Dopo aver aperto con l'articolo Cittą
e Architettura. Note a margine della crisi una riflessione sulle
teorie del progetto, Pier Vittorio Aureli, Andrea Costa, Ilhyun Kim,
Giuseppe Mantia, Luka Skansi replicano insieme a Martino Tattara alle
successive note stese da Massimo Ilardi Controparte
politica e realtà del mercato, Luca Molinari La
realtà ha bisogno dell'architettura, Giovanni Damiani Dell'irreversibilitą
della storia e altre quisquiglie, Alberto Alessi Alcune
posizioni sulla discussione attuale in architettura, Francesco De
Agostini L'architettura, tra teoria
e fondamenti, pubblicate nelle scorse settimane su ARCH'IT. |
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Tornare
a parlare di autonomia dell'architettura significa recuperare una riflessione
sulle teorie, sugli strumenti e sulle tecniche del progetto e non celebrare
un suo distacco da tutto. Una volta constatata la marginalità della nostra disciplina, crediamo che la via d'uscita non possa essere solo l'immersione nelle acque rassicuranti del manifesto retroattivo. Questo ha oramai perso il suo valore paradigmatico e il suo tramonto rappresenta la ragione di fondo della crisi che attraversa attualmente la produzione di architettura; produzione intesa non solo come esperienza professionale ma anche come costruzione di idee e di concetti. Noi non lamentiamo né celebriamo questa crisi; essa oramai rappresenta soltanto una mancanza di idee ma può anche diventare la sollecitazione a costruire nuovi riferimenti. Il manifesto retroattivo ha avuto una notevole importanza nell'accostare in modo nuovo architettura e città, mettendo in crisi sia l'eccessiva linearità istituita tra queste due categorie dal movimento moderno, sia il falso nichilismo filosofeggiante della decostruzione. Ma negli ultimi anni la tradizione della retroazione, la quale, intesa come poetica realista risale al contributo fondamentale degli Smithsons e di Venturi prima di divenire il Manifesto Retroattivo di Koolhaas (1), è stata progressivamente corrotta da una vulgata semplificatrice che, quando non ha messo in rapporto meccanico realtà e progetto, si è abbandonata ad una mera celebrazione grafica dello stato delle cose. Lezione fondamentale del Manifesto Retroattivo è stata l'aver dimostrato il rapporto controverso e paradossale tra osservazione della città e progetto, istituendo una economia del discorso all'interno della quale si potevano ancora scorgere i "materiali del progetto", malgrado questi ultimi venissero dissepolti dalle ceneri dell'ideologia che aveva animato l'architettura della modernità. Ma oggi questa lezione sembra risolversi in uno stanco ripetersi di illustrazioni, di diagrammi, di collages, in cui il compiacimento dell'effetto decorativo e realista sembra essersi definitivamente sostituito all'ipotesi del progetto, vale a dire il tentativo seppur parziale e circoscritto di istituire attraverso la tecnica dell'architettura una controparte critica alla realtà. Costruire un progetto significa interpretare la realtà e immaginarne la modificazione attraverso una serie di strategie operative o, per usare un termine inattuale, principi. In ogni epoca ed in ogni società i principi del progetto di Architettura da una parte hanno rappresentato o reagito ad un ordine (e di conseguenza formulato una ipotesi sui modi di vivere e pensare) dall'altra hanno sottoposto a critica le ragioni stesse del progetto, attraverso la messa a punto di un apparato formale e concettuale ben preciso. Attraverso questo apparato l'architettura istituisce il suo legame difficile ma necessario con le condizioni date e acquisisce un suo statuto autonomo fatto di tecniche, dispositivi, procedure che elaborano una dialettica con la realtà esistente. Ma oggi stranamente la ricerca architettonica sembra rivolgersi solo ad una illustrazione della realtà (o presunta tale) in costante cambiamento, la quale inesorabilmente condanna il discorso ad una continua invenzione di complessità e contraddizioni che includa il più possibile ciò che evidentemente il meccanismo del progetto non potrà mai accogliere. Oggi sembra essere scomparsa qualsiasi forma di riflessione sul progetto, sulla propria natura, sui propri principi, mentre abbiamo in compenso una produzione infinita di documenti analitici in cui l'ansia di non riuscire a coprire tutto lo scibile fisico, sociale ed economico costringe gli architetti a diventare siddartha per l'eternità. Parafrasando Renato Barilli si potrebbe affermare che chi lavora in questo modo dimentica che se la realtà è il luogo incerto e confuso delle lotte, degli insuccessi, dei fallimenti l'attività progettuale è il luogo dove si propongono ipotesi costruttive, dove si estraggono, dal piano indiscriminato della vita, riferimenti e concetti illuminanti. |
[17mar2003] | |||
In
questo senso il progetto non è più una illustrazione della
