Quello
che segue è uno scritto che illustra la posizione di un gruppo di architetti
e di critici che ha scelto di sviluppare una ricerca 'a partire dalla
constatazione di uno stato di crisi nel quale versa l'architettura contemporanea
ed in particolare la condizione del suo progetto'. L'intervento, che
apre ad una ricognizione sull'opera dei più influenti architetti italiani
attivi nei passati decenni e introduce ad una futura giornata di studio
che si terrà presso lo IUAV di Venezia, ha
sollecitato le risposte di Massimo Ilardi,
Luca Molinari, Giovanni
Damiani, Alberto
Alessi e Francesco De Agostini.
Tali risposte hanno suscitato una replica
nella quale gli autori, cui nel frattempo si è aggiunto Martino
Tattara, hanno precisato la loro posizione nei confronti delle teorie
del progetto. |
||||
È
guardando al passato che a volte appare la luce in fondo al tunnel. OMA, 1976 Ogni luogo deve essere eccellente per noi per lavorare e tutto deve essere materia di creazione non esteriore e narrativa, ma interiore e interpretativa. Umberto Boccioni, 1914 |
[09dec2002] | |||
Questo
scritto illustra la posizione di un gruppo di architetti rispetto alla
possibilità di fondare l'idea di progetto su una teoria che prescinda
da una rappresentazione istantanea della "realtà". Ci proponiamo di
indicare una linea di ricerca incentrata sul progetto, intendendo quest'ultimo
non come estemporanea illustrazione dei fenomeni urbani ma come controparte
significativa di essi. In questo senso vogliamo esprimere una posizione
polemica nei confronti del recente feticismo analitico e verista che
ha investito il dibattito sull'architettura e sulla città. Una tendenza
che sembra essere arrivata ad un punto di crisi, senza lasciare intravedere
una posizione alternativa. Per cercare una via d'uscita, a nostro avviso, occorre innanzitutto confrontarci con quelle che sono state le ultime posizioni teoriche nei riguardi del progetto prodotte nel nostro paese. Giancarlo De Carlo, Nuova facoltà di magistero di Urbino, 1968-76. Questo testo vuole essere anche l'introduzione ad una futura giornata di studio che si terrà presso lo IUAV di Venezia, nella quale gli autori si propongono di reinterpretare la biografia scientifica di alcuni architetti italiani, oggi ai margini del dibattito critico, ma che attraverso i loro contributi teorici hanno elaborato una posizione significativa nei confronti della costruzione di una teoria del progetto. AUTONOMIA DELL'ARCHITETTURA La situazione dell'architettura contemporanea e soprattutto la situazione del suo progetto versa in uno stato di profonda crisi. Questa crisi coinvolge tutto il campo architettonico dalla figura dell'architetto al suo operare nel territorio, dalla produzione dei discorsi alla trasmissione e comunicazione di essi. Le alternative appaiono ancora dei palliativi momentanei, più che delle proposte con qualche possibilità di durata, come il recente populismo più o meno colto (si pensi all'attuale situazione olandese) o il poco credibile revival dell'utopia. |
||||
Aldo Rossi, Monumento ai Partigiani, Segrate, 1965. |
A nostro avviso lo stato delle cose dipende dalla pressoché totale scomparsa
di una ricerca "teorica" che investa direttamente le ragioni e le possibilità
del progetto di architettura. Quest'ultimo sembra oramai sopraffatto da una onnivora rappresentazione delle "complessità e contraddizioni" del paesaggio urbano contemporaneo. Non si vuole negare la validità relativa di queste rappresentazioni della Città e del territorio ma, al loro interno, si vorrebbe iniziare a verificare, con più esattezza e rigore di quanto si sia fatto negli ultimi vent'anni di euforia interdisciplinare, ruolo e ambizioni del progetto di architettura come fatto urbano e come luogo di produzione di una teoria dell'architettura. |
|||
Per
teoria dell'architettura intendiamo una chiara presa di posizione ideologica
nei confronti del linguaggio architettonico come dispositivo critico
rispetto alla realtà e non un suo semplice manifesto. Per linguaggio
non intendiamo la palude semantica, bensì una chiara messa a punto di
meccanismi e tecniche poetiche capaci di congetturare, di inventare
