Il
prossimo 29 maggio, a Venezia (aula magna dei Tolentini, IUAV, dalle
15.30) si svolgerà la giornata di studi "Città e Architettura.
Esperienze del progetto tra gli anni '60 e gli anni '70". Proposto
come il primo di una serie di incontri volti alla ricerca e alla definizione
delle possibilità di un ritorno allo studio del progetto come occasione
di riflessione teorica, critica ed analitica, l'appuntamento ha avuto
una prima anticipazione sulle pagine di ARCH'IT. Qui, a partire dall'articolo
Città e Architettura. Note a margine
della crisi redatto da Pier Vittorio Aureli, Andrea Costa, Ilhyun
Kim, Giuseppe Mantia, Luka Skansi, sono state ospitate, tra le altre,
note di Massimo Ilardi, Luca
Molinari, Giovanni Damiani,
Alberto Alessi, Francesco
De Agostini. All'incontro veneziano moderato da Marco Brizzi parteciperanno,
in qualità di relatori: Pier Vittorio Aureli (1966. Verso un'attitudine
"retroattiva". Aldo Rossi, Robert Venturi, Dan Graham, Robert Smithson);
Sara Basso, Andrea Costa (Dal supporto al "codice genetico". Declinazioni
dell'unità architettura-urbanistica nel pensiero progettuale di Giancarlo
De Carlo); Giovanni Damiani (La tendenza non esiste); Ilhuyn Kim (L'oggetto
architettonico e il suo dominio territoriale: Gino Valle e l'altra metà
della scuola veneziana); Giuseppe Mantia (Vittorio Gregotti. Materiali
e scale del progetto di Architettura); Luka Skansi (Città per parti.
Dal Gallaratese a Lichterfelde). |
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Parlando
del concorso per la ricostruzione del World Trade Center a New
York, che ha visto competere alcune tra le più acclamate star della
scena architettonica, Rem Koolhaas ha affermato che questo evento assomiglia
alla celeberrima canzone We are the world nella quale le più
grandi (o presunte tali) star musicali cantano la canzone più
orribile della storia della musica. Aaron Betsky, critico entusiasta
della nouvelle vague compresa tra decostruttivismo e blob,
gli ha fatto eco affermando che quel campo di battaglia epico, dove
bisognava confrontarsi con l'umore vendicativo e patriottico tipico
dell'America post undici settembre e che malgrado tutto, offriva la
possibilità di avere quel tanto sospirato interfaccia pubblico tra città
e architettura andando al di là della rivista specializzata, ha visto
"morire" le menti migliori della sua generazione, vale a dire gli architetti
che costituiscono il firmamento di questi anni. Probabilmente non bisogna
prendere il concorso di New York troppo sul serio ma esso raffigura
abbastanza bene (come il "paesaggio" dell'ultima Biennale) il momento
di crisi che sta vivendo la produzione di Architettura se con essa non
si intende solo produzione di edifici più o meno spettacolari, più o
meno belli, ma anche elaborazione di idee attorno alle quali sia possibile
alimentare una riflessione collettiva. |
[25may2003] | |||
È
proprio di fronte a questo scenario desolante che, in modo assolutamente
modesto e senza nessuna urgenza, se non quella che viene dal credere
che l'architettura rappresenti ancora una straordinaria occasione di
pensiero, si è creduto opportuno tornare a riflettere sugli strumenti
e sulle motivazioni interne del fare Architettura. Crediamo che a questa
situazione di impasse non si possa rispondere con dichiarazioni
di intenti fondate sull'astrazione dei programmi per il futuro, ma guardando
al passato come occasione di studio e come possibile dimensione critica
del presente. |
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La
giornata di studi che si terrà a Venezia il 29 maggio vuole essere proposta
come il primo di una serie di incontri nel quale definire quali sono
le possibilità per un ritorno allo studio del progetto come occasione
di riflessione teorica, critica ed analitica. |
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Prendendo
spunto da alcuni episodi teorici che vedono protagonisti, da Rossi a
Venturi, da Valle a Ungers, da Aymonino a De Carlo, da Gregotti a Eisenman
la giornata di studi tenta una prima storicizzazione "operativa" di
alcuni frammenti dell'evoluzione del progetto di architettura con particolare
riferimento al decennio 1965-75. |
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Guardare
a questo spezzone di storia non vuol dire tornare al passato. Significa
semmai aprire i nostri conti con il passato, non per prendere
una strada sicura, ma per salvare il passato -al quale apparteniamo
anche noi- prima che sia troppo tardi. Quel passato è ormai troppo lacerato
dal vandalismo necrofilo, dal narcisismo nostalgico e dallo snobismo
che vincola cinicamente ogni tentativo critico di valutazione scientifica.
Con tutto il rispetto per il significato complessivo della tradizione,
senza alcun pericolo di aggravare il provincialismo, s'intende prendere
una posizione, aprire il dialogo remoto con la generazione che ci precede,
avviarne uno interno fra di noi e cercare di spezzare la stagnante situazione
del momento. Non si tratta del solito revisionismo, né di una rifondazione
alla moda. Si tratta di una consapevolezza che cerca di comprendere
sia l'archeologia personale di formazione che l'interrogazione sul lascito
culturale della scuola, secondo l'attualità del nostro tempo. Pier Vittorio Aureli, Ilhyun Kim |
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