realtà secondo le procedure consunte del manifesto retroattivo
ma è un dispositivo critico (o controparte critica), che trasfigura
la realtà in una nuova forma. Il progetto è un dispositivo
formale che non si limita a costruire un'ennesima fenomenologia di fatti
urbani, ma opera una scelta, una selezione, delle esclusioni e delle
inclusioni. La forma esito del progetto ha sì un valore estetico, ma assume anche dimensioni tecniche, politiche, economiche, senza che questo significhi abbassarsi ad una pratica multidisciplinare, o pretendere di risolvere le contraddizioni del mercato globale attraverso un inutile estremismo politico con dichiarazione di fede a sinistra. Il progetto non può che proporre una forma, con un fine non soltanto estetico, ma anche critico, di modificazione di una realtà insoddisfacente. I personaggi cui abbiamo fatto riferimento nel precedente testo, ai quali si potrebbero aggiungere James Stirling, Peter e Alison Smithson, Aldo Van Eyck, John Hejduk, malgrado le differenze talvolta radicali tra loro, sono interessanti perché hanno saputo andare oltre un semplice racconto della realtà, proponendo immagini di contrasto attraverso la costruzione rigorosa di un progetto teorico e non semplicemente costruendo a posteriori una excusatio letteraria della propria storia professionale. Ma cosa rappresentano questi riferimenti oggi? E quale rapporto istituire con loro? Innanzitutto occorre sgombrare il campo dalla vasta aneddotica in cui il lavoro di questi architetti è spesso naufragato. Esiste però un nucleo di proposte che occorre depurare dalle scorie della celebrazione dei fedelissimi. Proposte assimilabili a strumenti che costituiscono forme di continuità all'interno della tecnica architettonica. Proposte concettuali come il fatto urbano, la città per parti, l'idea di materiale, che rimangono utili in quanto dispositivi di interpretazione e progetto. Ma questo recupero critico sta anche a significare un rinnovato interesse per la storia, intesa non come riserva di rassicuranti riferimenti rispetto alle condizioni del presente ma come processo nel quale si possono mettere in evidenza forme di continuità. L'insaziabile appetito per il nuovo che è tipico delle ultime versioni della retroazione ha negato con tutti i suoi mezzi l'esistenza di questa continuità risolvendosi nella produzione di una moltitudine di questioni superficialmente esplorate le quali costituiscono alla fine soltanto un eccesso di storia. In questo senso appare importante definire un giusto rapporto con la storia, basato su un'economia del pensiero che eviti di iniziare sempre da capo. Tornare a parlare di figure come Aldo Rossi, Vittorio Gregotti, Gino Valle, Giancarlo De Carlo e Giorgio Grassi non significa sollevare un problema puramente storiografico, né tantomeno rimpiangere tempi che la nostra generazione non ha vissuto. Tornare sul loro lavoro significa semmai costruire una cognizione del presente intesa come genealogia al rovescio di questioni che rimangono fondamentali, che costituiscono una importante linea di continuità all'interno dell'evoluzione storica che ha investito la nostra disciplina, la quale non può essere soltanto una sequenza di eventi le cui ragioni risiedono in fenomeni estremamente complessi non del tutto verificabili attraverso gli strumenti del progetto di architettura. Le questioni che disegnano una continuità verificabile all'interno della nostra disciplina sono quelle che mettono al centro il progetto come canone pratico ed espressivo senza intenti di onnipotenza ma anche senza le ipocrisie di chi ritiene questo canone completamente svuotato dallo stato attuale delle cose. Se mettiamo al centro della discussione le ragioni profonde del progetto e dei suoi strumenti questa riflessione acquista allora il suo senso esatto relativo non ad una operazione revival o ad una posizione puramente polemica, ma alla necessità di riconoscere quali siano stati gli episodi teorici rilevanti che hanno formato la costruzione del progetto di architettura. Pier Vittorio Aureli Andrea Costa Ilhyum Kim Giuseppe Mantia Luka Skansi Martino Tattara Questo scritto è dedicato alla memoria di Peter Smithson. |
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NOTA: 1. Il legame tra l'atteggiamento "retroattivo" degli Smithson, riassunto nel fortunato slogan "reality as found" e il lavoro teorico di Robert Venturi e Denise Scott Brown č costituito dalla formazione di quest'ultima all'Architectural Association a contatto con le esperienze dell'Independent Group, come la stessa Denise Scott Brown ha raccontato a Rem Koolhaas nella conversazione che quest'ultimo ha avuto con la coppia di architetti e teorici statunitensi e pubblicata nell'ultimo manifesto retroattivo dedicato allo shopping. |
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