora evidente nei numerosi titoli recenti sull'argomento (tra gli altri: Oliver Garnett, Living in Style: A Guide to Historic Decoration and Ornament, Natl Trust, 2003; Debra Schafter, The Order of Ornament, The Structure of Style. Theoretical Foundations of Modern Art and Architecture, Cambridge University Press, 2003; Kent C. Bloomer, The Nature of Ornament: Rhythm and Metamorphosis in Architecture, W.W. Norton & Company, 2000; Brent C. Brolin, Architectural Ornament: Banishment and Return, W.W. Norton & Company, 2000; Malcolm Miles, The Uses of Decoration. Essays in the Architectural Everyday, John Wiley & Sons, 2000). L'ansia di superare l'afasia del moderno, per quanto solidamente motivata, si è però accompagnata a una diffusa deriva storico-populista, almeno fino a che più raffinate sperimentazioni intorno a temi e procedure dell'arte contemporanea non ne svelassero le potenzialità progressive. Nel commentare l'opera di Herzog & de Meuron -protagonisti di quest'ultimo approccio- William J.R. Curtis (Enigmas of Surfaces and Depth. The Architecture of Herzog & de Meuron, in "El Croquis", n. 109-110, 2002) riporta, per confutarla, la diffusa opinione secondo la quale i due architetti di Basilea non avrebbero fatto molto di più che reinventare il decorated shed di Bob Venturi come una elegante "scatola svizzera" rivestita in modo più sofisticato e "moderno". Al di là delle polemiche, il riferimento a Venturi appare centrato finché si limita a rilevare la comune attenzione al campo dell'arte (Beuys, Kounellis, Richter… ma anche Warhol per gli svizzeri, la pop art e i mosaici bizantini per l'americano), ma questi stessi riferimenti, sia pure in parte sovrapposti, parlano di una diversa adesione alle condizioni della contemporaneità. La ricerca di Venturi si è infatti sporcata le mani con le mutazioni architettoniche determinate dall'influenza dell'automobile e di altri mezzi di comunicazione (vedi Learning from Las Vegas, con Denise Scott-Brown e Steven Izenour, MIT Press, 1972, e il più recente Iconography and Electronics upon a Generic Architecture. A View from the Drafting Room, MIT Press, 1996). In questo caso gli aspetti tecnologici non riguardano solo l'essenza costruttiva degli edifici, ma soprattutto la trasformazione delle condizioni di percezione. È l'automobile che, ampliando e rarefacendo gli spazi urbani, riducendo il campo visuale e allontanando il punto di focalizzazione dell'osservatore, rende sempre meno significative le composizioni basate sull'articolazione dei volumi, lasciando spesso il campo all'immediatezza comunicativa della pubblicità o della grafica. |
Oliver
Garnett, Living in Style, 2003
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Charles Jencks, George Baird, Meaning in architecture, 1969 |
Debra Schafter, The Order of Ornament, 2003 |
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Brent C. Brolin, Architectural Ornament: Banishment and Return, 2000 |
The
Architecture of Herzog & de Meuron, "El Croquis", 109-110, 2002
[Rossi] |
Robert
Venturi, Denise Scott-Brown e Steven Izenour, Learning from Las
Vegas, 1972
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Robert Venturi, Iconography and Electronics upon a Generic Architecture, 1996 |
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Questa paradossale riduzione alle due dimensioni di un'architettura sottoposta all'accelerata condizione quadridimensionale dello spazio-tempo contemporaneo è alla base di una seconda linea di ricerca sulla superficie, dove alla forte componente materiale del discorso sull'involucro si sostituisce un'orientamento teso a indagare fenomeni incorporei e antitettonici. Paul Virilio (L'espace critique, Christian Bourgois, 1984) analizza lucidamente gli effetti di dematerializzazione della sostanza urbana sotto l'effetto dei nuovi media, rilevando la trasformazione delle superfici in interfacce, membrane osmotiche che regolano i complessi riti di passaggio (di merci, persone, informazioni ecc.) delle nostre società. Una condizione che influenza numerose esperienze progettuali contemporanee (vedi Alicia Imperiale, New Flatness. Surface Tension in Digital Architecture, Birkhäuser, 2000) e che si verifica alle scale più diverse, dai grandi contenitori commerciali lungo le autostrade alle tendenze recenti nel design industriale, e nella stessa concettualizzazione di progetti basati sulla stratificazione di layers funzionali (esemplare, ancora, la Villette di OMA), come ho cercato di evidenziare nel mio Dal volume all'interfaccia. La prevalenza della superficie nell'architettura contemporanea ("Architettura intersezioni", n. 8, 2000; sul design vedi Il progetto delle interfacce. Oggetti colloquiali e protesi virtuali, a cura di Giovanni Anceschi, Domus Academy, 1992; "Modo", n. 193, 1998, Superfici; Ellen Lupton et al., Skin. Surface, Substance, and Design, Princeton Architectural Press, 2002). |