e non solo di promuovere il progetto come soluzione di problemi o come
rappresentazione della realtà. Sappiamo bene che la realtà non ha bisogno
dell'architettura e perciò il progetto di architettura non può che essere
critico o, se volete, selettivo nei suoi confronti. Questo significa
che non tutto l'ambiente costruito deve essere considerato dallo spettro
dell'esperienza architettonica, ma solo quelle parti della città o del
territorio nelle quali l'architettura può divenire un fenomeno rilevante
e "concreto". Gino Valle, Uffici Zanussi, Pordenone, 1959-61. Con queste affermazioni vogliamo uscire dalla retorica della dispersione, dell'ibrido non tanto come rappresentazione della città ma come idea utopica di dissolvere l'architettura in essa. La dispersione come luogo del progetto si è dimostrata finora una deriva relativista, ampiamente avallata e celebrata dalla critica corrente e capace soltanto di produrre falsi problemi per i quali l'architettura fabbrica false soluzioni. Il progetto si concentra alla fine su un sito specifico e circoscritto su ciò che Aldo Rossi, all'interno di una stringente economia del discorso, chiamava "fatto urbano" e non si disperde su tutto il territorio dove altri fattori tendono a conformarlo. La scala di questo fatto urbano è conforme alla scala entro cui il progetto di architettura è riconoscibile come forma rilevante. Ed è proprio all'interno di come costruire questa forma che gli architetti devono con rigore tornare a ragionare con costruzioni teoriche. In questo senso non intendiamo rispolverare il carattere auto-referenziale dell'architettura, ma riabilitare l'economia formale del progetto come ricerca, e non confonderlo con il ruolo importante di altre discipline che fanno ricerca sulla città (sociologia, geografia, arte contemporanea). Riteniamo importante riconoscere una relativa autonomia dell'architettura all'interno della costruzione della città. Questa autonomia è relativa solo alla necessità che da luogo alla domanda di progetto, ovvero ad un dispositivo formale autonomo, coscientemente costruito e radicalmente differente dalla realtà esistente. La validità di questo dispositivo consiste nel proprio spessore formale e non nella sua presunta capacità di rappresentare, o peggio ancora di risolvere, le complessità e le contraddizioni del mondo. REINTERPRETAZIONE DEL PASSATO |
||||
Carlo Aymonino e altri. Complesso residenziale al Gallaratese, Milano, 1967-73. |
In anni recenti ciò che nominiamo con il termine ricerca all'interno
della nostra disciplina, riguarda oramai solo studi sui fenomeni e sulle
trasformazioni che investono il territorio, vale a dire il vasto e complesso
svolgersi delle forze materiali e immateriali che costruiscono il paesaggio
fisico, sociale, economico e politico della città contemporanea. Un
discorso incentrato sull'architettura e sul suo progetto inteso come
controparte critica della città sembra non esistere più, esso è posto
come diretta conseguenza o meglio come effetto diretto o collaterale
della causa Città. In questo senso è stata la "Scuola di Venezia" tra gli anni Cinquanta e gli anni Settanta, sotto la spinta del suo ri-fondatore Giuseppe Samonà, attraverso diverse argomentazioni teoriche, che ha posto la città esistente (intesa nelle sue fattezze storiche e moderne) come l'oggetto di una ricerca volta alla definizione di una stretta interdipendenza critica tra linguaggio architettonico e costruzione della città. Malgrado questa proposizione teorica -di cui una lettura superficiale, ma assai praticata in seguito, sembrava già disporre analisi e progetto in un rapporto di causa ed effetto- i protagonisti di quella stagione avevano ben presente il rapporto doloroso che intercorre tra realtà della città, la sua storia e il progetto d'architettura, anche nel caso in cui si è portati a considerare la Città stessa come architettura. Da una parte vi sono la città e il territorio, che in sé costituiscono un fenomeno urbano inclusivo, dall'altra l'economia operativa del progetto che inesorabilmente costituisce un processo urbano esclusivo. Questo rapporto doloroso ha costituito una questione teorica la cui importanza appare di nuovo di grande attualità (per l'implicita aspirazione ad una "unità architettura-urbanistica") di fronte ad uno scenario nel quale la possibilità di una teoria del progetto sembra completamente assorbita dall'estrema complessità delle forme del paesaggio urbano contemporaneo. |
