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Parole Chiave

Bello?



In conclusione a una recente intervista televisiva (Che tempo che fa, RaiTre, 08.01.2005), Renzo Piano affermava che "la bellezza è una bellissima idea". Una ennesima conferma, dall'alto di una fonte particolarmente autorevole e dal basso di un contesto quanto mai popolare (dall'interno della professione come nella percezione collettiva della stessa), che di quello, proprio di bellezza tratta l'architettura. Tuttavia, la tautologia usata da Piano mostra, probabilmente al di là delle sue intenzioni, quanto problematica sia la questione, a partire dalla stessa definizione di cosa sia bello e degli strumenti per raggiungerlo (vedi Sandro Dorna, Che cos'è l'arte. 822 definizioni di qualcosa di indefinibile, Allemandi, 1994). Problematicità intrinsecamente connessa alla soggettività del tema (il termine "estetica" è etimologicamente legato alla sensazione, alla percezione), tanto mutevole ed evanescente da produrre una serie ininterrotta di teorie e proposte, ciascuna tesa a stabilire uno standard definitivo ma inesorabilmente destinata a essere negata da concezioni nuove, da rimozioni di confini, persino da rinascite o revival di modi precedenti. Una condizione riconosciuta da Girolamo De Michele e Umberto Eco (curatori di Storia della bellezza, Bompiani, 2004) che, attraverso un'ampia rassegna di contributi critici e iconografici, sottolineano il carattere non lineare della valutazione estetica e, insieme, il significato strategico dello spostamento del punto di vista connesso a ogni operazione artistica. È grazie a quest'ultimo meccanismo, e più precisamente allo "straniamento" teorizzato da Viktor Sklovskij nel 1917 (vedi Tzvetan Todorov, I formalisti russi. Teoria della letteratura e metodo critico, Einaudi, 1968), che si spiega ad esempio il passaggio dalla "perfezione" stilistica di Raffaello, dall'unità di vero, bello e bene alla base delle sue opere, alle ambiguità della deformazione manierista, alla dismisura barocca, alla nozione di sublime (introdotta per chiarire i fenomeni di inversione estetica di esperienze considerate anche estremamente negative da Edmund Burke, A Philosophical Enquiry into the Origin of our Ideas of the Sublime and Beautiful, R. and J. Dodsley, 1757), fino all'Estetica del brutto di Rosenkranz (Aesthetik des Hässlichen, Bornträger, 1853) che relativizza definitivamente l'idea di godimento estetico. (Le cose, naturalmente, sono molto meno semplici di quanto si possa ricostruire in poche righe: sulla complessità delle tendenze artistiche in un periodo apparentemente unitario come il rinascimento vedi ad esempio Eugenio Battisti, L'antirinascimento, Feltrinelli, 1962)

[27jun2005]

             
 
 
 
 
Sandro Dorna, Che cos'è l'arte. 822 definizioni di qualcosa di indefinibile, 1994
Girolamo De Michele, Umberto Eco (a cura di), Storia della bellezza, 2004
 
Tzvetan Todorov, I formalisti russi. Teoria della letteratura e metodo critico, 1968
 
             
 
 
 
 
Edmund Burke, A Philosophical Enquiry into the Origin of our Ideas of the Sublime and Beautiful, 1757
Rosenkranz, Aesthetik des Hässlichen, 1853
 
Eugenio Battisti, L'antirinascimento, 1962
 
             
Sotto la spinta del progresso tecnologico (vedi il fondamentale Das Kunstwerk im Zeitalter seiner technischen Reproduzierbarkeit, di Benjamin, 1936) e della liberalizzazione politica e sociale, l'oscillazione degli approcci accelera repentinamente dando luogo al panorama frammentato di ipotesi molteplici e contrastanti che caratterizza l'epoca recente, dove la nozione di bellezza vede ampliare a dismisura la propria influenza (estendendosi da poche elevate occasioni a ogni più minuto oggetto d'uso, fino a investire interi stili di vita) e allo stesso tempo diluire inevitabilmente le possibilità di essere realmente raggiunta. Una situazione babelica, nella quale ogni soluzione formale risulta virtualmente praticata da qualcuno in qualche luogo e che ha prodotto una gamma di reazioni critiche altrettanto diversificata: la spassionata valutazione delle tendenze in atto (Edgar Wind, Art and Anarchy, Faber and Faber, 1963) insieme al nostalgico richiamo a un ordine ormai perduto (Hans Sedlmayr, Verlust der Mitte, Otto Müller, 1948) e all'adesione all'indeterminato come ordine "da indovinare" (vedi Umberto Eco, Opera aperta, Bompiani 1962, e Id., La struttura assente, Bompiani, 1968; Omar Calabrese, Caos e bellezza, Domus Academy, 1991).
             
