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40° FESTIVAL DEI POPOLI DI FIRENZE
Metropolized. Lost in space.
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La perdita del centro: unità e
molteplicità dell'urbano Il passaggio dalla città alla metropoli, il mutare della spazialità urbana dall'era pre a quella post industriale, è indubbiamente segnato dalla progressiva perdita del centro e dalla conseguente crisi del concetto stesso di centralità e gerarchia delle relazioni ed interazioni. L'imago urbis della città preindustriale, codificata ed illustrata in forma di mappa o di veduta, offre una rassicurante quanto statica visione di un rapporto dualistico ed antinomico: da una parte la città "intra moenia", cuore funzionale e simbolico, dall'altra il contado. Quanto la prima è connotata dal segno incisivo, di protezione oltre che di chiusura, delle mura e dal profilo delle architetture che ne costituiscono il tessuto, il contado è invece territorio aperto, vasta spazialità non circoscritta che si interpone tra le singole città murate, la cui geografia è data dal sistema della rete idro-orografica e dei collegamenti viari. Con l'annullamento di tale limite, la
città-metropoli si destruttura progressivamente sino a rendere difficile
l'identificazione dei propri confini e, conseguentemente, la percezione della propria
identità. In un ininterrotto paesaggio urbano, dove la rete dei trasporti funge da
collegamento e da polo attrattivo, anche la tradizionale distinzione tra città e
periferia viene meno. Nuove e polivalenti marginalità rendono complessa la trama delle
funzioni e degli usi, facendo sì che i molti vuoti che si interpongono tra fabbriche,
depositi, stazioni e condomini siano disponibili ai più svariati utilizzi. Tali spazi di
risulta, dal Terrain Vague attiguo ai binari alla periferia di Amsterdam, alla cittadella
rom di Cluj in prossimità della discarica di Auf der Kippe sino all'asse-camminamento
della grande conduttura attorno alla quale si è attestata la baraccopoli di Bombay
(illustrato in uno degli episodi di Megacities), nelle loro diverse forme come negli usi
si fanno in qualche modo portatori di una sorta di "disperata vitalità", flusso
dinamico e non controllato che rende indefiniti e mutevoli i sempre più vasti margini
della metropoli, da oriente a occidente.
Il malessere del 'non luogo', tra nomadismi e flaneries Nelle città sempre più regolate dal moto, accanto a spazi dominati dal dinamismo e dalla permeabilità, esistono microcosmi la cui attuale identità è il risultato di una differenziazione sociale; tale identità produce una forte cesura con gli spazi ed i tempi dell'altra città, conducendo inevitabilmente al dissolvimento degli stili di vita e delle forme di comunicazione tradizionali. La diminuzione della interazione personale tra soggetti, la continua e crescente relazione tra terminali, schermi e tastiere, ha fino ad oggi prodotto - e certamente produrrà sempre più significativamente in futuro - un notevole effetto sui dettagli del quotidiano e dell'esistenza corporea così come sulle relazioni interpersonali e sugli spazi o luoghi ad esse deputati. I frammenti di città di London Brief, composti ad un ritmo volutamente rallentato per tentare di coglierne le singole identità, illustrano spazi (la metropolitana, il centro commerciale, la sala giochi) dominati da questa ipercomunicazione per segni ed immagini, dove la vita urbana è segnata dal costante fluire delle masse di metropolizzati. Ecco dunque che il vuoto - valore positivo, al quale alludeva Wenders, diventa nella Londra di Jost espressione di 'non comunicazione', interruzione o assenza di relazioni personali, come ossessivamente ricorda l'immagine messaggio della metropolitana: "MIND THE GAP". La relazione del corpo con questi nuovi, reali o virtuali, spazi dell'urbano può condurre ad una sorta di malessere e straniamento, definito "psicastenia". Questa condizione post-moderna di essere letteralmente e figurativamente "perduti nello spazio", disturbo delle relazioni tra l'io e il territorio che lo circonda, è uno stato nel quale lo spazio definito dalle coordinate del corpo e quello rappresentato si confondono, modificando ogni gesto quotidiano, in un ambito di rappresentazioni e simulazioni: la memoria, l'esperienza e la storia vengono pertanto sostituite da un immaginario di luoghi e siti. Nomadi urbani e flaneurs, consacrati senza saperlo a questa realtà, sono dunque l'espressione di una percezione dinamica dello spazio urbano, legata alla polivocità, all'ambiguità della città-mondo: il loro sguardo sulla città, che vagando si appropria di volta in volta di diversi frammenti ed immagini, è a ben vedere non molto distante da quello del cinema, forma immaginaria di flanerie, occhio dinamico e contemporaneo che vaga attraverso lo spazio. Tale nomadismo, determinato sovente dalle stesse contraddizioni della città, comporta talvolta una diversa quanto stimolante percezione dell'urbano: decisamente altra la Parigi, ipogea eppure così fortemente legata allo spazio ed alle forme che si sviluppano in superficie, de La Tribu du Tunnel, dove un'infrastruttura ferroviaria abbandonata si trasforma al contempo in abitazione e luogo aperto agli incontri ed alle relazioni; violentemente esasperato il vagabondare di Jarman in una Londra post Tactheriana di Last of England.
