EVENTI

 

40° FESTIVAL DEI POPOLI DI FIRENZE
"METROPOLIZED. LOST IN SPACE. Il corpo e lo spazio urbano"

 

"Eyes wide open":
lo sguardo del cinema sulla città
di Giancarlo Paba

 

1.

In alcune conferenze, oggi raccolte in un piccolo volume, Mallet-Stevens riflette ossessivamente sul rapporto tra cinema e modernità. Oggi è forse giusto chiedersi: è ancora moderno il cinema? E forse bisognerà rispondere che il cinema non è più moderno. E magari godere proprio della sua inattualità, e provare piacere nel vederlo dissolversi in un universo plurale di cinema-non-cinema, nella circolazione infinita di immagini in movimento su ogni genere di schermo. Per Mallet-Stevens la domanda aveva invece una risposta certa. Il cinema è l'emblema stesso della modernità. Nel cinema tutto è moderno, e un posto importante vi recita l'architettura moderna. Mallet-Stevens dice proprio che l'architettura moderna recita nel cinema: "L'architecture moderne ne sert pas seulement le décor cinématographique, mais marque son empreinte, elle déborde de son cadre; l'architecture joue".

 

2.

Anche la scatola nella quale si svolge lo spettacolo cinematografico - il cinema come edificio - deve essere una scatola moderna. Ed è curioso il rapporto tra città e cinematografo raccontato da Mallet-Stevens. Il teatro - inteso anch'esso come costruzione - sta nella città ed è un pezzo di città in senso pieno: monumento, luogo pubblico, grande macchina urbana. Il cinema, il locale cinematografico tradizionale, è viceversa alla fine soltanto una scatola: "Au cinema pas de coulisses, des loges d'artistes, de machineries, de dessus, de dessous, des magasins d'accessoires et de costumes …". Niente di tutto questo: il cinema è solo "un mur avec un rectangle peint en blanc et une petite boîte en fer dans la laquelle luit un arc électrique". Non ricordo una definizione di cinema più bella ed essenziale di questa: un muro con un rettangolo dipinto di bianco.
Ma questa piccola scatola che è il cinema, contiene una scatola più piccola, la cabina di proiezione, che contiene a sua volta la città e il mondo intero: "acteurs, décors, accessoires, costumes, foules, animaux, monuments, villes entières, et la campagne sous le soleil ou la pluie, et la mer vivante, et les montagnes aux plus hauts sommets, et toutes les étoiles du ciel. Un cinéma est un hangar noir judicieusement disposé dans lequel est donné un spectacle nouveau".

 

3.

Ha ancora un senso la parete bianca dentro l'hangar nero della scatola-cinema collocata in un punto qualsiasi della città ? La scatola cinema tradizionale si trasforma oggi rapidamente, riempiendosi di microscatole, e di micropubblici dentro le microscatole: le multisale sono appunto così. Ma il punto finale di questa trasformazione è molto più radicale. Nei paesi del nord Europa ed oggi anche in Italia si diffondono quelli che in Francia si chiamano multiplexes. Si tratta ancora di cinematografi, si tratta ancora della forma moderna della scatola-cinema descritta da Mallet-Stevens ?
I multiplexes francesi per esempio sono giganteschi accumuli di sale, ma anche di tutte le altre cose legate al tempo libero, alla vita dei giovani e alle avventure della notte (dalle discoteche ai bowlings, dalle palestre ai negozi): 14 sale per più di quattromila posti a sedere nella periferia di Metz, 15-16 sale a Labège (Toulouse), Pennes-Mirabeau (Marseille), Bordeaux, Montpellier, Parigi, per arrivare infine alle 23 sale da proiezione di Lomme nei dintorni di Lille per un totale incredibile - credo si tratti di un primato, almeno in Europa - di 7403 posti a sedere . I cinema fuggono dalla città, e anche dalla periferia tradizionale, per cercare un terreno qualsiasi vicino a uno svincolo stradale sul quale costruire drive-in metropolitani che attirano, almeno in Francia, fino a due milioni l'anno di spettatori, o meglio di spettatori-consumatori. I multiplexes sono quindi tra i protagonisti della dissoluzione della metropoli nella città-diffusa, quella stessa città diffusa che molti film e molti video raccontano nelle loro storie o inchieste. I cinematografi contemporanei, anche loro, distruggono e ricombinano le città che il cinema stesso racconta.

 

4.

Dallo script di Metropolis ricavo questa immagine della città, riassunta in una sorta di poesia: "Gigantic pyramidal pistons moving slowly up and down. Wheels turning. Electrical insulators. Rods and gleamings shafts. Cams and winding gear. The slow-moving cogs of a great machine. The valve gear of a vast steam chest, moving slowly ton and fro. More cogs moving slowly. Cogs and wheels superimposed. Dissolve" . Come è oggi antica questa descrizione: la metropoli come grande organismo unitario e centrate, come congegno gigantesco e tuttavia organico e compatto. Forse era già vecchia allora questa descrizione. Guardo per esempio le incisioni in bianco e nero di Groteskfilm o Die Stadt disegnate da Frans Masereel all'incirca in quegli anni come una sorta di film-fumetto e mi sembrano una forma già più matura di rappresentazione della struttura e della complessità della metropoli moderna. Oppure rivedo i cinque minuti iniziali di Naked City, lo splendido film di Jules Dassin del 1948: l'organizzazione di una grande città riassunta, quasi didatticamente, come fosse il capitolo sullo zoning funzionale e sociale tratto da un manuale di urbanistica.
Oggi tuttavia anche queste rappresentazioni risultano superate di fronte alle forme più estreme di disseminazione urbana. È tuttavia interessante vedere come la dissoluzione della metropoli venga incoraggiata, tra gli altri potenti fattori di trasformazione, anche dalle modificazioni stesse dell'industria cinematografica. In un libro recente Peter Hall analizza il rapporto tra industria cinematografica e città in due diversi capitoli. La prima volta è la creazione di Hollywood come Dream Factory che viene ricostruita: una storia troppo conosciuta per essere qui ricordata.
La seconda volta Hall descrive gli effetti che la digitalizzazione dell'industria cinematografica ha sull'organizzazione produttiva e territoriale: "An entire new industry has suddenly developed in California: digital film production. At a conference in Los Angeles in November 1994, speakers reckoned that it was growing by 25-50 per cent per year. One good or bad reason was that it could replace people, breaking the union strangehold over staffing on the set, and supplanting the movie star by 'virtual actors' with personalities and attitudes of their own. Significantly, the new industry seems to be clustering in Los Angeles, in an arc between the old Hollywood studios and the ocean, and also in the San Francisco Bay Area: both in Silicon Valley - hence Siliwood - and in San Francisco". Il cinema riproduce la città che produce nuovo cinema.
La realtà della visione cinematografica non può essere tuttavia rinchiusa in questo percorso da Hollywood a Siliwood. Come sempre il cinema è anche altrove, perché come sempre è dappertutto, come mostrano ancora una volta i film piccoli e grandi del Festival dei Popoli. Anche lo sguardo cinematografico è plurale e disseminato; sguardo attivo e influente -"eyes wide open"- sulla vita della città e dei suoi abitanti.

 

 

40° Festival dei popoli
METROPOLIZED

contributi di:
Marc Augé
Jean-Louis Comolli
Stefano Boeri
Giancarlo Paba
Elisabetta Pieri

 

 

Festival dei Popoli
Borgo Pinti 82r
50121 Firenze - ITALY
tel: (int.39) 55 244778
fax: (int.39) 55 241364
mail: fespopol@dada.it

 

 

 

 

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