 
 
 

Walter Benjamin, Das Kunstwerk im Zeitalter seiner technischen Reproduzierbarkeit, 1936

Edgar Wind, Art and Anarchy, 1963

Hans Sedlmayr, Verlust der Mitte, 1948

 
             
 
 
 
 

Umberto Eco, Opera aperta, 1962

Umberto Eco, La struttura assente, 1968
 
Omar Calabrese, Caos e bellezza, 1991
 
             
A superare questa condizione che impedisce di "trasgredire senza imitare" (le permutazioni della forma sono sostanzialmente finite, ci ricorda Tomás Maldonado, Il futuro della modernità, Feltrinelli, 1987), interviene l'azione rivoluzionaria di Marcel Duchamp (vedi Arturo Schwarz, The Complete Works of Marcel Duchamp, Delano Greenidge, 2001). L'elevazione a opera d'arte degli oggetti d'uso (scolabottiglie, orinatoi, pale...), ma anche della polvere depositata sul Grande vetro, sposta da questo momento in avanti l'obiettivo delle avanguardie dalla qualità dell'oggetto in sé al processo, dal "bello" all'"intelligente", in altre parole dal formale al concettuale. Tanto che cercare oggi remunerazioni sensoriali visitando una esposizione di arte contemporanea (la Biennale di Venezia, piuttosto che Documenta Kassel), sfogliando una raccolta di contributi recenti (ad esempio Art at the Turn of the Millennium, a cura di Burkhard Riemschneider e Uta Grosenick, Taschen 1999) oppure guardando le opere di Damien Hirst o del nostro Maurizio Cattelan (per fare due nomi apparsi su "Domus" nel 2004, n. 876 e n. 871) può risultare estremamente frustrante. Quali conseguenze ha avuto tutto ciò sull'architettura? A sentire Renzo Piano e la gran parte dei colleghi si direbbe nessuna. Eppure i novant'anni abbondanti dalla Ruota di bicicletta (1913) non sono passati senza lasciare traccia. Lo slogan Less Aesthetics More Ethics, titolo della Biennale veneziana curata da Massimiliano Fuksas nel 2000 (catalogo Marsilio/Rizzoli), per quanto largamente disatteso (grossomodo ne emergeva che l'etica dell'architetto sta nell'estetica...), riassume una storia ormai secolare di reazioni al formalismo (vedi l'apologo A proposito di un povero ricco, di Loos, 1900), riallacciandosi alla componente fondativa e originale del moderno in architettura. Un approccio certo favorito dal peculiare intreccio della nostra disciplina con l'economia e la società, già registrato da Vitruvio e successivamente radicalizzatosi con la rivoluzione industriale ("Architecture is 90 percent business and 10 percent art", sosteneva negli anni Trenta Albert Kahn, architetto della Ford e della GM).
             
 
 
 

Tomás Maldonado, Il futuro della modernità, 1987

Arturo Schwarz, The Complete Works of Marcel Duchamp, 2001

Burkhard Riemschneider, Uta Grosenick (a cura di), Art at the Turn of the Millennium, 1999

 
             
 
 
 

"Domus", 871, 2004

"Domus", 876, 2004

Less Aesthetics More Ethics, 2000

 
             
 
 
 

Adolf Loos, Parole nel vuoto, 1972

 
             
Come è noto, il tentativo operato dai funzionalisti di riassumere la venustas vitruviana nella firmitas e soprattutto nell'utilitas, di produrre "buona forma" attraverso il controllo sui modi d'uso e di produzione, si è rivelato una illusione positivista, evidenziata dalle dinamiche mutevoli e indeterminate di quelle stesse componenti industriali dalle quali traeva ispirazione. Contraddizioni dalle quali non sfuggono nemmeno la successiva reazione postmoderna, i vari contestualismi, i periodici ripiegamenti all'interno dell'autonomia disciplinare. Al di là di ogni giudizio sul loro essere "a tempo", le pretese di ricostruire un quadro estetico più stabile e condiviso -e le conseguenti contrapposizioni reciproche di linguaggi- alimentano, in definitiva, quegli stessi processi di consumo e svalutazione delle immagini che intendevano combattere (vedi Neil Leach, The Anaesthetics of Architecture, The MIT Press, 1999). Ne consegue che di "bellezza" certamente si parla (non solo Renzo Piano: chiunque si occupi di immagine ha una sua precisa idea estetica e la discute continuamente con clienti, amici e collaboratori) ma più difficilmente se ne scrive in modo esplicito. Quando lo si fa, spesso se ne forza il significato, svalutandone la potenzialità eversiva (ad esempio quando compare sulle copertine dei manuali per la decorazione fai da te, come quelli di Tina Skinner, Beautiful Bathrooms, Schiffer, 2002; o di Tessa Evelegh, House Beautiful Walls & Floors Workshop, Hearst, 2005) o, all'opposto, accostandola paradossalmente ad aspetti estremi e problematici (Rem Koolhaas, La splendeur terrifiante du XXe siècle, in "L'Architecture d'Aujourd'hui", n. 238, 1985; Daniel Bertrand Monk, An Aesthetic Occupation. The Immediacy of Architecture and the Palestine Conflict, Duke University Press, 2002; Julie Bargmann, Toxic Beauty. A Field Guide to Derelict Terrain, 2005).
             