Paul Virilio, L'Espace critique, 1984 |
Alicia
Imperiale, New Flatness. Surface Tension in Digital Architecture,
2000
[Vaccarini] |
Dal
volume all'interfaccia, "Architettura intersezioni", 8, 2000 |
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Giovanni Anceschi (a cura di), Il progetto delle interfacce, 1992 |
Ellen
Lupton (editor), Skin. Surface, Substance, and Design, 2002
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Stephen
Perrella (editor), Hypersurface Architecture, "Architectural
Design", 133, 1998
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Il riferimento agli iperspazi pluridimensionali emerge anche nei due numeri di "Architectural Design" curati da Stephen Perrella (Hypersurface Architecture, vol. 68, f. 5-6, n. 133, 1998; Hypersurface Architecture II, vol. 69, f. 9-10, n. 141, 1999) dedicati agli ambienti digitali e alla possibilità di gestire figure topologiche complesse -nastri di Moebius, bottiglie di Klein ecc.- che evidenziano il passaggio a una idea di superficie come motore concettuale del progetto (vedi anche Surface Consciousness, a cura di Mark Taylor, "Architectural Design", vol. 73, f. 2-3, n. 162, 2003). Esemplare, a questo riguardo, il cortocircuito filosofico-architettonico che, a partire dal famoso saggio di Gilles Deleuze sul barocco (Le pli, Editions de Minuit, 1988), si è prodotto attorno al tema della "piega", tuttora al centro della riflessione critica più recente (vedi Folding in Architecture, a cura di Greg Lynn e Kenneth Powell, "Architectural Design", vol. 63, f. 3-4, n. 102, 1993; Joseph Rosa, Next Generation Architecture. Folds, Blobs, and Boxes, Rizzoli, 2003). |
Stephen Perrella (editor), Hypersurface Architecture II, "Architectural Design", 141, 1999 |
Mark
Taylor (editor), Surface Consciousness, "Architectural Design",
162, 2003
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Gilles
Deleuze, Le pli, 1988
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Joseph
Rosa, Next Generation Architecture. Folds, Blobs, and Boxes,
2003
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Greg Lynn, Kenneth Powell (editors), Folding in Architecture, "Architectural Design", 102, 1993 |
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L'eterogeneo panorama del progetto contemporaneo sembra dunque esprimere
una sorta di complessità "superficiale", dove la tendenza alla concettualizzazione
bidimensionale costituisce certamente una risposta difensiva alle attuali
condizioni di produzione dell'architettura, in grado tuttavia di agire
nel senso di un potente dispiegamento di potenzialità, tanto destabilizzanti
quanto proliferative. Giovanni Corbellini gcorbellini@units.it |
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edizioni
italiane
Il significato in architettura, a cura di Charles Jencks e George Baird, Dedalo, 1969. Robert Venturi, Denise Scott Brown, Steven Izenour, Imparando da Las Vegas, Cluva, 1985. Paul Virilio, Lo spazio critico, Dedalo, 1988. Alicia Imperiale, Nuove bidimensionalità. Tensioni superficiali nell'architettura digitale, Testo&Immagine, 2001. Gilles Deleuze, La piega. Leibniz e il barocco, Einaudi, 1990. |
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post
scriptum
un classico tra narrativa e matematica è: Edwin A. Abbot, Flatlandia. Racconto fantastico a più dimensioni, Adelphi, 1966 (1882). un testo fondamentale è: Wassily Kandinsky, Punto linea superficie, Adelphi, 1968 (1926). per una lettura "superficiale" dell'opera di Terragni vedi: Thomas L. Schumacher, Surface & Symbol. Giuseppe Terragni and the Architecture of Italian Rationalism, Princeton Architectural Press, 1996. sulla connessione tra pittura e architettura: The Built Surface. Architecture and the Pictorial Arts from Romanticism to the Twenty First Century, a cura di Karen Koehler e Christy Anderson, Ashgate Publishing Company; 2001. sulle facciate commerciali, il più recente di una serie: Martin M. Pegler, Storefronts & Facades No. 7, Watson-Guptill Pubns, 2001. sempre sul commercio: Shoichi Muto et al., American Signs & Facades, Shotenkenchiku-Sha, 1999. e: European Signs & Facades, Shotenkenchiku-Sha, 1999. diversi saggi che toccano la questione e, in particolare, il tema della piega, stanno in: Anthony Vidler, Warped Space. Art, Architecture and Anxiety in Modern Culture, Mit Press, 2000. sulla superficie come oggetto di conoscenza in architettura: George Liaropoulos-Legendre, Ijp. The Book of Surfaces, Architectural Association Publications, 2003. sul lavoro di Dagmar Richter e dello studio DRD Lab: Andrew Benjamin, Armed Surfaces, Black Dog Publishing, 2004. |
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ARCH'IT
parole chiave laboratorio
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