|||
Aldo Rossi, Monumento ai Partigiani, Segrate, 1965. Planimetria generale. |
Oggi la questione che concerne su quale progetto teorico debba fondarsi
la costruzione del progetto di Architettura nell'ambito della Città
è stata quasi completamente eclissata, o per meglio dire, identificata
dalla questione di come è fatta la Città o di come si possa fare la
Città. Questa situazione rischia di sovrapporre in modo troppo facile
e sbrigativo le ambizioni del progetto e le caratteristiche di questo
paesaggio contemporaneo, rendendo generiche e quindi non attuabili le
prime e riducendo in formule troppo rigide ed in schemi troppo semplificatori
le seconde. Di fronte a questo scenario sembra urgente una profonda riforma dello statuto su cui si basa la domanda di ricerca e il rapporto che questa attività stabilisce con la costruzione del progetto di architettura. Questa riforma richiede maggiore rigore nel tenere distinte descrizione dei fenomeni urbani e progetto di architettura, senza creare semplici (o semplicistiche) procedure di causa ed effetto. Guardare al passato e più precisamente alle biografie scientifiche di personaggi oramai dimenticati o abbandonati come Aldo Rossi, Vittorio Gregotti, Gianugo Polesello, Giorgio Grassi, Carlo Aymonino, Giancarlo de Carlo e Gino Valle che, seppur da prospettive diversissime se non opposte, hanno esplicitamente o implicitamente affrontato questo tema -vale a dire il rapporto tra una teoria del progetto e una visione ragionata della città e del territorio- vuol dire innanzitutto considerare la possibilità di una dimensione discorsiva ed operativa nel far interagire, in modo non solo efficace ma pregnante e forse anche controverso, architettura e lettura dei fenomeni urbani. |
|||
Noi
vogliamo riflettere sulle ultime teorie del progetto prodotte nel nostro
paese. Non ci interessa decantare quanto sono stati bravi questi "maestri",
bensì capire come hanno costruito una teoria del progetto e una posizione
ideologica a mezzo di forme e procedure riconoscibili e trasmissibili.
Non intendiamo costruire né la colonna di sale con lo sguardo nostalgico
del passato recente, né la torre di Babele con un'improbabile speranza
nel futuro che finisce con il solito elogio della poetica individuale.
Parlare di queste figure vuol dire riaprire i conti con il passato e,
se necessario, costruire una nuova interpretazione del passato che operi
come dispositivo critico nel contesto culturale presente. Un contesto
che forse non è riuscito mai a chiudere definitivamente i conti con
quell'eredità. Vittorio Gregotti e altri. Progetto per l'Università della Calabria, 1973. Capire quali dispositivi critico-progettuali approntati da queste figure possano essere rilevanti e utili alle questioni che la disciplina deve affrontare in questi tempi: il rapporto disciplina-realtà, la dimensione geografica della città contemporanea, ma anche ciò che oggi appare così politicamente scorretto, vale a dire "la produzione di architettura a mezzo di architettura". Queste teorie allora, non sono solo (o non tanto) interessanti per i loro risultati, quanto per i "processi" concettuali che hanno innescato. Pier Vittorio Aureli Andrea Costa Ilhyum Kim Giuseppe Mantia Luka Skansi |
||||
Pier
Vittorio Aureli (Roma 1973) si è laureato presso l'Istituto
Universitario di Architettura di Venezia nel 1999 e ha conseguito
il master di Architettura presso il Berlage Institute di Rotterdam
nel 2001. Dottorando presso il Berlage Institute\TU Delft e Iuav (in
urbanistica), svolge attività didattica con Elia Zenghelis presso
la Second Year Unit del Berlage Institute. Da diversi anni svolge
l'attività di progettazione insieme a Martino Tattara e Sabina Tattara
all'interno di un collettivo di progettazione. |
||||
>
ILARDI. CONTROPARTE POLITICA E REALTÀ DEL MERCATO |
||||