 
 
 
 

Neil Leach, The Anaesthetics of Architecture, 1999

Tina Skinner, Beautiful Bathrooms, 2002
 
Tessa Evelegh, House Beautiful Walls & Floors Workshop, 2005
 
             
 
 
 
 

"L'Architecture d'Aujourd'hui", 238, 1985

Daniel Bertrand Monk, An Aesthetic Occupation. The Immediacy of Architecture and the Palestine Conflict, 2002
 
Julie Bargmann, Toxic Beauty. A Field Guide to Derelict Terrain, 2005
 
             
Dall'altra parte si sono invece moltiplicati i contributi che hanno cercato di fondare teorie e metodologie architettoniche progressivamente slegate dalla dimensione formale, la cui adesione alla concretezza delle realtà contemporanee avviene inaspettatamente attraverso strumenti elaborati all'interno delle più stravaganti ricerche artistiche aperte dalla rivoluzione duchampiana (vedi le mie "parole chiave", e in particolare assenza, densità, diagramma, evento, grande, indeterminato). Provando a seguire questa influenza nell'architettura recente, ritroviamo l'aleatorietà e l'automatismo dei Trois stoppages étalon (1913-14) in molte proposte di Koolhaas e Tschumi, sicuramente tra i primi ad abbandonare l'idea di progetto come assetto pacificato per abbracciare una visione apertamente conflittuale. Riconosciamo l'ironia della Fontaine (1917) e le sue procedure di inversione in molti progetti olandesi, soprattutto da parte di NL Architects, di MVRDV, di Maxwan (vedi il mio Pragmatismo, sperimentazione, ironia. Strategie recenti fra progetto e infrastrutture nei Paesi Bassi, in "paesaggio urbano", n. 4, 2004). Assistiamo all'utilizzo di ready-made nell'opera di Anne Lacaton e Jeanne Philippe Vassal, ancora di NL Architects, di Samuel Mockbee, di Hrvoje Njiric (vedi anche il suo manifesto The end of modernism, in "Parametro", n. 244, 2003)... Si tratta di progetti e realizzazioni che si confrontano spesso con situazioni limite, con questioni nuove, che, in definitiva, estendono le capacità di intervento dell'architettura su terreni inesplorati, un po' come la relatività o la meccanica quantistica hanno esteso le possibilità di capire i fenomeni fisici e di intervenire su di essi. Teorie, queste ultime, che hanno incluso i raggiungimenti precedenti come casi particolari.
             
 
 
 
 

"paesaggio urbano", 4, 2004

"Parametro", 244, 2003
 
 
             
Allo stesso modo, i nuovi approcci progettuali non escludono il sapere compositivo, specifico degli architetti e necessario nelle scelte conformative, ma ne relativizzano l'operatività, delegando ad altri strumenti strategici la costruzione della possibilità stessa di controllare la forma di oggetti e spazi, soprattutto quando questa è minacciata dai fatti della vita che ne permettono la realizzazione. Le architetture che ne derivano, evitando di cercare l'armonica ed equilibrata appropriatezza dell'ideale vitruviano, trovano la loro peculiare "bellezza" nell'intelligenza dinamica, aperta e sorprendente di originali processi ideativi e nella capacità di interagire con gli instabili contesti della contemporaneità.

Giovanni Corbellini
gcorbellini@units.it
edizioni italiane

Edmund Burke, Inchiesta sul bello e il sublime, Aesthetica, Palermo 1987.
Karl Rosenkranz, Estetica del brutto, Olivares, Milano 1994.
Walter Benjamin, L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilita tecnica, Einaudi, Torino 1966.
Edgar Wind, Arte e Anarchia, Adelphi, Milano 1968.
Hans Sedlmayr, Perdita del centro, Rusconi, Milano 1974.
Rem Koolhaas, La terrificante bellezza del ventesimo secolo, in Jacques Lucan, OMA. Rem Koolhaas. Architetture 1970-1990, Electa, Milano 1991.
post scriptum

per una analisi recente dei rapporti tra percezione e ambiente costruito:
Peter F. Smith, Dynamics of Delight. Architecture and Aesthetics, Routledge, 2003.

più attento a un'ottica performativa:
Arthur Earl Stamps, Psychology and the Aesthetics of the Built Environment, Kluwer Academic Publishers, 2000.

sul rapporto tra norma (in senso legale) e forma:
John J. Costonis, Allan B. Jacobs, Icons and Aliens. Law, Aesthetics, and Environmental Change, University of Illinois Press, 1989.

sulla "bellezza" di hardware e software:
David Gelernter, Machine Beauty. Elegance and the Heart of Technology, Basic Books, 1998.

una mostra (al Mart di Rovereto) incentrata sul relativismo estetico:
Il bello e le bestie. Metamorfosi, artifici e ibridi dal mito all'immaginario scientifico, a cura di Lea Vergine e Giorgio Verzotti, Skira, 2004.

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