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Il
concorso scava la fossa Mosè Ricci |
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INTRO. Con Aldo Aymonino, Pippo Ciorra, Filippo Spaini, Stefan Tisher, Studio eu e altri ancora che ci hanno aiutato a fondare le nostre intuizioni -come Massimo Majowiecki, Frei Otto, RTKL, Lenzi Consulting, Seste, Trevi spa e Q progetti- abbiamo partecipato insieme al concorso internazionale per la nuova stazione AV di Firenze. Il nostro progetto di seconda fase ha proposto una soluzione costruttiva sostenibile e alternativa a quella prevista dal bando. Abbiamo perso, con tanti complimenti per l'originalità e il coraggio della nostra ipotesi. Come succede sempre, ho imparato molto da questa esperienza. Con questa nuova consapevolezza e con la convinzione di chi è parte in causa, vorrei portare all'attenzione del vostro Forum sui concorsi alcune questioni che emergono da una vicenda, credo, significativa. FATTI. Agli inizi di ottobre 2002 il concorso internazionale di idee per la nuova stazione dell'Alta Velocità di Firenze è stato aggiudicato. Il programma di intervento TAV-Comune prevede la realizzazione della nuova stazione in sotterranea, all’interno di un camerone interrato nell’area degli ex Macelli. Si tratta di una gigantesca scatola di cemento armato con una base di 52x454 metri e una profondità, sotto terra, di circa 26 metri. Il camerone interrompe, con tutto il fronte longitudinale, la principale falda acquifera sotterranea della città di Firenze. Dallo scavo del camerone si estrarranno circa 900.000mc. di terra da portare via. Sono previsti circa 2.000 convogli ferroviari (ciascuno di 16 vagoni) per il trasporto della terra estratta e dei materiali necessari alla costruzione. Lo scavo può contenere tutta una grande arteria urbana come via Cola di Rienzo a Roma, dal Lungo Tevere a San Pietro, con dentro anche la prima fila di edifici alti a destra e a sinistra della strada. S. Maria del Fiore, il Duomo di Firenze, entra tre volte nella fossa del camerone. Le conseguenze ambientali dell'interruzione della falda sono poco prevedibili, sia per quanto riguarda i rischi di depauperamento della risorsa acquifera sotterranea che per quelli di piena. Gli impatti del cantiere sulla città (inquinamento acustico, polveri, traffico, etc.) saranno poderosi. I costi molto elevati, i tempi difficili da controllare e soggetti a numerose variabili esterne (interruzione della falda, tenuta delle paratie, efficacia delle strutture di contrasto, accesso al fondo dello scavo). Ma questo programma pone anche interrogativi di altro tipo. Che spazio c’è per un edificio così invasivo per dimensioni e impatti nel cuore di una delle più importanti città d’arte del mondo? È una macrostruttura la forma insediativa che meglio interpreta il tempo attuale a Firenze? Dove va a finire tutta la grande preoccupazione per la città dimostrata dai politici e dal mondo della cultura per il social forum? Che dice la Fallaci? Per risparmiare circa mezz'ora di treno tra Milano e Roma, vale la pena di costruire un ecomostro nel centro di Firenze? Il concorso è stato vinto da Ove Arup (Gabriele del Mese capogruppo) e Norman Foster. Il loro progetto dà forma al programma di intervento della TAV e rappresenta con dignità l'aspirazione dell'Amministrazione Comunale ad avere una grande firma per il progetto che descrive il futuro a Firenze. CONSIDERAZIONI. Credo che gli esiti del concorso di Fi-TAV facciano emergere alcuni dubbi sulla politica dei concorsi di architettura in Italia. Mi vengono in mente almeno 5 punti di crisi di questo sistema per quanto riguarda per le grandi opere. Nell'ordine: 1. CHE SENSO HA COINVOLGERE GLI ARCHITETTI NELLE DECISIONI CHE RIGUARDANO I MODI DI ATTUARE LE POLITICHE DELLA TRASFORMAZIONE URBANA E DELLE NUOVE INFRASTRUTTURE SE GLI SI CHIEDE SOLO DI CONCEPIRE LA BELLA FORMA DEL PACCO (E NON COME E' FATTO QUELLO CHE CI SI METTE DENTRO)? Il nostro lavoro non è solo mega-design urbano. Il significato di una consultazione di idee dovrebbe essere quello di trovare il modo migliore di realizzare un programma di trasformazione nello spazio della città o del territorio. Dove per modo migliore intendo un'equazione tra la forma fisica dell'intervento, il costo che vale la pena di spendere e gli effetti che la realizzazione del progetto è in grado di produrre sul contesto. Per questo è utile confrontare punti di vista qualificati, diversi e spesso alternativi tra loro. L'idea che il progetto di urbanistica, o di architettura, serva essenzialmente a definire l'estetica dell'involucro corrisponde ad una visione beaux-arts del progetto, legittima, ma sicuramente riduttiva. Una concezione che, soprattutto, rappresenta un limite per le possibilità di innovazione nei processi e nei metodi di realizzazione delle grandi opere pubbliche. 