Città memoria e città simulacro Tra le forme di percezione della città, lo sguardo e la fruizione turistica costituiscono un aspetto significativo: l'esigenza di consumo dell'immagine finisce infatti per condizionarne inevitabilmente la sostanza, creando una palese alterità tra i luoghi della vita urbana ed i 'non luoghi' dell'immaginario turistico. Se è vero, come sostiene Marc Augé in Mont Saint Michel, che "in quanto figli di questo secolo abbiamo bisogno dell'immagine per credere alla realtà e accumulare le testimonianze per essere sicuri di avere vissuto", lo sguardo attraverso il filtro della videocamera, come della macchina fotografica o della cartolina, modifica l'idea di fondo di unicità, immobilità e realtà della città stessa, altera l'esperienza del conoscere e del ricordare, comportando la simulazione dell'essere lì. Sostituito dunque l'urbano con il suo immaginario, il reale spazio fisico con una serie di icone e vedute da comporre a scelta dal fruitore, l'organismo città si traduce in visioni - simulacro che acquisiscono in taluni casi maggior valore della realtà stessa: così la Tour Eiffel è immagine ed immaginario di Parigi, ridotta a gadget, dissezionata e dilatata nell'immagine fotografica ed in quella filmica, in Paris qui dort di René Clair come ne Les quatre-cents coups di François Truffaut. Reale o sognata, l'immagine della città è presenza forte e costante del quotidiano come dello sguardo filmico: così la veduta di New York si configura come miraggio, ben presente sullo sfondo eppure inaccessibile, per la comunità di ispano americani che la abita, pur non essendone parte integrante, ne La Ciudad, per trasformarsi invece in una successione di immagini in rapido movimento fortemente interiorizzate e vissute nel racconto-visita turistica di The Cruise, dove il paesaggio da urbano si fa 'umano' grazie al personale, intimo e quotidianamente mutevole rapporto che il protagonista instaura con la propria città, con le sue architetture ed i suoi suoni. L'immagine urbana, liberata dall'icona della sua riproducibilità, può divenire tuttavia anche irrinunciabile tassello nella ricomposizione della memoria, storica e personale: alcuni suoi luoghi - spazi del viaggio e dell'attesa, della memoria e dell'identità - divengono pertanto racconto, intimo e collettivo al contempo, ne Les Rendez Vous d'Anna o nell'itinerario tra città dell'Est, in cerca di un'identità ebraica, in Buried in light.
Lo sguardo che ciascun autore riserva al rapporto tra l'uomo e lo spazio urbano, pur nelle diversa percezione, lettura e proposizione, da dunque atto della grande varietà, polivocità e ricchezza del paesaggio urbano, illustrando un articolato percorso per immagini che guarda alla città come a "la realizzazione dell'antico sogno dell'uomo: il labirinto" (Walter Benjamin).
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Festival dei popoli
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