2. QUAL E' IL NOSTRO RUOLO ETICO E POLITICO SE NON QUELLO DI STABILIRE ATTRAVERSO IL PROGETTO LE PRIORITA' E I MODI DEL CAMBIAMENTO RISPETTO ALLE CONTINGENZE URBANE, PAESAGGISTICHE E AMBIENTALI? Bisogna rinnovare i rapporti tra architetti e potere, le relazioni tra costruzione del consenso e forma dell'architettura devono essere ripensati in termini più profondamente propositivi. L'architetto è da sempre chiamato a un lavoro di prefigurazione dello spazio fisico che, necessariamente, ha forti connotazioni etiche e politiche. È questo il nostro ruolo nella società e anche il modo che abbiamo di incidere sui processi di sviluppo del territorio. La sostenibilità economica, ambientale e paesaggistica del cambiamento proposto non possono più essere relegate a mero "fatto tecnico", l'esperienza ci insegna che la forma del processo è la forma del progetto. E la sostenibilità del processo dovrebbe essere l'oggetto stesso del concorso di idee, come strumento di comunicazione e di creazione del consenso sulle previsioni di cambiamento. 3. CHE SENSO HA PROMUOVERE SISTEMATICAMENTE I PROGETTI DEI GRANDI NOMI INTERNAZIONALI NEI CONCORSI? SONO MEGLIO? OFFRONO PIU' GARANZIE? LE SOPRINTENDENZE DIVENTANO PIU' OSSEQUIENTI? ...COME SI COSTRUISCE IL CONSENSO SULLE GRANDI OPERE? In Italia la stagione dei grandi concorsi internazionali ha preso vigore forse a partire da quello per il nuovo centro per le arti contemporanee a Roma. Vinse la Hadid con un progetto tanto bello quanto politicamente corretto (donna, asiatica, studio a Londra, grande firma internazionale, etc.). Fu un'operazione intelligente dell'Amministrazione Pubblica che con una sola mossa si garantì la qualità dell'intervento, un ottimo risalto mediatico e un aumento del pubblico consenso sull'utilità delle opere di architettura contemporanea. Erano in gestazione -con il ministro Veltroni- la legge sull'architettura contemporanea (poi abortita) e la nuova Direzione Generale, che invece ora esiste e opera. Portando nel nostro paese la grande architettura internazionale si è cominciato a colmare un gap culturale notevole. Da allora, anche in Italia, l'architettura contemporanea di qualità torna a far tendenza e, talvolta, supera i conflitti e mette a tacere gli scettici. Da allora questo modello di importazione della cultura del progetto è stato banalizzato e replicato volte innumerevoli. Se si vuole far passare un progetto conta solo il nome (come Citterio nella reclame con Stallone...); ed è meglio se è straniero. 4. (se la montagna non va a Maometto...) COME SI DA' SPESSORE INTERNAZIONALE ALL'ARCHITETTURA ITALIANA? Forse il fenomeno descritto al punto precedente non è poi così negativo, almeno serve a riportare l'architettura al centro del dibattito sul mutamento, proprio quando l'onda della trasformazione l'aveva travolta e, volentieri, ne faceva a meno. Ma allora il nostro problema culturale diventa quello di ri-acquisire quello spessore e quella credibilità internazionale che l'architettura italiana, con alcune nobilissime eccezioni, sembra aver perso da più di vent'anni. Non siamo esenti da colpe. Accademismo, incapacità di comprendere in tempo il significato e i caratteri del mutamento, rigidezze ideologiche, difficoltà di confronto con il mercato, sono solo alcuni dei vizi di fine secolo della nostra cultura del progetto. Ma direi che la deriva estetizzante e autoreferenziale dell'architettura italiana riguarda una fase superata (rischiamo altre derive, ma questa è un'altra storia) e tutta la produzione sperimentale e la ricerca dei giovani under 40, per esempio, sta a testimoniarlo. Solo che per portare in luce, per far crescere e affermare una nuova cultura del progetto bisogna offrire occasioni concrete di visibilità e di sperimentazione. In altri termini, va bene garantire la qualità degli interventi con la politica dei concorsi, ma la crescita della cultura del progetto nel nostro Paese dipende anche da una strategia che mira non a escludere, ma piuttosto a rendere competitiva l'architettura italiana di qualità sulla scena internazionale. 5. E chi promuove questo processo (perché non c'è un Hertzberger o un Bohigas italiano)? Che ruolo giocano i critici, le riviste, i gestori delle politiche culturali? SENZA SAPERLO COMBATTIAMO UNA GUERRA SUL FRONTE INTERNO? In altri Paesi -come per esempio in Spagna, in Portogallo e in Olanda- alcune figure istituzionali o pubbliche (scuole, amministrazioni territoriali, riviste), si sono fatte carico del programma di crescita della competitività della cultura architettonica nazionale. Gli esiti sono sotto gli occhi di tutti. In Italia, programmaticamente, non è stato così. Fino ad ora non ne sono state capaci le scuole, poco autorevoli e piuttosto isolate in campo internazionale, né le principali riviste che pure il potere di incidere lo avevano e lo hanno ancora. Il flirt continuo tra i gestori delle nostre politiche culturali e il gotha dell'architettura internazionale sta producendo effetti perversi. Gli studi italiani (più o meno giovani) che si confrontano con il sistema nazionale dei concorsi non continuano a crescere, al contrario rischiano impoverirsi più in fretta e di scomparire. I concorsi gli scavano la fossa. Gli unici architetti italiani affermati in campo internazionale si sono prima affermati all'estero e sono fuori dalle scuole. Forse sbagliamo a insistere. Dobbiamo non fare questo mestiere in Italia e andare all'estero? Oppure abbandonare il campo e dedicarci solo alla dimensione locale del progetto? Ma, per favore, ditecelo prima. Mosè Ricci mosericci@villard.it |
[18nov2002] | |||
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